2007-04-04 14:35:12

Ricorre oggi la Giornata Mondiale contro le mine antipersona


Ricorre oggi la Giornata internazionale di sensibilizzazione alle mine e per la collaborazione nella lotta contro gli ordigni, indetta dalle Nazioni Unite. Dieci anni fa si raggiunse l’accordo sulla cosiddetta Convenzione di Ottawa, il trattato di messa al bando delle mine terrestri: dai 122 Stati che nel dicembre 1997 siglarono l’intesa si è passati ad oltre 150 Paesi aderenti. Ben 40 milioni di ordigni sono stati eliminati, come ricorda il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, nel messaggio per l’odierna Giornata. Ma a che punto è oggi lo sminamento nel mondo? Giada Aquilino lo ha chiesto a Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro le mine-Onlus:

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R. - Sono stati fatti dei grandi passi avanti, perché hanno aderito a questo trattato 153 Stati, che si sono pure impegnati a bonificare i loro territori. Purtroppo esiste il problema di una contaminazione enorme: attualmente più di 70 Paesi hanno il problema delle mine antipersona. Sappiamo che la ‘vita media’ di una mina è di oltre 30 anni; alcune arrivano anche a 50 anni dopo la fine di un conflitto, da quando cioè sono state ‘piantate’ a terra.

 
D. – Questo significa che le mine antipersona continuano a provocare vittime?

 
R. – Assolutamente sì. Sono circa 20 mila ogni anno. Ovviamente è stato fatto un lavoro molto preciso rispetto ai Paesi a rischio. Il problema di fondo è che le bonifiche umanitarie costano moltissimo ed è difficile agire in maniera incisiva in poco tempo e con pochi fondi.

 
D. – Quali sono i Paesi più a rischio?

 
R. – L’Afghanistan, l’Iraq, anche la Cambogia ha delle mine e delle cluster bombs, le cosiddette bombe a grappolo. Possiamo inserire nella lista tutte le zone interessate da guerre recenti. Parliamo di mine antipersona, però spesso i bonificatori si trovano ad avere a che fare pure con ordigni inesplosi. Per esempio, abbiamo visto che nel Libano le cluster bombs sono milioni e sono disseminate su tutto il territorio.

 
D. – Parlando delle mine, ma anche delle cluster bombs e di altri ordigni simili, quale tipo di assistenza sul terreno è necessaria?

 
R. – L’assistenza alle vittime, il reinserimento socio-economico delle stesse, compresa la parte fisioterapica per chi ha perso o avuto danni ad arti del corpo. Poi, ovviamente c’è il problema di sensibilizzare la popolazione al rischio mine. Anche questa è un’attività di prevenzione estremamente importante. Inoltre c’è la bonifica. Da non dimenticare infine la pressione politica a livello internazionale, affinché gli Stati che non hanno siglato il Trattato di Ottawa lo firmino, come gli Stati Uniti, la Cina, l’India, il Pakistan, l’Iran. Ci sono anche Paesi che non hanno aderito all’intesa per un discorso di lealtà verso Stati alleati e in qualche modo tendono ad aspettare che gli ‘amici’ aderiscano per poi firmare pure loro.

 
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