L'Europa non rinneghi se stessa rifiutando le proprie radici cristiane: sull’appello
del Papa, la riflessione del cardinale Erdő, del vescovo Merisi e del prof. Baggio
L’Europa ritrovi se stessa, valorizzando le proprie radici cristiane: ha destato ampia
eco l’intervento di Benedetto XVI, sabato scorso, ai partecipanti al Congresso della
COMECE, la Commissione delle Conferenze Episcopali d'Europa. Un discorso appassionato
nel quale il Papa ha messo l’accento sui valori che devono guidare la costruzione
della casa comune europea, pena la negazione della sua stessa identità. Un appello
quanto mai urgente, anche alla luce della Dichiarazione di Berlino, approvata ieri
dal Consiglio Europeo, che non menziona le radici del Vecchio Continente. Per una
riflessione sul discorso del Papa ai vescovi dell’Europa, Alessandro Gisotti
ha intervistato il vescovo di Lodi, Giuseppe Merisi, delegato della CEI alla
COMECE:
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Sia
i vescovi con la loro testimonianza, sia i laici nei diversi settori di competenza,
sono chiamati a riproporre con coraggio, con fedeltà, il riferimento a questi grandi
valori. Poi questi valori vanno coltivati, testimoniandoli. I vescovi hanno prodotto
e proposto un loro messaggio che è stato consegnato al presidente Romano Prodi e agli
altri capi di Stato e di governo riuniti a Berlino. In questo messaggio c’è un riferimento
ai grandi valori che da sempre animano il cammino della comunità con l’invito a riconoscere
le radici cristiane e anche le tematiche che in questo momento sono presenti sul tavolo
del dibattito e ci preoccupano: la vita, la famiglia. Dobbiamo camminare insieme
rispettando le diversità, visto che c’è anche un lavoro da fare per incoraggiare i
laici in Europa. Speriamo che possano raccordarsi di più.
D.
– Molti cittadini europei, ha constatato il Papa, stanno perdendo fiducia nel proprio
avvenire. Quanto influisce, secondo lei, lo smarrimento delle proprie radici su questa
crisi di identità e di valori?
R. – Noi siamo chiamati,
come afferma giustamente il Papa, a riproporre con chiarezza, con fedeltà, il senso
del messaggio cristiano che attraverso la mediazione della dottrina sociale della
Chiesa è offerto per la promozione del bene vero della gente. Nel caso delle popolazioni
dell’Europa, non siamo chiamati unicamente a dire che siamo fedeli ad un nostro messaggio
ma a far sentire che questo messaggio è di aiuto se viene accolto e messo in pratica
nel cammino dell’Europa.
D. – Sono passati 50 anni
dalla firma dei Trattati di Roma. Quali sono le sue aspettative per il futuro e quale
il contributo che le Chiese, le comunità religiose, ed in particolare gli Episcopati
europei possono dare alla costruzione di questa casa comune europea?
R.
– Credo che ci sia da riflettere, da impegnarsi. Anche a Verona la Chiesa italiana,
riflettendo sul tema della speranza e della testimonianza, ha insistito su questo
tema della testimonianza, anche in Europa. I problemi che abbiamo in Italia relativi
all’evangelizzazione, ma anche alla promozione umana con attenzione alla questione
antropologica, devono diventare anche il nostro impegno: testimoniare, evangelizzare,
e favorire la promozione umana per il bene vero della gente.
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suo discorso alla COMECE, Benedetto XVI ha anche sottolineato che quando la comunità
non rispetta la dignità dell’essere umano finisce per non fare il bene di nessuno.
Su questo richiamo del Papa, Alessandro Gisotti ha intervistato il professor
Antonio Maria Baggio, docente di Etica sociale presso la Pontificia Università
Gregoriana:
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R.
– Credo che, ed emerge molto bene dal discorso del Papa, assistiamo a una debolezza
dell’intera identità europea. Quindi, la debolezza anche dell’affermazione dei valori
e dei diritti umani o addirittura il non vedere certi diritti, specie quando sono
dei più deboli. Sono tutte cose che stanno in piedi insieme. Quel che mi ha colpito
particolarmente del discorso del Papa è che questa sottolineatura, questa affermazione
dei diritti, è collegata all’idea di identità d’Europa. Il Papa in sostanza ha detto:
l’Europa si è costituita sulla base di alcuni valori, immessi dal cristianesimo. Il
cristianesimo ha dato un grande contributo, non è l’unica corrente ma certamente è
l’elemento fondamentale. Su questi diritti e su questi valori si è fatta l’Europa
e se viene meno il riconoscimento di questi valori e di questi diritti viene meno
l’identità dell’Europa e il rispetto per le persone.
D.
- Il Papa ha messo l’accento su quelle tendenze relativistiche che negano ai cristiani
il diritto stesso di intervenire. Quali strumenti hanno dunque i cristiani dell’Europa
e i laici in particolare per far sentire la propria voce?
R.
- Io intendo che il Papa abbia sottolineato la presenza in quanto cristiani, perché
come cittadini i cristiani hanno gli stessi diritti degli altri. E’ in quanto cristiani,
forse, che qualche volta ci sono delle discriminazioni. Però è anche vero che non
bisogna farsi intimidire. Il Papa esorta a questa presenza, presenza che deve essere
decisa quanto all’identità e alle idee ma anche rispettosa. Ci vuole decisione, ma
io esorterei anche a imparare il linguaggio universale, saper dire le nostre cose
di cristiani con un linguaggio che tutti possano capire.
D.
- La disaffezione che provano molti cittadini europei verso le istituzioni è il sintomo
di una mancanza di valori. Dunque, qual è la base su cui costruire la nuova Europa,
al di là degli interessi politici e economici?
R.
– Il Papa si occupa molto nel suo discorso di questo aspetto. Il Papa critica fortemente
il concetto corrente di azione politica che si basa sul pragmatismo, cioè sull’idea
che sia importante mettersi d’accordo sugli interessi materiali. Dice esplicitamente
che questo bilanciamento degli interessi, lui lo chiama anche “ponderazione dei beni”,
non è sostitutivo del bene comune. Il bene comune è un fine dell’azione politica della
società che ha un aspetto morale e se ha un aspetto morale dobbiamo chiederci dove
vogliamo andare, indipendentemente dai beni materiali che riusciremo ad acquisire.
Allora fare politica richiede avere un’identità e se l’Europa non ha un’identità e
non recupera i valori non può neanche raggiungere il bene comune.
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E
sui valori fondanti dell’Europa, si sofferma anche il cardinale Péter Erdő,
presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, intervistato dalla
nostra collega del programma ungherese, Marta Vertse:
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L’Unione
Europea, nella forma attuale, ci offre una grande occasione per la riconciliazione
dei popoli. Non si tratta ormai soltanto e soprattutto di una collaborazione puramente
economica, ma anche di una unione piuttosto umana e comunitaria e che forse può aiutarci
nella riconciliazione e anche nella guarigione delle ferite del passato. Dall’altra
parte, in questa occasione così solenne, bisogna riflettere anche sui valori che vengono
rappresentati dall’Unione Europea attualmente; certamente alcuni valori naturali,
fondamentali e i valori della nostra identità cristiana sembrano essere non soltanto
non sufficientemente rappresentati ma persino minacciati. Cerchiamo naturalmente di
far valere, all’interno del sistema dell’Unione, tutti questi valori ma bisogna trovare
anche il modo di rinforzarli nella realtà sociale e sociologica dei popoli perché
senza di questo sicuramente, con dei mezzi soltanto giuridici, non si riuscirà a rappresentare
sufficientemente questi valori così importanti per la stessa sopravvivenza di questi
popoli.