La riflessione di mons. Comastri sul Giovedì Santo
Benedetto XVI presiederà oggi pomeriggio nella Basilica di San Giovanni in Laterano
la Messa nella Cena del Signore che apre il Triduo Pasquale. La Radio Vaticana trasmetterà
la cronaca del rito, in lingua italiana, a partire dalle 17.20 sull'onda media di
585 kHz e sulla modulazione di frequenza di 105 MHz. Per una riflessione sul Giovedì
Santo ascoltiamo l’arcivescovo Angelo Comastri, arciprete della Basilica di
San Pietro e vicario del Papa per lo Stato del Vaticano, al microfono di Giovanni
Peduto:
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R.
– Il Giovedì Santo è il giorno del Cenacolo, il giorno dell’intimità, così come l’ha
voluta Gesù e così come l’ha vissuta Gesù. La Chiesa, nel Giovedì Santo, ritorna attorno
al tavolo dell’Ultima Cena e rivive con emozione e con stupore il gesto della lavanda
dei piedi, un gesto straordinario, un gesto con un messaggio che noi non riusciremmo
mai ad imparare. Pensiamo che cosa stupenda: Dio, l’Infinito, l’Onnipotente, che si
inginocchia davanti agli Apostoli e lava i piedi gridando: “Dio è umile, e voi siete
orgogliosi!”. Che paradosso! Quanto c’è da imparare. Ancora, nel Giovedì Santo la
Chiesa rivive l’emozione del dono del sacerdozio. Gesù che prende dei poveri uomini,
come lo erano gli apostoli, e dice: “Io imprimo nella vostra carne, nella vostra anima,
qualcosa di me. Vi invito a continuare la mia missione e vi chiedo di prestarmi i
vostri occhi, la vostra bocca, i vostri orecchi, il vostro cuore, le vostre mani,
i vostri piedi perché io possa continuare ad essere pastore del mio gregge. Pastore
della mia Chiesa”. Un dono straordinario, il sacerdozio! E nel sacerdozio, il dono
dell’Eucaristia: l’Ultima Cena che continua; la cena che diventa il pasto quotidiano
della comunità dei discepoli che aspetta il ritorno di Gesù. E mentre aspetta il ritorno
di Gesù, ricorda e, ricordando, rivive e riceve la forza: il pane dei pellegrini,
il pane di coloro che camminano, il pane di coloro che hanno da fare tanta strada
per arrivare alla meta. E ugualmente, il Giovedì Santo è il giorno del dono del grande
comandamento: il comandamento dell’amore, il comandamento che ci distingue, il comandamento
che fa di noi il popolo della Nuova Alleanza. “Amatevi come io ho amato voi”, fino
al paradosso, fino al gesto estremo, fino al punto oltre il quale non si può andare,
fino a dare la vita! Il Giovedì Santo è un giorno che la Chiesa deve continuamente
rivivere, continuamente rivisitare, proprio per essere Chiesa. D.
– Come mettere, davvero, l’Eucaristia al centro della vita?
R.
– Il Santo Padre Benedetto XVI ha ricordato nella recente Esortazione apostolica –
ma già Giovanni Paolo II insistentemente ce l’aveva detto nell’Anno dell’Eucaristia
– che l’Eucaristia è il più grande dono che Gesù ci ha fatto in questo tempo di attesa,
e l’Eucaristia non è una devozione, è la devozione. E’ la prima devozione del cristiano,
perché l’Eucaristia è la presenza di Gesù in mezzo a noi, la presenza nel gesto dell’amore.
Io credo che dobbiamo riscoprire la celebrazione eucaristica, che non deve essere
fatta in modo affrettato e improvvisato. L’Eucaristia dev’essere preparata e dopo
essere celebrata dev’essere continuamente ripresa in modo che sia davvero al centro
della nostra vita. E in questo è di grande utilità la vita eucaristica. Un tempo,
nelle chiese, quando si entrava, si vedeva sempre qualche persona in ginocchio, qualche
persona che pregava. Io non dimentico mai che Edith Stein quando era atea – l’ha raccontato
lei stessa – entrò per curiosità artistica in una chiesa, in una chiesa di Colonia,
e rimase colpita nel vedere delle persone che pregavano: pregavano davanti all’Eucaristia.
E disse: “io avvertii qualcosa che mi colpì; ebbi proprio netta l’impressione che
stessero parlando con Qualcuno, nell’Eucaristia”. Questo dobbiamo recuperarlo, dobbiamo
riscoprirlo. La visita eucaristica io credo che potrebbe essere un bell’impegno da
rimettere al centro per ricostruire la spiritualità del cristiano e la spiritualità
delle comunità cristiane. ***********