I cristiani contribuiscano ad un’Europa unita per favorire pace, giustizia e solidarietà
tra le genti: così il cardinale Attilio Nicora a conclusione del Congresso europeo
della COMECE
Nel processo di integrazione europea la passione innovatrice dei cristiani è chiamata
a misurarsi con la storia contemporanea per favorire pace, giustizia e solidarietà:
così stamani il cardinale Attilio Nicora, presidente dell’Amministrazione del Patrimonio
della Sede Apostolica, durante la celebrazione eucaristica che ha concluso, nella
Basilica di San Pietro il congresso europeo della COMECE “Valori e prospettive per
l’Europa di domani”. Nella sua omelia il porporato ha voluto ricordare l’invito rivolto
ieri da Benedetto XVI ad edificare una nuova Europa “realistica ma non cinica, ricca
di ideali e libera da ingenue illusioni, ispirata alla perenne e vivificante verità
del Vangelo”. Il servizio di Tiziana Campisi:
**********
Se l’integrazione
istituzionale europea ha compiuto indubbi e fruttuosi passi in avanti, è l’unità spirituale,
sempre invocata e indicata dai papi, la dimensione più esposta a rischio, ha avvertito
il cardinale Attilio Nicora. Evidenziando i contenuti del messaggio rivolto alla COMECE
da Benedetto XVI, il porporato ha espresso la stessa preoccupazione del Santo Padre
che, nell’attuale momento storico teme per l’Europa una singolare forma di apostasia
da se stessa e dalla propria genuina identità. Per questo il cardinale Nicora ha voluto
indicare ai cristiani la strada da percorrere:
“Il processo dell’integrazione
europea verso forme di sempre più giusta e feconda unità, è uno dei campi dove la
passione innovatrice dei cristiani è chiamata a misurarsi con la storia contemporanea
per favorire pace, giustizia e solidarietà tra le genti di questo singolare continente
ricco di contenuti e apporto esemplare incoraggiante ad un nuovo ordine mondiale”.
Alle parole del porporato hanno fatto eco, al termine della Messa, quelle
del presidente della COMECE, mons. Adrianus van Luyn, che nell’Europa unita vede uno
strumento per unire l’umanità intera nella diversità, un contributo alla civiltà dell’amore
nel mondo e alla costruzione del Regno di Dio, di giustizia, di amore e di pace:
“Con
questa fede e speranza torniamo alle nostre Chiese locali più che mai disposti ad
impegnarci con tutte le nostre forze per la riconciliazione e unione tra i popoli
e le nazioni, incarnando i valori umani fondamentali nel nostro Continente, aprendo
in tal modo pure delle prospettive feconde per gli altri Continenti”.
Il
cardinale Nicora ha voluto anche far proprio l’appello lanciato nel 1958 dall’allora
arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, ad un anno dalla firma dei trattati
di Roma che segnarono la nascita della Comunità europea,:
“Guardate bene
– diceva – e vedete che questa unione che sta delineandosi e che oscilla a stagione
a stagione fra una conclusione che sembra felice e una delusione che sembra mortale,
è un’unione fragile e precaria, piuttosto prodotta da forze estrinseche che la vogliono
che non palpitante di interiore vitalità propria ed autonoma”.
Ripetendo
le parole del futuro Paolo VI, il porporato ha detto che l’Europa avrà una unità spirituale
quando “una circolazione di pensiero, di sangue e di amicizia, di una cultura comune,
fonderà i diversi popoli”, ma con Montini ha anche osservato:
“I componenti
di questa unità – aggiungeva – non vogliono cedere nulla della loro sovranità e quindi
andiamo verso una pace che può essere equivoca, fragile e precaria. Abbiamo bisogno
che un’anima unica componga l’Europa, perché davvero la sua unità sia forte, sia coerente,
sia cosciente e sia benefica e ci soccorrano a questa convergenza delle aspirazioni
umane, cioè verso l’unità spirituale dell’Europa, le voci più qualificate di quelli
che la amano”.
Infine il cardinale Nicora ha rinnovato l’esortazione di
Benedetto XVI, il suo invito alla speranza:
“Non stancatevi e non scoraggiatevi
– ci ha detto il Papa – voi sapete di avere il compito di edificare, con l’aiuto di
Dio una nuova Europa, realistica ma non cinica, ricca di ideali e libera da ingenue
illusioni, ispirata alla perenne e vivificante verità del Vangelo”.
***********
Un
particolare messaggio in vista della seduta solenne del Consiglio europeo, oggi a
Berlino, per il 50.mo del Trattato di Roma, è stato affidato ieri mattina al presidente
del Consiglio italiano, Romano Prodi, dai partecipanti al Convegno organizzato dalla
COMECE, la Commissione degli episcopati dell’Unione Europea. Il “Messaggio di Roma”,
come è stato titolato, chiede in sostanza che il Vecchio continente “riconosca esplicitamente”
la lunga eredità del suo “patrimonio cristiano”. Il Convegno si è chiuso nel tardo
pomeriggio di ieri all’Hotel Ergife di Roma. Il servizio del nostro inviato, Alessandro
De Carolis.
**********
Romano Prodi ha accolto con piacere
il ruolo di latore del “Messaggio di Roma” conferitogli dai partecipanti al Convegno
della COMECE, che lo hanno stilato e approvato in vista dell’assise europea di oggi
a Berlino. Il Messaggio riecheggia da vicino i temi del discorso rivolto ai convegnisti
da Benedetto XVI, in udienza: una serie di sfide continentali – sviluppo e sicurezza
europee, difesa dei diritti umani e lotta agli abusi, attenzione ai giovani, tutela
dell’ambiente e del clima, ma anche cooperazione internazionale per sconfiggere la
povertà in Africa. “Chiediamo che l’UE sia guidata dai principi che hanno ispirato
l’unificazione europea fin dall’inizio”, tra i quali l’uguaglianza tra uomo e donna,
la pace, la solidarietà e la sussidiarietà. Prodi ha detto che “il non essere riusciti
ad inserire un riferimento alle radici cristiane dell’Europa nel Trattato costituzionale”
- per il quale ha confessato di essersi “lungamente e silenziosamente adoperato” –
“non significa misconoscerle. La difficoltà è nata per retaggi del passato”. E riferendosi
all’appuntamento di domani a Berlino ha commentato:
“E’ l’occasione per
ritornare a riflettere sul senso e la natura del progetto di integrazione europea.
E io sono d’accordo con voi, con le vostre conclusioni, che prima di ogni cosa l’Unione
Europea debba essere una solida comunità di valori. E il senso del documento è proprio
un documento di valori. L’Europa – lo ripeto da molto tempo – ha oggi più che mai
bisogno di un pensiero e di un’anima”.
Il vescovo di Rotterdam, Adrianus
van Luyn, presidente della COMECE, ha ribadito in conferenza stampa che quello del
Papa è stato “un avvertimento a prendere sul serio l’identità dell’Europa di cui il
cristianesimo è un elemento fondativo”. E sulla necessità di riaffermare l’efficacia
etica dei valori cristiani in ambito sociopolitico, educativo ed economico si sono
alternati i nove relatori che hanno preso la parola nel pomeriggio di ieri, tra cui
il rettore dell’Università Cattolica di Milano, Lorenzo Ornaghi – che ha parlato in
difesa della vita e della dignità umana - e la presidente della Federazione delle
associazioni familiari cattoliche in Europa, la tedesca Elisabeth Bussmann, che ha
definito “importante” il Messaggio di Roma per il “futuro sociale” del continente:
“Senza famiglia non c’è Stato - ha asserito - e ciò vale non solo per la Germania
ma anche per l’Europa”. Originale e suggestivo il consuntivo dei lavori tracciato
dall’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, vicepresidente della COMECE. Mettendo
a confronto le istanze dell’Europa del 21.mo secolo con le cattedrali europee - emblema
dei duemila anni di retaggio cristiano - il presule si è soffermato sull’apparente
“inutilità” delle guglie, lontane dalla sensibilità architettonica moderna. Eppure,
ha osservato, esse “sono il segno di quando le persone guardavano in alto, a ciò che
non è solo pragmatico e misurabile”, ma anche ideale, “senza il quale il mondo sarebbe
disumano”. I delegati del Convegno della COMECE, presenti stamani all’Angelus, hanno
concluso ieri sera il Convegno con un momento simbolico: la recita dei Vespri al cimitero
di San Lorenzo al Verano, dove riposa uno dei “padri” dell’Europa unita, Alcide De
Gasperi. Una cerimonia che ha visto il cardinale Attilio Nicora, presidente dell’Amministrazione
del Patrimonio della Sede Apostolica, recitare una preghiera in memoria dello statista
italiano alla presenza della figlia, Maria Romana De Gasperi.