2007-04-29 14:44:44

In 50 Paesi del mondo, manifestazioni di solidarietà contro le stragi che insanguinano il Darfur


Il mondo si mobilita per solidarietà nei confronti del Darfur. Trecentomila morti e due milioni e mezzo di profughi in 4 anni: è questo l'agghiacciante quadro della situazione che presenta la regione sudanese messa in ginocchio dal feroce conflitto in corso tra le milizie arabe Janjaweed, appoggiate non ufficialmente dal governo e i ribelli delle tribù locali. Ma nonostante i numeri inducano a parlare di un vero e proprio genocidio, è ancora diffusa l’indifferenza nella comunità internazionale. Per contrastarla si è svolto oggi a Roma, e in contemporanea in altri 50 paesi nel mondo, il "Global Day for Darfur". Sulla situazione di questa martoriata regione africana, Paolo Ondarza ha sentito Irene Panozzo, giornalista di "Lettera 22" ed esperta dell’area: RealAudioMP3
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R. - Il Darfur, in questi ultimi tempi, non ha avuto grandi miglioramenti rispetto a quella che è stata la sua storia negli ultimi anni, cioè da quando nel 2003 è scoppiata la guerra tra una serie di gruppi ribelli della regione e il governo nazionale di Kartuun e le milizie Janjaweed che il governo sostiene e pare abbia finanziato in passato. Soprattutto, a partire dal maggio del 2006, quando è stato firmato un trattato di pace tra una fazione di uno dei gruppi ribelli e il governo di Karthoum, la situazione in realtà è peggiorata. Questo accordo di pace ha causato la divisione ulteriore dei gruppi ribelli che hanno iniziato a farsi la guerra tra di loro.

 
D. - I primi a pagare il duro prezzo sono i civili?

 
R. - Diciamo che anche in Darfur è stata applicata una sorta di regola aurea delle guerre sudanesi, che è quella della politica della terra bruciata: ovvero, attacchi dal cielo con l’aviazione governativa seguiti poi da razzie e scorribande delle varie milizie che mettono a ferro e fuoco i villaggi.

 
D. - Qualcuno chiama in ballo la responsabilità di potenze come la Cina. Come mai?

 
R. - Perché la Cina ha grandi interessi e grandi rapporti di business con il governo di Karthoum e in questi quattro anni ha utilizzato spesso il proprio peso e soprattutto il proprio diritto di veto all’interno del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per ostacolare ogni decisione che, ad esempio, applicasse delle sanzioni nei confronti del Sudan o che prevedesse un intervento di peace keeper. Negli ultimi mesi, qualcosa si sta un po’ muovendo nel senso che è ormai da un anno e mezzo che tra il governo di Karthoum e la Nazioni Unite c’è un lungo braccio di ferro sull’eventualità di mandare dei caschi blu in Darfur e la Cina, in questo caso, non si è opposta.

 
D. - E l’intervento dell’ONU è auspicabile?

 
R. - Può essere auspicabile nel senso che sicuramente in questo momento la forza dell’Unione Africana ormai da tempo non ha più la forza - anche economica - per fare la differenza sul terreno. Però non è quella la soluzione: la soluzione è necessariamente una soluzione politica.

 
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