Una missionaria d’amore che ha sperimentato nel dolore la felicità in Cristo: Maria
Rosa Pellesi è la religiosa beatificata a Rimini dal cardinale Saraiva Martìns
Ha speso la sua vita con amore nel dolore ma è sempre stata felice di offrire la sua
sofferenza a Dio e per l’umanità. Questo ha portato Maria Rosa Pellesi agli onori
degli altari. La religiosa della Congregazione delle Suore Francescane Missionarie
di Cristo, morta nel 1972 all’età di 55 anni, è stata proclamata Beata stamattina,
nella cattedrale di Rimini, dal cardinale José Saraiva Martìns, prefetto della Congregazione
delle Cause dei Santi. Il servizio di Tiziana Campisi:
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In
lei, si è dispiegato l’abisso del mistero della Passione, morte e risurrezione di
Cristo, che l’ha chiamata a passare attraverso la grande tribolazione, lasciando che
le sue vesti venissero lavate e rese candide col sangue dell’Agnello, ha sottolineato
il cardinale José Saraiva Martìns. Maria Rosa Pellesi ha vissuto 27 anni in un sanatorio
per una grave forma di tubercolosi polmonare che ha richiesto dolorose terapie. Ma
pur debilitata la religiosa riuscì a dire: “Sono ancora un coccio servibile. Gesù
è tutto per me e il mio cuore è pieno. Sono felice”. Per 17 anni, le provocò strazi
il frammento di un ago spezzatosi per un errore medico nel suo torace, eppure, nel
ricordare il suo 25° di malattia, volle ringraziare Dio con queste parole: “Sono stati
anni di grazia. Aiutami a dimenticarmi, a donarmi a te e agli altri tutti nel mondo”.
“Pur chiusa in un angusto ospedale - ha detto il cardinale Saraiva Martìns - spaziava
con l’anelito missionario di Cristo verso l’umanità. Se c’è un immediato segno di
riconoscimento di suor Maria Rosa - ha proseguito il prefetto della Congregazione
delle Cause dei Santi - questo è sicuramente il sorriso che diventava la prima carità
verso chi viveva con lei, ma che si traduceva anche in gesti umani umilissimi e forti
di ascolto, di pazienza, di servizio che le richiedevano un prezzo altissimo di abnegazione
e di dono di sé”. Nel terminare la sua omelia, il porporato ha affermato che la Beata
Maria Rosa “ci invita alla speranza”, “a non lasciarci inchiodare dai nostri limiti
e” dalle nostre “colpe”. Come lei, ha concluso, dobbiamo pregare perché Gesù agisca
in ciascuno di noi “per costruire sulle macerie” della miseria umana, “quel capolavoro
che” Dio “si è prefisso fin dall’eternità”.
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E sulla figura
della nuova Beata, Giovanni Peduto ha intervistato il postulatore della Causa
di beatificazione, padre Florio Tessari. A lui ha chiesto di descrivere il
percorso che ha portato Maria Rosa Pellesi alla consacrazione: **********
R.
- Maria Rosa, al secolo Bruna, nata il 10 novembre 1917 a Frignano sul Secchia, nel
modenese, da genitori contadini dalla fede profonda ed ultima di nove fratelli, era
una ragazza vivace, che amava vestirsi bene, alla moda e che non lesinava la cura
del proprio corpo. Era corteggiata dai giovani, era una delle bellezze del paese.
Era colma del desiderio di amare e di essere amata. A 17 anni conosce l’amore per
un giovane del paese, lo frequenta per un po’ di tempo, poi lo lascia perché il suo
cuore batte già per un Altro: Cristo è diventato il termine esclusivo del suo amore.
Nel 1933, con la morte di due giovanissime cognate che avevano lasciato sei bambini,
Maria Rosa si sente coinvolta e fa loro da mamma. Ma contemporaneamente intensifica
la sua vita cristiana. A 23 anni lascia la famiglia per entrare fra le Suore Francescane
Missionarie di Cristo. A 26 anni è colpita da tubercolosi, malattia che l’accompagnerà
per tutta la vita, cioè per 27 anni. Fu ricoverata 3 anni al Sanatorio di Gaiato di
Modena e 24 al "Pizzardi" di Bologna. Le estraevano il liquido dai polmoni anche 5
volte al giorno. Il dottor Rossi, un medico del Pizzardi, ricorda: “Quante volte,
per necessità di cure, ho trafitto con grossi aghi il costato di suor Maria Rosa:
io solo, certamente molte volte; più di mille un giorno ne contai nella cartella clinica;
ma altri medici, per anni ancora, dovettero continuare quell’intervento quotidiano.
Io non ho sentito, mai, dico mai, un lamento”. Costretta all’inerzia, era tuttavia
l’anima della sua Famiglia religiosa: era il respiro ampio, la freschezza mentale,
la nobiltà d’animo. Il 6 novembre 1972 è trasportata all’Istituto San Giuseppe di
Sassuolo, dove vivrà gli ultimi venticinque giorni della sua vita. Con un fil di voce
regala il distillato del suo cuore: “Lo dico in un momento in cui non posso tradire…
quello che conta è amare il Signore. Sono felice perché muoio nell’amore, sono felice
perché amo tutti”. Sono le ultime parole. Poi spira dolcemente alle ore 20 del 1°
dicembre 1972.
D. - Qual è stato il carisma di questa
donna?
R. - E’ una religiosa Francescana Missionaria
di Cristo, semplice e disponibile a riconoscere Cristo nella realtà e ad aderire a
Lui, lieta di servire, di gioire e di soffrire per amore Suo. Ecco i quattro segreti
di Maria Rosa. "Essere di Gesù" è stato il suo instancabile anelito, la prima occupazione
e preoccupazione: questo è stato il primo segreto. "Si è consegnata come un’Agnella,
non ha aperto bocca": è il suo secondo segreto. L’intimità con l’Eucaristia: lì imparava
a tacere, come Gesù nella Passione: questo è il terzo segreto. "Fare del bene sempre,
finché si può, a tutti": questo è il suo quarto segreto.
D.
- In quale contesto è vissuta e dove ha espletato la sua attività? R.
- Il contesto nel quale è vissuta è stato il Sanatorio. Dei suoi 55 anni di vita,
27 li ha passati in ospedale. “Ho iniziato la mia vita sanatoriale piangendo, ma ho
chiesto al buon Dio di terminarla cantando le sue misericordie, e sono stata esaudita…
Non so che cosa stia avvenendo in me. So solo che sento Gesù vicino, vicino: sento
che non è più disposto ad aspettare come ha fatto sino ad ora. Egli vuole tutto, tutto,
anima, cuore, corpo. Mio Dio, come è bella la vita quando Gesù, solo, è nel nostro
cuore (Bologna, Pasqua 1956)”.
D. - Un episodio significativo
della sua vita?
R. - Nel 1969, le viene diagnosticata
una distrofia angiosclerotica della retina che la rende quasi cieca. Suor Maria Rosa
ha un movimento di sgomento: “La cecità mi fa paura”. Ma poi si abbandona: “E’ Gesù
che chiede e io non posso fare a meno di ripetere: sì, Gesù, sangue per sangue, amore
per amore. Vorrei parlare della mia gioia, della gioia pura che dà il Signore quando
si fa allegramente la sua Volontà. Ogni giorno e tante volte al giorno, ripeto il
mio "Fiat voluntas tua, Domine" e Lui mi riempie il cuore di pace e gioia”.
D.
- Quale messaggio lascia al mondo d’oggi?
R. - Suor
Maria Rosa è vissuta fuori delle mura del convento, ma tra quelle del sanatorio -
microcosmo tra reclusione e clausura - in un ambiente laico, e là ha vissuto nell’ordinarietà
dei giorni una straordinaria intimità con il Signore. Come a dire che la santità è
per tutti ed è possibile in qualunque contesto. Vive in uno spazio chiuso e ristretto
con una coscienza cattolica, cioè in un abbraccio totale al mondo e alla vita della
Chiesa. La sua è una credibile testimonianza che si può essere felici nella malattia,
che si può vivere il centuplo promesso da Cristo in ogni circostanza della vita. Ed
è proprio questo suo "segreto" a farne una grande donna che la Chiesa proclamerà Beata.