Ricevuto da Benedetto XVI il primo gruppo di vescovi del Piemonte in visita "ad Limina".
La realtà della Chiesa locale nelle parole del cardinale Poletto
Prosegue la visita ad Limina dal Papa dei vescovi italiani. Questa settimana,
dal 5 al 10 marzo, è la volta dei presuli del Piemonte: una regione ecclesiastica
composta di 17 diocesi e 2250 parrocchie. Oltre 2700 i sacerdoti tra secolari e regolari.
Il Piemonte vanta inoltre una feconda storia di santità, iniziata con Eusebio, vescovo
di Vercelli, che nel IV secolo iniziò in queste terre la sua opera di evangelizzazione.
Sulle specificità della Conferenza episcopale piemontese, Paolo Ondarza ne
ha intervistato il presidente, il cardinale Severino Poletto: *********** R.
– Sono 27 anni che faccio parte di questa Conferenza dei vescovi del Piemonte e della
Valle d’Aosta, che è un tutt'uno con quella piemontese. Si caratterizza proprio per
un clima di grande fraternità. Registriamo una presenza pressoché totale a tutti i
nostri incontri – sono circa sei all’anno: quattro di lavoro, uno di esercizi spirituali
e nell’altro facciamo ogni anno un viaggio pastorale per incontrare l’episcopato di
una nazione europea, ed è un viaggio che serve a noi per stare insieme tre-quattro
giorni, ma nello stesso tempo per sentire esperienze e progetti di altre nazioni europee.
D.
– Anche il Piemonte, come il resto dell’Italia, vive un momento in cui la famiglia
è sottoposta a minacce di vario tipo...
R. – Da anni
siamo vigili, soprattutto sul calo demografico, come pure sulla stabilità della famiglia.
Negli ultimi anni abbiamo visto anche da noi crescere le separazioni, i divorzi e
soprattutto le convivenze. La soluzione a questi problemi è una maggiore formazione,
una catechesi più approfondita. Credo ci sia alla radice di questo, oltre ai problemi
legati alla situazione sociale, alla precarietà del lavoro, anche una scarsa sensibilità
morale: cerchiamo di fronteggiare questo momento, augurandoci veramente che il bombardamento
contro la famiglia fondata sul matrimonio non influisca più di tanto sui buoni cristiani,
chiamati a guardare a quello che dice Dio, non a quello che dicono né i giornali nè
su certe leggi a riguardo.
D. – Tanti i giovani in
cerca di un lavoro fisso...
R. – Il Piemonte è una
regione a forte industrializzazione: è una regione che ha vissuto il grosso dramma
della crisi FIAT. Grazie a Dio, la FIAT sta risalendo e speriamo che presto venga
superata la situazione di grande precariato. La disoccupazione, a confronto con altre
regioni italiane, soprattutto del Sud, è abbastanza bassa: non dico bassissima, ma
c’è una percentuale non drammatica. Ma il discorso da fare è quello del precariato.
Abbiamo bisogno che i giovani siano assunti a tempo indeterminato, per avere una sicurezza
e quindi anche decidersi per il matrimonio e per la famiglia. Questa soluzione positiva
che sta vivendo la FIAT, speriamo dia prospettive anche per chi lavora nell’indotto
FIAT.
D. – Parlavamo di nascite: i bambini stranieri
in Piemonte rappresentano un quinto dei nuovi nati ogni anno. Cosa dire dell’immigrazione
nella regione? Un fenomeno molto diffuso...
R. –
E' molto diffuso ed è sempre in crescita. Parte dell’immigrazione, per nostra fortuna,
è cattolica: noi abbiamo una grossissima comunità cattolica rumena, ci sono immigrati
dell’America del Sud... C’è una fetta grande anche di ortodossi e abbiamo una forte
immigrazione di musulmani. Io uso sempre tre aggettivi quando parlo di questi problemi,
cioè che la nostra città - ma credo riguardi anche la regione - debba essere accogliente,
perché in fondo gli stranieri, gli immigrati sono una risorsa: lo ha detto anche il
Papa. Se arriva uno straniero, uno che viene onestamente per guadagnarsi un pane e
un futuro per la famiglia, perché non accoglierlo? Noi italiani siamo stati per anni
emigrati in altre nazioni! Tollerante, dev’essere anche la città o la regione, perché
dobbiamo rispettare le culture e anche le convinzioni religiose degli altri. Però,
anche “esigente”: questo terzo aggettivo richiede l’osservanza delle regole, l’osservanza
di un vivere civile, quindi evitare una immigrazione di persone che vengono solo a
portare malavita, prostituzione o delinquenza: questi devono essere fermati. Nell’insieme,
quello che nel futuro ci creerà problemi è l’integrazione dei musulmani. C'è una difficoltà,
prima di tutto, ad entrare in dialogo in quanto non esistono interlocutori ufficiali.
D.
– Sensibile è anche il calo delle vocazioni...
R.
– Il calo delle vocazioni purtroppo è la sofferenza più grave che noi, come vescovi,
sentiamo. Noi ci prepariamo a fronteggiarlo puntando molto su una pastorale vocazionale,
che coltivi i giovani in una formazione cristiana, perché se non sono innamorati di
Gesù Cristo, non attecchisce o non può nascere nessuna idea di consacrare a Lui tutta
la vita nel sacerdozio, nel celibato, nel servizio del Regno. Bisogna puntare sulla
famiglia come realtà dove si cresce nella fede, e su una pastorale giovanile che dia
contenuti, che dia vera formazione.
D. – Eminenza,
per concludere le chiedo qualche parola sulle risorse della Chiesa piemontese...
R.
– Noi ci sentiamo in grande comunione con tutte le altre diocesi che costituiscono
la Chiesa in Italia. Riceviamo molto sia dalle Chiese del nord come del Centro e in
particolare anche delle Chiese del sud. Non dimentichi che il cardinal Ballestrero,
di santa memoria, mio predecessore, quello che mi ha anche ordinato vescovo, diceva
che Torino era la terza città meridionale d’Italia, tanto sono numerosi gli immigrati
del sud Italia. Ma che cosa noi possiamo sentirci di dare? Primo, l’esempio di una
grande regione laboriosa, creativa: la televisione è nata a Torino, la grande industria
è nata a Torino... E anche dal punto di vista religioso, credo che il Piemonte offra
alla Chiesa italiana una tradizione di santità non comune: San Domenico Savio, il
beato Piergiorgio Frassati, eccetera. Vorremmo anche essere una regione di frontiera
per quanto riguarda la missionarietà. I nostri programmi pastorali, di tutte le diocesi
piemontesi, sono tutti improntati non solo alla nuova evangelizzazione, come diceva
Giovanni Paolo II, ma anche ad una rinnovata prima evangelizzazione.***********