Oggi il nuovo governo palestinese: ma il premier Hanyeh dice no al dialogo con Israele
Nei Territori Palestinesi, si è aperta stamani la seduta in Parlamento sulla fiducia
al nuovo governo di unità nazionale. I tre ministeri chiave - Finanze, Esteri e Interno
– vanno, come annunciato nei giorni scorsi, a tre politici indipendenti. Durante l'odierna
sessione, il presidente palestinese, Abu Mazen, ed il premier, Ismail Haniyeh, hanno
chiesto la fine dell’embargo internazionale imposto un anno fa all’Autorità Nazionale
Palestinese. Ma hanno anche ribadito posizioni assolutamente divergenti su Israele:
mentre Abu Mazen ha auspicato la ripresa dei negoziati di pace con lo Stato ebraico,
Haniyeh ha rivendicato il diritto del suo popolo ad ogni forma di resistenza contro
quella che ha definito “l’occupazione israeliana”. L’esecutivo dello Stato ebraico
ha immediatamente reagito, etichettando questo tipo di resistenza come “terrorismo”
e annunciando di non voler collaborare con il nuovo governo palestinese. Ma come spiegare
la contrapposizione tra gli atteggiamenti di Abu Mazen e Haniyeh? Giada Aquilino lo
ha chiesto al direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente, Janiki Cingoli:
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R.
- Ovviamente ognuno gioca la sua parte: Abu Mazen è quello che, anche in base agli
accordi, è delegato a sviluppare e a portare avanti le trattative con Israele. Haniyeh,
che pure ha fatto delle concessioni per giungere a questo governo, di fatto tende
a marcare la posizione del suo movimento. Ora, è indubbio che rivendicare il diritto
ad ogni forma di violenza è cosa inaccettabile, nel senso che la violenza contro i
civili è inammissibile; tuttavia contestualmente, Hamas, in questa fase, si dichiara
disposto ad una tregua di lungo periodo e da parecchio tempo non pratica atti terroristici
contro Israele.
D. - Questo nuovo governo di unità nazionale palestinese, di
fatto, cosa implicherà?
R. - Segna un argine alla lotta interpalestinese, che
rischiava di degenerare in guerra civile. Il governo è equilibrato, anche se Al Fatah
ha meno ministeri di Hamas. Tuttavia, ci sono indipendenti vicini ad Al Fatah o comunque
ai gruppi della sinistra laica, che in qualche maniera creano un certo equilibrio.
Quindi, Hamas non ha la maggioranza assoluta.
D. - I tre ministeri chiave,
cioè Finanze, Esteri e Interno, vengono affidati ad altrettante figure indipendenti...
R.
- Una è legata ad Al Fatah, cioè il ministero degli Esteri. L’altra, quella a cui
vanno le Finanze, è legata alla "Terza Via", ma è anche questa abbastanza riconducibile
ad Al Fatah. Il terzo ministero, quello dell’Interno, è legato a Hamas, pure se è
stato affidato ad una figura già legata a quell’ambiente.
D. - Nel programma
di questo governo manca il riferimento all’esistenza dello Stato ebraico. Sarà motivo
di ulteriori attriti?
R. - L’accordo della Mecca, di circa un mese fa, prevede
che il nuovo governo si impegni a rispettare i trattati siglati in passato dall’OLP
e dall’ANP. In questi trattati ci sono, tra gli altri, anche gli accordi di Washington
del ’93, che contemplano il riconoscimento dello Stato di Israele e la rinuncia alla
violenza.