2007-03-05 15:01:31

Ricevuto da Benedetto XVI il primo gruppo di vescovi del Piemonte in visita "ad Limina". La realtà della Chiesa locale nelle parole del cardinale Poletto


Prosegue la visita ad Limina dal Papa dei vescovi italiani. Questa settimana, dal 5 al 10 marzo, è la volta dei presuli del Piemonte: una regione ecclesiastica composta di 17 diocesi e 2250 parrocchie. Oltre 2700 i sacerdoti tra secolari e regolari. Il Piemonte vanta inoltre una feconda storia di santità, iniziata con Eusebio, vescovo di Vercelli, che nel IV secolo iniziò in queste terre la sua opera di evangelizzazione. Sulle specificità della Conferenza episcopale piemontese, Paolo Ondarza ne ha intervistato il presidente, il cardinale Severino Poletto: RealAudioMP3
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R. – Sono 27 anni che faccio parte di questa Conferenza dei vescovi del Piemonte e della Valle d’Aosta, che è un tutt'uno con quella piemontese. Si caratterizza proprio per un clima di grande fraternità. Registriamo una presenza pressoché totale a tutti i nostri incontri – sono circa sei all’anno: quattro di lavoro, uno di esercizi spirituali e nell’altro facciamo ogni anno un viaggio pastorale per incontrare l’episcopato di una nazione europea, ed è un viaggio che serve a noi per stare insieme tre-quattro giorni, ma nello stesso tempo per sentire esperienze e progetti di altre nazioni europee.

 
D. – Anche il Piemonte, come il resto dell’Italia, vive un momento in cui la famiglia è sottoposta a minacce di vario tipo...

 
R. – Da anni siamo vigili, soprattutto sul calo demografico, come pure sulla stabilità della famiglia. Negli ultimi anni abbiamo visto anche da noi crescere le separazioni, i divorzi e soprattutto le convivenze. La soluzione a questi problemi è una maggiore formazione, una catechesi più approfondita. Credo ci sia alla radice di questo, oltre ai problemi legati alla situazione sociale, alla precarietà del lavoro, anche una scarsa sensibilità morale: cerchiamo di fronteggiare questo momento, augurandoci veramente che il bombardamento contro la famiglia fondata sul matrimonio non influisca più di tanto sui buoni cristiani, chiamati a guardare a quello che dice Dio, non a quello che dicono né i giornali nè su certe leggi a riguardo.

 
D. – Tanti i giovani in cerca di un lavoro fisso...

 
R. – Il Piemonte è una regione a forte industrializzazione: è una regione che ha vissuto il grosso dramma della crisi FIAT. Grazie a Dio, la FIAT sta risalendo e speriamo che presto venga superata la situazione di grande precariato. La disoccupazione, a confronto con altre regioni italiane, soprattutto del Sud, è abbastanza bassa: non dico bassissima, ma c’è una percentuale non drammatica. Ma il discorso da fare è quello del precariato. Abbiamo bisogno che i giovani siano assunti a tempo indeterminato, per avere una sicurezza e quindi anche decidersi per il matrimonio e per la famiglia. Questa soluzione positiva che sta vivendo la FIAT, speriamo dia prospettive anche per chi lavora nell’indotto FIAT.

 
D. – Parlavamo di nascite: i bambini stranieri in Piemonte rappresentano un quinto dei nuovi nati ogni anno. Cosa dire dell’immigrazione nella regione? Un fenomeno molto diffuso...

 
R. – E' molto diffuso ed è sempre in crescita. Parte dell’immigrazione, per nostra fortuna, è cattolica: noi abbiamo una grossissima comunità cattolica rumena, ci sono immigrati dell’America del Sud... C’è una fetta grande anche di ortodossi e abbiamo una forte immigrazione di musulmani. Io uso sempre tre aggettivi quando parlo di questi problemi, cioè che la nostra città - ma credo riguardi anche la regione - debba essere accogliente, perché in fondo gli stranieri, gli immigrati sono una risorsa: lo ha detto anche il Papa. Se arriva uno straniero, uno che viene onestamente per guadagnarsi un pane e un futuro per la famiglia, perché non accoglierlo? Noi italiani siamo stati per anni emigrati in altre nazioni! Tollerante, dev’essere anche la città o la regione, perché dobbiamo rispettare le culture e anche le convinzioni religiose degli altri. Però, anche “esigente”: questo terzo aggettivo richiede l’osservanza delle regole, l’osservanza di un vivere civile, quindi evitare una immigrazione di persone che vengono solo a portare malavita, prostituzione o delinquenza: questi devono essere fermati. Nell’insieme, quello che nel futuro ci creerà problemi è l’integrazione dei musulmani. C'è una difficoltà, prima di tutto, ad entrare in dialogo in quanto non esistono interlocutori ufficiali.

 
D. – Sensibile è anche il calo delle vocazioni...

 
R. – Il calo delle vocazioni purtroppo è la sofferenza più grave che noi, come vescovi, sentiamo. Noi ci prepariamo a fronteggiarlo puntando molto su una pastorale vocazionale, che coltivi i giovani in una formazione cristiana, perché se non sono innamorati di Gesù Cristo, non attecchisce o non può nascere nessuna idea di consacrare a Lui tutta la vita nel sacerdozio, nel celibato, nel servizio del Regno. Bisogna puntare sulla famiglia come realtà dove si cresce nella fede, e su una pastorale giovanile che dia contenuti, che dia vera formazione.

 
D. – Eminenza, per concludere le chiedo qualche parola sulle risorse della Chiesa piemontese...

 
R. – Noi ci sentiamo in grande comunione con tutte le altre diocesi che costituiscono la Chiesa in Italia. Riceviamo molto sia dalle Chiese del nord come del Centro e in particolare anche delle Chiese del sud. Non dimentichi che il cardinal Ballestrero, di santa memoria, mio predecessore, quello che mi ha anche ordinato vescovo, diceva che Torino era la terza città meridionale d’Italia, tanto sono numerosi gli immigrati del sud Italia. Ma che cosa noi possiamo sentirci di dare? Primo, l’esempio di una grande regione laboriosa, creativa: la televisione è nata a Torino, la grande industria è nata a Torino... E anche dal punto di vista religioso, credo che il Piemonte offra alla Chiesa italiana una tradizione di santità non comune: San Domenico Savio, il beato Piergiorgio Frassati, eccetera. Vorremmo anche essere una regione di frontiera per quanto riguarda la missionarietà. I nostri programmi pastorali, di tutte le diocesi piemontesi, sono tutti improntati non solo alla nuova evangelizzazione, come diceva Giovanni Paolo II, ma anche ad una rinnovata prima evangelizzazione.***********







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