I vescovi della Corea del Sud accusano il governo di promuovere una cultura della
morte
Il governo della Corea del Sud promuove politiche contrarie alla cultura della vita,
che “privilegiano l’efficienza economica” a danno della dignità umana. E’ l’accusa
rivolta dai vescovi del Paese in una dichiarazione pubblicata in questi giorni, al
termine della loro plenaria a Seoul. Sotto accusa sono in particolare l’attuale legislazione
sull’aborto (in Sud Corea esso è permesso in caso di malformazioni del feto, stupro,
incesto e minacce alla salute della madre), la promozione della fecondazione in vitro
(finanziata dallo Stato), ma anche le nuove aperture del governo di Seoul alla ricerca
sulle cellule staminali embrionali. I risultati di queste politiche – denunciano i
vescovi – sono sotto gli occhi di tutti: “La Corea del Sud – precisano – è uno dei
Paesi con il più basso tasso di natalità del mondo e con il più alto tasso di suicidi
e di aborti”. Ogni anno, infatti, il Paese registra mediamente 1,5 milioni di interruzioni
volontarie di gravidanza, mentre il tasso di suicidi è di 24,2 persone su 100 mila,
il più alto dei Paesi dell’OCSE. Nel 2005, inoltre, per circa 21 mila interventi di
fecondazione assistita sono stati prodotti e conservati quasi 94 mila embrioni umani
sovrannumerari, destinati a essere distrutti o impiegati a scopi di ricerca. Di qui,
l’appello a promuovere invece politiche a favore della vita. (L.Z.)