I vescovi europei celebrano i 50 anni dei Trattati di Roma
Il 25 marzo 1957, con la costituzione della Comunità Economica Europea (CEE) - e la
Comunità per l’Energia Atomica, l’Euratom, nasceva istituzionalmente l’Europa. Il
cinquantenario dei Trattati di Roma, con iniziative in tutti i 27 Paesi dell’Unione
Europea, è un avvenimento che non coinvolge soltanto il mondo politico ed istituzionale
del continente ma anche quello ecclesiale. Venerdì mattina infatti, si apre a Roma
il Congresso europeo “Valori e prospettive per l’Europa di domani”, promosso dalla
COMECE, la Commissione degli Episcopati della Comunità Europea. In preparazione a
questo evento, l’organismo dei vescovi dell'Unione ha istituito un “Comitato di saggi”,
composto da 25 autorevoli personalità di 20 Paesi, con il compito di redigere un rapporto
sui valori dell’Unione Europea da sottoporre al Congresso di Roma. Ma quali sono gli
obiettivi dell’assise europea che si apre dopodomani? Isabel Cousturie lo ha chiesto
al segretario generale della COMECE, mons. Noël Treanor:
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R.
– Attraverso la presenza e la partecipazione di tanti laici, dappertutto in Europa,
la Chiesa ha potuto mobilitare l’interesse, il coinvolgimento dei cittadini cattolici,
dei cristiani, in quanto cittadini di quest’Europa, affinché prendano parte al dibattito
sul futuro dell’Europa e affinché possano sottolineare l’importanza del patrimonio
cristiano ancora vivo, per assicurare lo sviluppo integrale di questo progetto europeo,
che oltrepassa la realtà del mercato. La realtà economica è molto importante ed è
stata sempre il motore per realizzare il canale dei valori. Questo progetto europeo,
che però oltrepassa il commerciale, deve essere al servizio della promozione della
dignità di ogni persona e della dignità della società umana, in quanto tale.
D.
– La COMECE ha festeggiato i suoi 27 anni quest’anno e ha potuto seguire passo, passo
il processo di costruzione europea, con i suoi successi, ma anche con i suoi insuccessi.
Oggi tutto sembra bloccato, sembra che l’Europa debba fare i conti con i dubbi e la
paura. Oggi come oggi, qual è la funzione principale della COMECE di fronte a questi
dubbi, a questi timori, che minacciano forse anche il senso stesso della costruzione
europea?
R. – E’ vero che nelle società dei Paesi membri dell’Unione Europea,
come un po’ dappertutto in questo momento, ci sono delle grandi angosce che toccano
i cittadini europei e del mondo. Oggi, nel contesto di queste angosce, penso che il
ruolo importante, non solamente per la COMECE, ma anche per la Chiesa e le Chiese
cristiane, sia quello di cercare all’interno della comunità cristiana di elaborare
un linguaggio, per quanto riguarda queste paure e angosce che minacciano la coesione
delle nostre società. La paura è promossa anche dall’ignoranza. E là dove c’è un sentimento
di difficoltà, là dove c’è l’intuizione della presenza di cose che non vanno, che
non funzionano, bisogna elaborare un linguaggio, affinché con la parola si arrivi
a far capire e arrivando a capire, si possa cominciare ad elaborare delle strategie,
non solamente economiche e politiche, ma anche di ordine etico, per affrontare queste
sfide. In questo modo cercheremo di dare forma umana alla società europea di domani.
D.
– La Chiesa ha sempre cercato di essere la coscienza della società e della vita pubblica,
e sempre ovviamente nel rispetto della separazione tra fede e politica. Ma oggi si
osserva in vari Paesi, la persistenza di un certo comportamento ostile al diritto
di intervento della Chiesa nello spazio pubblico. E’ una cosa che vi preoccupa?
R.
– E’ vero che ci sono alcune correnti che negano alle Chiese di prendere parte al
dibattito pubblico, ma queste correnti sono sempre state presenti. La Chiesa continuerà
ad esprimersi in modo profetico. Il fatto che ogni tanto ci sia della resistenza,
invita la Chiesa a raffinare i suoi argomenti, la sua riflessione ed anche a sottolineare
che la partecipazione al dibattito pubblico non è in nessun modo una ricerca di un
privilegio per la Chiesa, ma piuttosto un servizio reso all’umanità intera.
D.
– Molte conferenze episcopali insistono sull’importanza e sull’urgenza di formare
un laicato che diventi veramente protagonista della vita politica. Ne tenete conto
nei vostri progetti futuri?
R. – Si vuole fare di tutto, affinché anche in
quei Paesi dove questa tradizione di un certo laicato organizzato a livello nazionale
non esiste - e si cerca per questo di crearne uno – nei diversi campi della vita pubblica,
nella politica, nelle imprese, nelle accademie e nelle università, ci siano donne
e uomini cattolici, cristiani, che accompagnano, in funzione delle loro competenze
professionali, le grandi sfide della società di oggi. Questa resta una sfida molto
importante per la Chiesa nella società dell’informazione, cioè quella di come applicare
la ricchezza incredibile della dottrina cristiana, i valori del Vangelo, il contenuto
della dottrina sociale della Chiesa, nel linguaggio dei responsabili della società,
nei Paesi e nelle nazioni. Bisogna fare di tutto, affinché questa capacità, queste
realtà, esistano nei diversi Paesi.