Libano: continua la battaglia tra miliziani islamici ed esercito regolare in un campo
profughi palestinese
Nel nord del Libano si aggrava di ora in ora il bilancio degli scontri tra soldati
libanesi e miliziani islamici asserragliati nel campo profughi palestinese di Nahr
al-Bared. Un attacco sferrato nella notte contro una postazione dell’esercito libanese
ha provocato la morte di due militari. Ieri sono rimaste uccise, inoltre, almeno 19
persone. Sale così ad 85 il numero delle vittime dall’inizio degli scontri, lo scorso
20 maggio. Sul versante delle trattative, sembra poi sempre più granitico il braccio
di ferro tra integralisti e governo libanese. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Il
gruppo islamico è tornato ad escludere categoricamente l’eventualità di una resa precisando
che non intende deporre le armi come richiesto dall’esercito libanese. Il governo
del Libano sembra poi intenzionato a proseguire la battaglia perché ritiene il gruppo
integralista islamico “uno strumento siriano”. Secondo le autorità libanesi, l’obiettivo
è quello di far fallire il Tribunale internazionale chiamato ad indagare sull’omicidio
dell’ex premier libanese, Rafik Hariri. La Siria ha subito respinto l’accusa e diversi
alti funzionari di Damasco hanno ammonito che l'istituzione del Tribunale potrebbe
aggravare la situazione in Libano. A presunti legami con i servizi segreti siriani,
si aggiungono prove di collegamenti con Al Qaeda. Fonti di stampa hanno rivelato che
nei giorni scorsi è stato arrestato un libanese che aveva il compito di mettere in
contatto il gruppo integralista con l’organizzazione terroristica. Sul fronte diplomatico
le fazioni palestinesi, impegnate in una difficilissima mediazione,
non hanno ancora trovato un punto di incontro. I mediatori hanno denunciato, in particolare,
che è impossibile far avanzare le trattative mentre sul terreno proseguono i bombardamenti.
A rischiare la vita sono anche i circa 5 mila civili rimasti intrappolati nel campo
profughi. Secondo i militari libanesi, molti rifugiati vengono usati come “scudi umani”.
Ma c’è davvero un collegamento tra gli scontri degli ultimi giorni nel campo profughi
palestinese nel nord del Libano e l’istituzione del Tribunale internazionale sull’omicidio
di Hariri? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Camille Eid, giornalista
libanese del quotidiano ‘Avvenire’ ed esperto di questioni mediorientali:
R.
- Gli scontri sono iniziati anche prima della formazione di questo Tribunale. I due
fatti, però, non possono non essere collegati tra di loro, soprattutto quando sappiamo
che i siriani si sono opposti per tre anni alla costituzione di questo Tribunale e,
quindi, ce l’hanno messa tutta per impedire l’ultimo passo, avvenuto qualche giorno
fa a New York. Gli scontri sono oltretutto avvenuti in una zona da sempre controllata
dai servizi segreti siriani e che dista pochi chilometri dal confine siriano.
D.
– Il gruppo Fatah al Islam, da giorni in conflitto con l’esercito libanese, ha fatto
sapere che non si arrenderà, né consegnerà le armi. Quali saranno a questo punto le
mosse del governo libanese?
R. – Il governo libanese
si trova davanti ad un’unica alternativa: chiede la resa incondizionata di questo
gruppo, perché gli stessi palestinesi hanno misconosciuto questo gruppo. L’esercito
libanese non vuole entrare nei campi, violerebbe un tacito accordo tra il governo
libanese e l’organizzazione palestinese, che è in vigore da parecchi anni. Il Libano,
però, chiede almeno alle stesse organizzazioni palestinesi di ripulire questo campo,
perchè non è possibile che un gruppo di poche decine di mercenari possano condizionare
la vita di un campo di 40 mila abitanti.
D. - La
Chiesa libanese può fare qualcosa per opporsi a questa situazione di violenza?
R.
– In questo caso direi di no, perchè la zona di Tripoli o del campo profughi è quasi
esclusivamente sunnita. La Chiesa si sta muovendo per portare i partiti libanesi ad
un accordo, ad un compromesso, soprattutto dopo la decisioni sul Tribunale, per evitare
al Paese altre scosse di questo tipo. Perché il pericolo, il rischio, è che questi
scontri siano solo il preludio di scontri più generalizzati che possano quindi coinvolgere
l’intera popolazione libanese e, quindi, portare il Libano nel baratro di una nuova
guerra civile.