Il Papa alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali: senza il riconoscimento della
dignità inviolabile di ogni persona non ci sarà giustizia nel mondo
Se gli esseri umani non sono visti come persone dotate di una dignità inviolabile,
sarà ben difficile raggiungere una piena giustizia nel mondo. E’ quanto scrive il
Papa in un messaggio inviato in occasione della plenaria della Pontificia Accademia
delle Scienze Sociali, che si è conclusa oggi in Vaticano e ha avuto al centro dei
lavori il tema: "Carità e giustizia nei rapporti fra Popoli e Nazioni". Ce ne parla
Sergio Centofanti.
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Nel suo messaggio, indirizzato
alla professoressa Mary Ann Glendon, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze
Sociali, il Papa afferma che “il perseguimento della giustizia e la promozione della
civiltà dell'amore sono aspetti essenziali” della missione della Chiesa “a servizio
dell’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo”. Ribadisce comunque “che, anche nella più
giusta delle società, ci sarà sempre posto per la carità” in quanto “non c'è nessun
ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell'amore".
Al
centro del magistero della Chiesa, che – ricorda il Papa – “si rivolge non soltanto
ai credenti ma anche a tutti gli uomini di buona volontà” vi è “il principio della
destinazione universale di tutti i beni della creazione. Secondo tale fondamentale
principio, tutto ciò che la terra produce e tutto ciò che l’uomo trasforma e confeziona,
tutta la sua conoscenza e tecnologia, tutto è destinato a servire lo sviluppo materiale
e spirituale della famiglia umana e di tutti i suoi membri”. In questa prospettiva
il Papa fa riferimento a tre sfide che oggi il mondo si trova ad affrontare: “la prima
sfida riguarda l'ambiente e uno sviluppo sostenibile. La comunità internazionale –
afferma il Papa - riconosce che le risorse del mondo sono limitate e che è dovere
di ogni popolo attuare politiche miranti alla protezione dell'ambiente, al fine di
prevenire la distruzione di quel patrimonio naturale i cui frutti sono necessari per
il benessere dell'umanità”. Benedetto XVI sottolinea che nell’applicare soluzioni
a livello internazionale “particolare attenzione deve essere rivolta al fatto che
i Paesi più poveri sono quelli che sembrano destinati a pagare il prezzo più pesante
per il deterioramento ecologico”.
La seconda sfida – scrive il Papa - chiama
in causa il concetto di persona umana: “se gli esseri umani non sono visti come persone,
maschio e femmina, creati ad immagine di Dio (cfr Gn 1, 26), dotati di una dignità
inviolabile, sarà ben difficile raggiungere una piena giustizia nel mondo. Nonostante
il riconoscimento dei diritti della persona in dichiarazioni internazionali e in strumenti
legali, occorre progredire di molto per far sì che tale riconoscimento abbia conseguenze
sui problemi globali, come quello del crescente divario fra Paesi ricchi e Paesi poveri;
l'ineguale distribuzione ed assegnazione delle risorse naturali e della ricchezza
prodotta dall'attività umana; la tragedia della fame, della sete e della povertà in
un pianeta in cui vi è abbondanza di cibo, di acqua e di prosperità; le sofferenze
umane dei rifugiati e dei profughi; le continue ostilità in molte parti del mondo;
la mancanza di una sufficiente protezione legale per i non nati; lo sfruttamento dei
bambini; il traffico internazionale di esseri umani, di armi, di droghe; e numerose
altre gravi ingiustizie”.
La terza sfida – leggiamo nel messaggio - si rapporta
ai valori dello spirito. “Incalzati da preoccupazioni economiche – rileva il Pontefice
- tendiamo a dimenticare che, al contrario dei beni materiali, i beni spirituali
che sono tipici dell'uomo si espandono e si moltiplicano quando sono comunicati: al
contrario dei beni divisibili, i beni spirituali come la conoscenza e l'educazione
sono indivisibili, e più vengono condivisi, più vengono posseduti”. “Sempre più importante,
perciò, è il bisogno di un dialogo che possa aiutare le persone a comprendere le proprie
tradizioni nel momento in cui entrano in contatto con quelle degli altri, al fine
di sviluppare una maggiore autocoscienza di fronte alle sfide recate alla propria
identità, promuovendo così la comprensione e il riconoscimento dei veri valori umani
all'interno di una prospettiva interculturale. Per affrontare positivamente tali sfide
è urgentemente necessaria una giusta uguaglianza di opportunità, specie nel campo
dell'educazione e della trasmissione della conoscenza. Purtroppo – nota il Papa -
l'educazione, specialmente al livello primario, rimane drammaticamente insufficiente
in molte parti del mondo”.
“Per affrontare tali sfide – conclude Benedetto
XVI - solo l'amore per il prossimo può ispirare in noi la giustizia a servizio della
vita e della promozione della dignità umana. Solo l'amore all'interno della famiglia,
fondata su un uomo e una donna, creati a immagine di Dio, può assicurare quella solidarietà
inter-generazionale che trasmette amore e giustizia alle generazioni future. Solo
la carità può incoraggiarci a porre la persona umana ancora una volta al centro della
vita nella società e al centro di un mondo globalizzato, governato dalla giustizia”.
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Ieri
pomeriggio, nella penultima giornata della plenaria della Pontificia Accademia delle
Scienze Sociali, è intervenuto anche il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone
con una relazione su "giustizia internazionale e governance internazionale nel contesto
della crisi del multilateralismo". "Occorre passare da una governance debole che
troppo spesso si affida alla guerra, in quanto non è capace di prevenire mediante
lo sviluppo e la giustizia - ha affermato il porporato - ad una governance ad alta
intensità etica che produca un ordine nel bene". In questi giorni durante la plenaria
si è dunque parlato di carità, giustizia e integrazione nella società contemporanea.
A questo proposito Fabio Colagrande ha raccolto il commento del prof. Maurizio
Ambrosini, docente di sociologia dei processi migratori dell’Università Statale
di Miliano, tra i relatori alla plenaria:
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R. - Abbiamo avuto
sia testimonianze di dialogo concreto, di convivenza difficile, ma anche feconda tra
popoli e religioni diverse, sia speranze e aperture, sia la prospettiva di un avanzamento
nella capacità di governare i conflitti e promuovere la cooperazione internazionale,
attraverso il rafforzamento di istituzioni internazionali. Il cardinal Bertone ha
molto ben sottolineato il fatto che bisogna passare da una governance puramente intesa
in senso tecnico, “in senso debole” lui diceva, una governance che abbia una sostanza
etica, che abbia un più profondo incardinamento in un sistema di valori. Questo credo
sia un grande obiettivo cui tendere.
D. – Si può dire, prof. Ambrosini, che
in Europa ci siano politiche di resistenza alle migrazioni?
R. – Certamente,
c’è una dimensione di chiusura che fa parlare di “fortezza Europa”, una tensione tra
un’economia anche delle famiglie – non dimentichiamolo – che hanno bisogno di immigrati,
che li attirano e, dall’altra parte, delle istituzioni politiche, delle opinioni pubbliche,
che invece vogliono più restrizioni, più controlli, più frontiere. In questa tensione
noi siamo diventati importatori riluttanti di immigrati: ne abbiamo bisogno, ma non
li vogliamo.
D. – A che punto è la messa a punto di meccanismi che permettano
l’integrazione economico-sociale degli immigrati in Europa?
R. – La messa a
punto di meccanismi è abbastanza debole e come sappiamo lascia morti e feriti sul
campo. Ciò nonostante i migranti stessi, tra mille difficoltà, promuovono processi
di integrazione, attraverso i ricongiungimenti familiari, attraverso l’educazione,
la scolarizzazione, per esempio delle seconde generazioni, cui tengono molto in generale,
attraverso la promozione di nuove attività segnatamente di lavoro autonomo, che rappresenta
la principale via di miglioramento della condizione degli immigrati nelle nostre società.
D. – Cosa dice di fronte a chi teme che l’identità culturale italiana possa
essere in qualche modo attaccata e, quindi, annacquata da una presenza troppo ampia
di stranieri? Questa è un’opinione piuttosto diffusa tra la gente…
R. – E’
un timore che effettivamente esiste. La cosa strana, però, è che non ci rendiamo conto
che i maggiori danni all’identità culturale italiana forse vengono da altre parti.
Pensiamo ai modelli di consumo americani, che sono diffusi dalla televisione, dal
cinema, dai mass media in generale. Mi sembra che stiano cambiando molto di più la
nostra vita questi modelli, per esempio in campo familiare, di quanto non avvenga
con l’arrivo di popolazioni immigrate. Forse le nostre paure, che ci sono e hanno
dei fondamenti, stanno individuando un bersaglio sbagliato su cui appuntarsi. Io penso
che anche la diversità religiosa possa essere un’occasione per approfondire e capire
meglio i fondamenti della nostra fede religiosa, per farla crescere con quella umiltà
teologica, che ci richiamava il rabbino David Rosen.