2007-03-24 12:33:42

La Chiesa celebra la Giornata di preghiera per i missionari uccisi


Oggi la Chiesa celebra la Giornata di preghiera e di digiuno per i missionari uccisi sul tema “Speranza nel mondo”. L’appuntamento è promosso dal Movimento giovanile delle Pontificie Opere Missionarie e cade nell’anniversario della morte dell’arcivescovo di San Salvador Oscar Arnulfo Romero, ucciso mentre celebrava la Messa il 24 marzo 1980. L’iniziativa vuole ricordare in particolare i 24 missionari, sacerdoti, religiosi, religiose e laici, uccisi l’anno scorso in tutto il mondo. Ma qual è il volto dei martiri di oggi? Antonella Villani lo ha chiesto a Gerolamo Fazzini, condirettore della rivista del PIME Mondo e Missione e autore del libro “Lo scandalo del martirio”: RealAudioMP3

**********R. - Il martire di oggi non risponde ai canoni di un tempo nei quali per esempio, si immaginava la richiesta di abiurare la fede, pena la morte. Oggi questi casi sono estremamente rari; molto più frequente, invece, è il caso di chi vive la sua fede, la sua testimonianza, in contesti di per sé pericolosi e accettati come tali in nome della scelta che sta a monte, ossia quella di consacrarsi al Vangelo. Quindi, testimoni di Cristo laddove la storia li chiama.
 
D. – Perché i cristiani continuano ad essere uccisi nel mondo?

 R. – Perché in molti casi, annunciare e testimoniare il Vangelo, viverlo nella quotidianità con le scelte concrete che questo comporta, significa risultare scomodi. Questo può valere in contesti nei quali domina l’estremismo religioso, l’estremismo di marca musulmana ma anche induista, o contesti in cui dare testimonianza del valore della giustizia, così come lo addita il Vangelo, significa contrapporsi ai poteri forti, locali, siano essi quelli dei “fazenderos”, piuttosto che di altri potentati economici. Quindi, nella cattolicissima America Latina - non dimentichiamo che la Colombia paga un alto tributo in termini di cristiani uccisi - tanto in Paesi dove i cristiani invece sono in minoranza – annunciare il Vangelo può voler dire mettersi nella posizione di essere coscientemente vulnerabili proprio perché si annuncia una verità che incalza i potenti, una verità che provoca appunto reazioni violente.
 
D. – A parte la Colombia, quali altri sono i Paesi più a rischio?

 R. – L’India è uno dei Paesi dove oggi, per essere cristiani, comporta forti rischi, specie in alcuni stati indiani dove ci sono presenze estremiste, induiste. Tra i Paesi musulmani, ricorderei il Pakistan, la zona di Mindanao nelle Filippine, anche l’Indonesia in alcune regioni. Poi ci sono comunque molti angoli dell’Africa attraversati sia da violenza endemica sia da guerre invece che continuano sotto traccia anche se formalmente non sono più tali.
 
D. – Nel libro fai una distinzione, dici “in nome di chi piuttosto che per colpa di chi” avviene tutto ciò. Perché?

 R. – Perché troppo spesso, sui giornali, o comunque sia nei media, al momento del martirio di qualcuno, si va immediatamente a cercare il colpevole e si preferisce guardare alla lama del coltello dell’uccisore piuttosto che al volto dell’ucciso. Occorre invece andare alle radici della scelta di fede che ispira i martiri, che sta all’origine precisamente del fatto che si sono trovati in un certo momento in una determinata situazione, non al posto sbagliato nel momento sbagliato, ma al posto giusto nel momento giusto per testimoniare la loro fede. In primis quindi, bisogna cercare le ragioni di questa scelta.
 
D. – Ma che differenza c’è tra i martiri di oggi e quelli dei primi secoli della Chiesa?

 R. – Molto spesso il martire, oggi, vive e muore in contesti assolutamente ordinari e addirittura in circostanze che potrebbero sembrare casuali. Ci sono casi di preti ammazzati durante rapine, ci sono casi di preti, religiosi, religiose, laici, che sono morti perché raggiunti da pallottole vaganti a margine di una sparatoria legata ad episodi di violenza oppure perché queste persone, nel caso della Colombia, si sono spese per la pace e la riconciliazione all’interno dei contesti di guerra civile. Sono situazioni molto varie, accomunate però da questo elemento della quotidianità e dell’apparente casualità, ma che casualità, come abbiamo visto, non è.
 D. – Dunque è proprio cambiato il modo di essere martire?

 
R. – E’ cambiato il modo, la radice è sempre quella. E’ la testimonianza della fede a prezzo della vita.

 
D. – A questo punto, che cosa possiamo imparare da queste figure?

 
R. – Sicuramente la radicalità della fede, cioè il fatto che per Gesù Cristo ci si mette in gioco tutti e tutta la vita.
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