2007-04-08 14:10:22

L’amore di Dio, che ha vinto la morte, è più forte anche dell’odio e può illuminare gli “inferi di questo nostro tempo moderno”. Così il Papa alla Veglia Pasquale in San Pietro


L’amore di Dio è più forte della morte. Con la Risurrezione di Cristo l’uomo può giungere a Dio, aggrappato a Gesù, con la certezza di trovarsi tra le mani buone del Padre. Questo il cuore dell’omelia pronunciata da Benedetto XVI, ieri sera, durante la Veglia Pasquale nella Basilica Vaticana. Nel corso della celebrazione, il Papa ha battezzato 2 bambini e 6 donne: due cinesi, due giapponesi, una cubana e una camerunense. Toccante la preghiera del Santo Padre rivolta a Dio al termine dell’omelia: “Signore, dimostra anche oggi che l’amore è più forte dell’odio”, ha detto il Papa, discendi “negli inferi di questo nostro tempo moderno”. Il servizio di Tiziana Campisi: RealAudioMP3

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(Musica)

“Discendendo nella notte della morte”, Gesù ha portato “a compimento il cammino dell’incarnazione”, “la mano del Padre lo ha sorretto”, “e così Egli ha potuto rialzarsi, risorgere”, conducendo l’uomo al Padre. La Pasqua è questo, ha spiegato Benedetto XVI: “Il viaggio di Cristo fin nelle profondità estreme della terra” per portare la luce:

“Sono risorto e ora sono sempre con te’, dice a ciascuno di noi. La mia mano ti sorregge. Ovunque tu possa cadere, cadrai nelle mie mani. Sono presente perfino alla porta della morte. Dove nessuno può più accompagnarti e dove tu non puoi portare niente, là ti aspetto io e trasformo per te le tenebre in luce”.

La Risurrezione di Cristo non è altro che aprirsi alla fiducia in Dio, ha aggiunto il Papa ricordandoci che Dio “non ci lascia mai cadere dalle sue mani” che “sono mani buone”. Con Cristo viviamo un “nuovo inizio”, ha sottolineato poi il Santo Padre, così come nel Battesimo nasciamo a vita nuova:

“Nel Battesimo abbandoniamo noi stessi, deponiamo la nostra vita nelle sue mani, così da poter dire con san Paolo: ‘Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me’. Se in questo modo ci doniamo, accettando una specie di morte del nostro io, allora ciò significa anche che il confine tra morte e vita diventa permeabile. Al di qua come al di là della morte siamo con Cristo e per questo, da quel momento in avanti, la morte non è più un vero confine. Paolo ce lo dice in modo molto chiaro nella sua Lettera ai Filippesi: ‘Per me il vivere è Cristo!’”.

“Nel Battesimo – ha spiegato – insieme con Cristo, abbiamo già fatto il viaggio cosmico fin nelle profondità della morte”, “accolti da Lui nel suo amore, siamo liberi dalla paura”. Quindi, il Papa si è soffermato sul modo in cui Cristo ha vinto la morte:

“La porta della morte è chiusa, nessuno può tornare indietro da lì. Non c’è una chiave per questa porta ferrea. Cristo, però, ne possiede la chiave. La sua Croce spalanca le porte della morte, le porte irrevocabili. Esse ora non sono più invalicabili. La sua Croce, la radicalità del suo amore è la chiave che apre questa porta. L’amore di Colui che, essendo Dio, si è fatto uomo per poter morire – questo amore ha la forza per aprire la porta. Questo amore è più forte della morte”.

E amore che vince la morte sono anche le “ferite” di Gesù, ha proseguito il Santo Padre. Entrando “nel mondo dei morti”, Cristo “porta le stimmate”, ma “i suoi patimenti sono diventati potenza”. “L’atto estremo dell’amore” di Gesù è “il suo morire” e il prendere “per mano Adamo, tutti gli uomini in attesa”, e il portarli alla luce, verso Dio:

“Solo il Cristo risorto può portarci su fino all’unione con Dio, fin dove le nostre forze non possono arrivare. Egli prende davvero la pecora smarrita sulle sue spalle e la porta a casa. Aggrappati al suo Corpo noi viviamo, e in comunione con il suo Corpo giungiamo fino al cuore di Dio. E solo così è vinta la morte, siamo liberi e la nostra vita è speranza. È questo il giubilo della Veglia Pasquale: noi siamo liberi”.

E nel concludere la sua omelia, Benedetto XVI ha voluto pregare perché l’amore di Dio, forte più della morte, possa vincere anche l’oscurità dei giorni nostri:

“Signore, dimostra anche oggi che l’amore è più forte dell’odio. Che è più forte della morte. Discendi anche nelle notti e negli inferi di questo nostro tempo moderno e prendi per mano coloro che aspettano. Portali alla luce! Sii anche nelle mie notti oscure con me e conducimi fuori! Aiutami, aiutaci a scendere con te nel buio di coloro che sono in attesa, che gridano dal profondo verso di te! Aiutaci a portarvi la tua luce! Aiutaci ad arrivare al ‘sì’ dell’amore, che ci fa discendere e proprio così salire insieme con te!”.
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La fede nella Risurrezione è dunque al centro del Cristianesimo. Come dice San Paolo, senza la Risurrezione è vana la nostra fede: ecco in proposito la riflessione dell’arcivescovo Angelo Comastri, vicario del Papa per lo Stato del Vaticano, al microfono di Giovanni Peduto:

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R. – Perché la religione cristiana poggia tutto sul futuro. Noi aspettiamo un nuovo giorno, un nuovo giorno che però è già iniziato, è già iniziato in Cristo Risorto. Il dolore già è vinto, la cattiveria già è sconfitta, e sapere questo è qualcosa di straordinario. Per questo anche in mezzo alle tribolazioni, anche in mezzo alle prove, anche in mezzo alle persecuzioni, la Chiesa canta, può cantare alleluia perché il più bello deve ancora venire, il più bello deve ancora compiersi e noi sappiamo qual è questo compimento: è Gesù Risorto. Noi stiamo camminando in quella direzione, stiamo aspettando Cieli nuovi e Terra nuova, cioè la Risurrezione, nostra e della creazione, cioè la liberazione totale dal peccato. Quanto è bello avere questa certezza, quanto è bello camminare nel mondo sapendo che i passi vanno verso una meta. Una delle sofferenze più grosse della società di oggi sta proprio nell’essersi convinta che tutto vada verso il niente. Ernesto Hemingway disse parole terribili: ‘Tutto è niente, tutto è nada’. Invece il Cristianesimo dice: "No, tutto è Risurrezione, tutto approda verso la Risurrezione". I giorni che noi viviamo, le fatiche che noi sopportiamo, le pene che noi proviamo non sono altro che piccoli passi, i passi dell’esilio, le fatiche dell’esilio, i disagi dell’esilio, i disagi del pellegrino se vogliamo, ma approdano a una meta, approdano alla festa, e arriverà il giorno in cui ci toglieremo gli abiti del pellegrino e indosseremo gli abiti della festa, gli abiti della Risurrezione.

 
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