Nella Messa in Cena Domini il Papa spiega la Pasqua di Gesu’ ricorrendo agli scritti
di Qumran
L’amore di Gesù, che è insieme Figlio di Dio e vero uomo, può salvare; è un amore,
il suo, che lo porta a donarsi liberamente per noi sulla Croce e la Messa in Cena
Domini non è altro che memoria della Croce e della Risurrezione di Cristo. Così Benedetto
XVI ieri pomeriggio durante la celebrazione che a San Giovanni in Laterano ha aperto
il Triduo Pasquale e nel corso della quale ha ripetuto il gesto della lavanda dei
piedi. Il servizio di Tiziana Campisi:
***********
Nell’Ultima
Cena Gesù si è manifestato quale servo di Dio lavando i piedi ai suoi discepoli, ha
lasciato nell’Eucaristia il memoriale della nuova alleanza, ci ha dato il comandamento
nuovo e ha pregato per l’unità dei credenti. Ricordano questo i cristiani il Giovedì
Santo, giorno in cui il “mistero meraviglioso” del dono di Cristo, va meditato ancora
di più. Da qui l’invito di Benedetto XVI a pregare Dio perché ci aiuti a comprenderlo
“sempre più profondamente”, “ad amarlo sempre di più e in esso amare sempre di più
Lui stesso”. Nella sua omelia, il Papa, ha voluto spiegare meglio il significato del
sacrificio di Cristo chiarendo il senso della Pasqua ebraica e la novità portata da
Gesù. Se “al centro della cena pasquale” degli ebrei “stava l’agnello come simbolo
della liberazione dalla schiavitù in Egitto” e il ringraziamento a Dio per aver “preso
in mano la storia del suo popolo”, la cena di Gesù è l’offerta del suo corpo e del
suo sangue; “in luogo dell’agnello” Cristo “ha donato se stesso”. E citando una catechesi
di San Giovanni Crisostomo il Santo Padre ha precisato:
“L’agnello poteva
costituire solo un gesto simbolico e quindi l’espressione dell’attesa e della speranza
in Qualcuno che sarebbe stato in grado di compiere ciò di cui il sacrificio di un
animale non era capace”.
In pratica, ha sottolineato Benedetto XVI,
l’antica “commemorazione dell’agire salvifico di Dio”, l’haggadah pasquale, “è diventata
memoria della croce e risurrezione di Cristo”; la berakha, la preghiera di benedizione
e ringraziamento di Israele, invece, “è diventata la nostra celebrazione eucaristica,
in cui il Signore benedice” “pane e vino per donare in essi se stesso”. “Nel momento
in cui porgeva ai discepoli il suo corpo e il suo sangue”, Gesù “ha offerto Egli stesso
la sua vita”, ha evidenziato il Santo Padre, “solo così l’antica Pasqua otteneva il
suo vero senso”. Cristo “era l’agnello atteso, quello vero”, ha proseguito Benedetto
XVI, “come aveva preannunciato Giovanni Battista all’inizio del ministero pubblico
di Gesù: ‘Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!’”:
“Ed
è Egli stesso il vero tempio, il tempio vivente, nel quale abita Dio e nel quale noi
possiamo incontrare Dio ed adorarlo. Il suo sangue, l’amore di Colui che è insieme
Figlio di Dio e vero uomo, uno di noi, quel sangue può salvare. Il suo amore, quell’amore
in cui Egli si dona liberamente per noi, è ciò che ci salva”.
“L’immolazione
dell’innocente ed immacolato agnello, ha trovato risposta in Colui che per noi è diventato
insieme Agnello e Tempio”, ha aggiunto il Papa che ha poi definito la Croce il cuore
della Pasqua nuova di Gesù:
“Da essa veniva il dono nuovo portato da
Lui. E così essa rimane sempre nella Santa Eucaristia, nella quale possiamo celebrare
con gli Apostoli lungo il corso dei tempi la nuova Pasqua. Dalla croce di Cristo viene
il dono”.
Una “cena dai molteplici significati”, quella celebrata da
Gesù “con i suoi la sera prima della Passione” ha detto il Santo Padre che ha voluto
anche suggerire una “possibile soluzione convincente” all’“apparente contraddizione”
del racconto che di essa ci hanno lasciato Giovanni e i Vangeli sinottici. Il primo
descrive che “Gesù morì sulla Croce, precisamente nel momento in cui nel tempio, venivano
sacrificati gli agnelli pasquali” lasciando dedurre che “Egli morì alla vigilia di
Pasqua e quindi non potè personalmente celebrare la cena pasquale”:
“Questo,
almeno, è ciò che appare. Secondo i tre Vangeli sinottici, invece, l’Ultima Cena di
Gesù fu una cena pasquale, nella cui forma tradizionale Egli inserì la novità del
dono del suo corpo e del suo sangue”.
Ma tenendo in considerazione
gli scritti di Qumran, ha proseguito Benedetto XVI, i testi si conciliano:
“Egli
però ha celebrato la Pasqua con i suoi discepoli probabilmente secondo il calendario
di Qumran, quindi almeno un giorno prima – l’ha celebrata senza agnello, come la comunità
di Qumran, che non riconosceva il tempio di Erode ed era in attesa del nuovo tempio.
Gesù dunque ha celebrato la Pasqua senza agnello - no, non senza agnello: in luogo
dell’agnello ha donato se stesso, il suo corpo e il suo sangue”.
La
memoria della croce, ha detto poi il Papa, “non ricorda semplicemente il passato”,
“ci attira entro la presenza dell’amore di Cristo”. E nel far memoria di tale amore,
ha concluso, bisogna pregare Dio perché ci aiuti ad amarlo sempre più:
“Preghiamolo
di aiutarci a non trattenere la nostra vita per noi stessi, ma a donarla a Lui e così
ad operare insieme con Lui, affinché gli uomini trovino la vita – la vita vera che
può venire solo da Colui che è Egli stesso la Via, la Verità e la Vita”.
Dopo
l’omelia Benedetto XVI ha ripetuto il gesto compiuto da Gesù durante l’Ultima Cena,
la lavanda dei piedi, il mandato richiesto da Cristo per essere al servizio dei fratelli,
mentre, come atto di carità, i fedeli sono stati invitati a fare delle offerte per
il Dispensario medico di Baidoa, in Somalia. Un gesto per rispondere all’invito che
Gesù ci ha rivolto nella Sua ultima ora: amatevi come io vi ho amati.
***********
Ma
come è stata accolta in Somalia l’iniziativa del Papa? Giancarlo La Vella ne
ha parlato con Davide Bernocchi, direttore della Caritas Somalia:
**********
R.
– Con un senso di grande gratitudine verso il Santo Padre perché in questo momento
si parla di Somalia solo in termini di violenza, e quindi il fatto di riservare un’attenzione
ad un progetto di servizio, ad un progetto umanitario, credo sia un segno di speranza,
di considerazione – appunto – per le sofferenze di questo popolo di cui poco si parla,
e anche credo che tutti possano leggere in questo un omaggio alle tante persone che
hanno sacrificato la propria vita per la giustizia e la pace in Somalia. L’ultimo
esempio è stato quello di suor Leonella Sgorbati, assassinata a Mogadiscio il 17 settembre
dell'anno scorso. In questo momento particolare, l’emergenza primaria è
legata ai profughi che a migliaia lasciano Mogadiscio a causa degli scontri. Però,
la Somalia è in emergenza da 16 anni a questa parte e l’emergenza riguarda un po’
tutti i settori: la gente non ha accesso all’acqua potabile, non ci sono scuole, non
ci sono servizi sanitari e quindi la situazione è veramente disastrosa!
D.
– Dal punto di vista politico, la Somalia è un terreno su cui si sono scontrate e
si scontrano varie realtà. Si riesce a intravedere uno spiraglio di dialogo?
R.
– In questo momento è molto difficile vedere questo spiraglio perché, comunque sia,
alle dinamiche distruttive interne, proprie della società somala, si è aggiunta anche
quella militare esterna, per esempio, dell’esercito dell’Etiopia che a dicembre, appunto,
ha partecipato ad una guerra insieme alle istituzioni somale contro le Corti islamiche,
e questo purtroppo non ha fatto che complicare la situazione interna. Direi che, se
una speranza c’è, non è certo – dal mio punto di vista – quella della soluzione militare
ma quella del dialogo interno tra somali, un dialogo che fissi delle regole e le rispetti,
perché comunque è innegabile che oggi, dal 2004 a questa parte, c’è un quadro istituzionale
che è quello delle Istituzioni federali di transizione, all’interno del quale questo
dialogo deve aver luogo.