2007-05-01 12:49:47

Il Papa alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali: senza il riconoscimento della dignità inviolabile di ogni persona non ci sarà giustizia nel mondo


Se gli esseri umani non sono visti come persone dotate di una dignità inviolabile, sarà ben difficile raggiungere una piena giustizia nel mondo. E’ quanto scrive il Papa in un messaggio inviato in occasione della plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, che si è conclusa oggi in Vaticano e ha avuto al centro dei lavori il tema: "Carità e giustizia nei rapporti fra Popoli e Nazioni". Ce ne parla Sergio Centofanti.

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Nel suo messaggio, indirizzato alla professoressa Mary Ann Glendon, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, il Papa afferma che “il perseguimento della giustizia e la promozione della civiltà dell'amore sono aspetti essenziali” della missione della Chiesa “a servizio dell’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo”. Ribadisce comunque “che, anche nella più giusta delle società, ci sarà sempre posto per la carità” in quanto “non c'è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell'amore".

Al centro del magistero della Chiesa, che – ricorda il Papa – “si rivolge non soltanto ai credenti ma anche a tutti gli uomini di buona volontà” vi è “il principio della destinazione universale di tutti i beni della creazione. Secondo tale fondamentale principio, tutto ciò che la terra produce e tutto ciò che l’uomo trasforma e confeziona, tutta la sua conoscenza e tecnologia, tutto è destinato a servire lo sviluppo materiale e spirituale della famiglia umana e di tutti i suoi membri”.
In questa prospettiva il Papa fa riferimento a tre sfide che oggi il mondo si trova ad affrontare: “la prima sfida riguarda l'ambiente e uno sviluppo sostenibile. La comunità internazionale – afferma il Papa - riconosce che le risorse del mondo sono limitate e che è dovere di ogni popolo attuare politiche miranti alla protezione dell'ambiente, al fine di prevenire la distruzione di quel patrimonio naturale i cui frutti sono necessari per il benessere dell'umanità”. Benedetto XVI sottolinea che nell’applicare soluzioni a livello internazionale “particolare attenzione deve essere rivolta al fatto che i Paesi più poveri sono quelli che sembrano destinati a pagare il prezzo più pesante per il deterioramento ecologico”.

La seconda sfida – scrive il Papa - chiama in causa il concetto di persona umana: “se gli esseri umani non sono visti come persone, maschio e femmina, creati ad immagine di Dio (cfr Gn 1, 26), dotati di una dignità inviolabile, sarà ben difficile raggiungere una piena giustizia nel mondo. Nonostante il riconoscimento dei diritti della persona in dichiarazioni internazionali e in strumenti legali, occorre progredire di molto per far sì che tale riconoscimento abbia conseguenze sui problemi globali, come quello del crescente divario fra Paesi ricchi e Paesi poveri; l'ineguale distribuzione ed assegnazione delle risorse naturali e della ricchezza prodotta dall'attività umana; la tragedia della fame, della sete e della povertà in un pianeta in cui vi è abbondanza di cibo, di acqua e di prosperità; le sofferenze umane dei rifugiati e dei profughi; le continue ostilità in molte parti del mondo; la mancanza di una sufficiente protezione legale per i non nati; lo sfruttamento dei bambini; il traffico internazionale di esseri umani, di armi, di droghe; e numerose altre gravi ingiustizie”.

La terza sfida – leggiamo nel messaggio - si rapporta ai valori dello spirito. “Incalzati da preoccupazioni economiche – rileva il Pontefice - tendiamo a dimenticare che, al contrario dei beni materiali, i beni spirituali che sono tipici dell'uomo si espandono e si moltiplicano quando sono comunicati: al contrario dei beni divisibili, i beni spirituali come la conoscenza e l'educazione sono indivisibili, e più vengono condivisi, più vengono posseduti”. “Sempre più importante, perciò, è il bisogno di un dialogo che possa aiutare le persone a comprendere le proprie tradizioni nel momento in cui entrano in contatto con quelle degli altri, al fine di sviluppare una maggiore autocoscienza di fronte alle sfide recate alla propria identità, promuovendo così la comprensione e il riconoscimento dei veri valori umani all'interno di una prospettiva interculturale. Per affrontare positivamente tali sfide è urgentemente necessaria una giusta uguaglianza di opportunità, specie nel campo dell'educazione e della trasmissione della conoscenza. Purtroppo – nota il Papa - l'educazione, specialmente al livello primario, rimane drammaticamente insufficiente in molte parti del mondo”.

“Per affrontare tali sfide – conclude Benedetto XVI - solo l'amore per il prossimo può ispirare in noi la giustizia a servizio della vita e della promozione della dignità umana. Solo l'amore all'interno della famiglia, fondata su un uomo e una donna, creati a immagine di Dio, può assicurare quella solidarietà inter-generazionale che trasmette amore e giustizia alle generazioni future. Solo la carità può incoraggiarci a porre la persona umana ancora una volta al centro della vita nella società e al centro di un mondo globalizzato, governato dalla giustizia”.

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Ieri pomeriggio, nella penultima giornata della plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, è intervenuto anche il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone con una relazione su "giustizia internazionale e governance internazionale nel contesto della crisi del multilateralismo". "Occorre passare da una governance debole che troppo spesso si affida alla guerra, in quanto non è capace di prevenire mediante lo sviluppo e la giustizia - ha affermato il porporato - ad una governance ad alta intensità etica che produca un ordine nel bene". In questi giorni durante la plenaria si è dunque parlato di carità, giustizia e integrazione nella società contemporanea. A questo proposito Fabio Colagrande ha raccolto il commento del prof. Maurizio Ambrosini, docente di sociologia dei processi migratori dell’Università Statale di Miliano, tra i relatori alla plenaria:

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R. - Abbiamo avuto sia testimonianze di dialogo concreto, di convivenza difficile, ma anche feconda tra popoli e religioni diverse, sia speranze e aperture, sia la prospettiva di un avanzamento nella capacità di governare i conflitti e promuovere la cooperazione internazionale, attraverso il rafforzamento di istituzioni internazionali. Il cardinal Bertone ha molto ben sottolineato il fatto che bisogna passare da una governance puramente intesa in senso tecnico, “in senso debole” lui diceva, una governance che abbia una sostanza etica, che abbia un più profondo incardinamento in un sistema di valori. Questo credo sia un grande obiettivo cui tendere.

D. – Si può dire, prof. Ambrosini, che in Europa ci siano politiche di resistenza alle migrazioni?

R. – Certamente, c’è una dimensione di chiusura che fa parlare di “fortezza Europa”, una tensione tra un’economia anche delle famiglie – non dimentichiamolo – che hanno bisogno di immigrati, che li attirano e, dall’altra parte, delle istituzioni politiche, delle opinioni pubbliche, che invece vogliono più restrizioni, più controlli, più frontiere. In questa tensione noi siamo diventati importatori riluttanti di immigrati: ne abbiamo bisogno, ma non li vogliamo.

D. – A che punto è la messa a punto di meccanismi che permettano l’integrazione economico-sociale degli immigrati in Europa?

R. – La messa a punto di meccanismi è abbastanza debole e come sappiamo lascia morti e feriti sul campo. Ciò nonostante i migranti stessi, tra mille difficoltà, promuovono processi di integrazione, attraverso i ricongiungimenti familiari, attraverso l’educazione, la scolarizzazione, per esempio delle seconde generazioni, cui tengono molto in generale, attraverso la promozione di nuove attività segnatamente di lavoro autonomo, che rappresenta la principale via di miglioramento della condizione degli immigrati nelle nostre società.

D. – Cosa dice di fronte a chi teme che l’identità culturale italiana possa essere in qualche modo attaccata e, quindi, annacquata da una presenza troppo ampia di stranieri? Questa è un’opinione piuttosto diffusa tra la gente…

R. – E’ un timore che effettivamente esiste. La cosa strana, però, è che non ci rendiamo conto che i maggiori danni all’identità culturale italiana forse vengono da altre parti. Pensiamo ai modelli di consumo americani, che sono diffusi dalla televisione, dal cinema, dai mass media in generale. Mi sembra che stiano cambiando molto di più la nostra vita questi modelli, per esempio in campo familiare, di quanto non avvenga con l’arrivo di popolazioni immigrate. Forse le nostre paure, che ci sono e hanno dei fondamenti, stanno individuando un bersaglio sbagliato su cui appuntarsi. Io penso che anche la diversità religiosa possa essere un’occasione per approfondire e capire meglio i fondamenti della nostra fede religiosa, per farla crescere con quella umiltà teologica, che ci richiamava il rabbino David Rosen.

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