Il cardinale Rodriguez Maradiaga nuovo presidente della Caritas Internationalis. L'Assemblea
generale tratta la drammatica situazione in Somalia
E’ il cardinale honduregno Oscar Andrés Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa,
65 anni, il nuovo presidente della Caritas Internationalis, eletto ieri dall’Assemblea
generale dell’organismo ecclesiale, riunita in Vaticano sul tema “Testimoni di carità,
artigiani di pace”. Il porporato succede al presidente uscente Denis Viènot, nella
guida della confederazione delle 162 Caritas locali. Nativo della stessa diocesi che
governa dal 1993, ordinato sacerdote salesiano nel 1970, specializzato in Teologia
alla Pontifica Università Lateranense, oltre che diplomato in Psicologia clinica e
Psicoterapia all’Università Leopold Franz di Innsbruck, Rodriguez Maradiaga, eletto
vescovo nel 1978 ha ricoperto prestigiosi incarichi di docenza in Honduras, in Salvador
e in Guatemala, professore di teologia morale ed ecclesiologia nell’Istituto salesiano
teologico e poi rettore dell’Istituto salesiano di Filosofia nel suo Paese, nominato
cardinale nel 2001, ha presieduto il Consiglio dell’episcopato latinoamericano (CELAM)
ed oggi presiede la Conferenza dei vescovi honduregni.
Proseguono intanto fino
al 9 giugno i lavori dell’Assemblea generale della Caritas Internationalis, una confederazione
- lo ricordiamo - di 162 organismi caritativi che operano nel campo umanitario in
ben 200 Nazioni, fondando sul Magistero sociale della Chiesa la propria missione di
aiuto agli ‘ultimi’ nel mondo intero. Alessandro Gisotti ha intervistato Davide
Bernocchi, direttore della Caritas Somalia, tra i Paesi più bisognosi nel continente
africano, dove non si placano i conflitti interni:
R.
– La Somalia è stata recentemente dichiarata dalle Nazioni Unite il Paese più pericoloso
al mondo per gli operatori umanitari: peggio dell’Iraq, peggio del Darfur. Quindi,
già questo dice di per sé la difficoltà di operare in un simile contesto. Caritas
Somalia è tornata a operare direttamente nel Paese da circa un anno e mezzo; in particolare,
ci siamo installati a Baidoa che è la città che ospita le istituzioni transitorie,
e il nostro ha voluto essere fin dall’inizio un contributo concreto al processo di
pacificazione della Somalia.
D. – Paolo VI, nella
“Populorum progressio” sottolineava che l’altro nome della pace è “sviluppo”. Come
verificate voi questa affermazione che ancora oggi, 40 anni dopo, ha una grande attualità?
R.
– In maniera molto semplice, attraverso la mia testimonianza diretta con i nostri
impiegati in Somalia. Noi, per esempio, abbiamo alcuni guardiani – perché ovviamente
la sicurezza, purtroppo, va mantenuta – e questi guardiani erano dei banditi di strada,
che rubavano, sparavano ... Da quando sono stati assunti da noi, quindi hanno un salario
e anche delle prospettive di vita, la loro vita è completamente cambiata: hanno imparato
a leggere e scrivere, adesso stanno imparando l’inglese ... possono finalmente occuparsi
del proprio sviluppo personale. Quando una persona ha i mezzi per una vita degna,
la violenza non è il suo pensiero, normalmente ...