La Chiesa celebra la Giornata di preghiera per i missionari uccisi
Oggi la Chiesa celebra la Giornata di preghiera e di digiuno per i missionari uccisi
sul tema “Speranza nel mondo”. L’appuntamento è promosso dal Movimento giovanile delle
Pontificie Opere Missionarie e cade nell’anniversario della morte dell’arcivescovo
di San Salvador Oscar Arnulfo Romero, ucciso mentre celebrava la Messa il 24 marzo
1980. L’iniziativa vuole ricordare in particolare i 24 missionari, sacerdoti, religiosi,
religiose e laici, uccisi l’anno scorso in tutto il mondo. Ma qual è il volto dei
martiri di oggi? Antonella Villani lo ha chiesto a Gerolamo Fazzini,
condirettore della rivista del PIME Mondo e Missione e autore del libro “Lo scandalo
del martirio”:
**********R.
- Il martire di oggi non risponde ai canoni di un tempo nei quali per esempio, si
immaginava la richiesta di abiurare la fede, pena la morte. Oggi questi casi sono
estremamente rari; molto più frequente, invece, è il caso di chi vive la sua fede,
la sua testimonianza, in contesti di per sé pericolosi e accettati come tali in nome
della scelta che sta a monte, ossia quella di consacrarsi al Vangelo. Quindi, testimoni
di Cristo laddove la storia li chiama. D. – Perché i
cristiani continuano ad essere uccisi nel mondo?
R. –
Perché in molti casi, annunciare e testimoniare il Vangelo, viverlo nella quotidianità
con le scelte concrete che questo comporta, significa risultare scomodi. Questo può
valere in contesti nei quali domina l’estremismo religioso, l’estremismo di marca
musulmana ma anche induista, o contesti in cui dare testimonianza del valore della
giustizia, così come lo addita il Vangelo, significa contrapporsi ai poteri forti,
locali, siano essi quelli dei “fazenderos”, piuttosto che di altri potentati economici.
Quindi, nella cattolicissima America Latina - non dimentichiamo che la Colombia paga
un alto tributo in termini di cristiani uccisi - tanto in Paesi dove i cristiani
invece sono in minoranza – annunciare il Vangelo può voler dire mettersi nella posizione
di essere coscientemente vulnerabili proprio perché si annuncia una verità che incalza
i potenti, una verità che provoca appunto reazioni violente. D.
– A parte la Colombia, quali altri sono i Paesi più a rischio?
R.
– L’India è uno dei Paesi dove oggi, per essere cristiani, comporta forti rischi,
specie in alcuni stati indiani dove ci sono presenze estremiste, induiste. Tra i Paesi
musulmani, ricorderei il Pakistan, la zona di Mindanao nelle Filippine, anche l’Indonesia
in alcune regioni. Poi ci sono comunque molti angoli dell’Africa attraversati sia
da violenza endemica sia da guerre invece che continuano sotto traccia anche se formalmente
non sono più tali. D. – Nel libro fai una distinzione,
dici “in nome di chi piuttosto che per colpa di chi” avviene tutto ciò. Perché?
R.
– Perché troppo spesso, sui giornali, o comunque sia nei media, al momento del martirio
di qualcuno, si va immediatamente a cercare il colpevole e si preferisce guardare
alla lama del coltello dell’uccisore piuttosto che al volto dell’ucciso. Occorre invece
andare alle radici della scelta di fede che ispira i martiri, che sta all’origine
precisamente del fatto che si sono trovati in un certo momento in una determinata
situazione, non al posto sbagliato nel momento sbagliato, ma al posto giusto nel momento
giusto per testimoniare la loro fede. In primis quindi, bisogna cercare le ragioni
di questa scelta. D. – Ma che differenza c’è tra i martiri
di oggi e quelli dei primi secoli della Chiesa?
R. –
Molto spesso il martire, oggi, vive e muore in contesti assolutamente ordinari e addirittura
in circostanze che potrebbero sembrare casuali. Ci sono casi di preti ammazzati durante
rapine, ci sono casi di preti, religiosi, religiose, laici, che sono morti perché
raggiunti da pallottole vaganti a margine di una sparatoria legata ad episodi di violenza
oppure perché queste persone, nel caso della Colombia, si sono spese per la pace e
la riconciliazione all’interno dei contesti di guerra civile. Sono situazioni molto
varie, accomunate però da questo elemento della quotidianità e dell’apparente casualità,
ma che casualità, come abbiamo visto, non è. D. – Dunque
è proprio cambiato il modo di essere martire?
R.
– E’ cambiato il modo, la radice è sempre quella. E’ la testimonianza della fede a
prezzo della vita.
D. – A questo punto, che cosa
possiamo imparare da queste figure?
R. – Sicuramente
la radicalità della fede, cioè il fatto che per Gesù Cristo ci si mette in gioco tutti
e tutta la vita. **********