Quinta giornata di esercizi spirituali quaresimali in Vaticano. P. Bruno Secondin
spiega la tradizione carmelitana di questa pratica
Nell’odierna giornata di esercizi spirituali alla presenza del Papa e della Curia,
il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bologna, si è soffermato, nelle
sue meditazioni, sulla “Necessità di un’ecclesiologia anagogica” e su “La grande anagogia
ecclesiologica di San Paolo”. Ma per una riflessione sull’importanza della pratica
degli esercizi spirituali e della Lectio divina, ecco il parere del padre
carmelitano Bruno Secondin, al quale Giovanni Peduto ha chiesto anzitutto
quale sia lo stile carmelitano degli esercizi spirituali:
*********** R.
- Paragonata con la specificità classica, per esempio ignaziana, la tradizione carmelitana
appare molto più flessibile e varia. Fin dalle origini, e precisamente nella Regola
che risale al primo decennio del 1200, noi troviamo non tanto uno schema di esercizi,
ma alcuni nuclei vivi che devono plasmare la struttura spirituale dei singoli fratelli:
il primato della sequela di Cristo con cuore puro, la meditazione continua della Parola,
la preghiera corale e nella cella, il quotidiano convenire nella cappella centrale
per l’Eucaristia, la purificazione interiore attraverso un'ascesi non fanatica ma
efficace, il lavoro manuale, la reciproca accoglienza nelle diversità. Col tempo,
certamente si sono aggiunte anche altre sensibilità ora più ascetiche, ora più mistiche,
ora più devozionali nel coltivare la vita spirituale e nelle esperienze periodiche
di ripresa e di ravvivamento. Ma sempre si è salvato il senso di una ricerca spirituale
ricca di calore e di affettività, di simbologia e di ecclesialità, come mostrano i
grandi maestri. Nei tempi recenti, l'orazione mentale, pur secondo le indicazioni
magisteriali dei dottori carmelitani, non si è tuttavia mai incastrata in schemi rigidi.
Ultimamente, comunque, il ritorno alla centralità della Parola e della fraternità
ha ricevuto particolare enfasi, spesso associata anche a una certa tonalità profetica,
ispirata al profeta Elia. Oggi, anche nel Carmelo gli esercizi spirituali nel senso
classico sono praticamente e solo sotto forma di Lectio divina. D.
- Meditazione, preghiera, lettura della Parola di Dio: in questo mese di marzo il
Papa invita i fedeli a pregare proprio “perché la Parola di Dio sia sempre più ascoltata,
contemplata, amata e vissuta”...
R. - Questa insistenza
sulla centralità della Parola di Dio, da meditare, pregare e vivere, certamente fa
parte della tradizione, ma Benedetto XVI vi sta ponendo una particolare e originale
enfasi, che io trovo particolarmente interessante. Perché ogni volta che vi ritorna
sa dire concetti simili con parole non banali né ripetitive. Segno non solo di una
mente teologica raffinata, ma anche di una passione vissuta e vivace. L’esperienza
insegna che la frequentazione della Parola genera questa originalità anche di linguaggio,
con sfumature ora poetiche, ora simboliche, ora icastiche. Si sente se uno parla della
Parola solo per caso o per personale esperienza. Ma tra i fedeli c’è ancora molto
da fare perché la Parola sia davvero ascoltata e pregata, amata e vissuta. Sono rarissimi
quelli che si confessano dicendo di aver trascurato la Parola di Dio.
D.
- Come avvicinarsi alla Lectio divina?
R. - Non si
improvvisa una lettura orante e riflessiva della Parola. La Lectio divina era
la grande scuola di spiritualità per il primo millennio, poi lentamente è come scomparsa
al sopravvenire della spiritualità più psicologica, individualistica, emotiva, poco
biblica. Ma nella seconda metà dell’ultimo secolo – grazie al lungo lavoro del Movimento
biblico, e poi all’impulso di alcuni grandi maestri, fra cui eccelle il cardinale
Carlo Maria Martini, per la nostra Italia, e il carmelitano brasiliano, Carlos Mesters,
per l’America Latina - è ritornata ad essere un fiume in piena, trasformandosi nella
sorgente più genuina della spiritualità cristiana, assieme alla liturgia. Le condizioni
indispensabili sono: la scelta giusta del testo biblico, un cuore umile e obbediente,
un senso di comunione ecclesiale, un'apertura al mistero di una verità che cresce
meditando, una passione sincera per Dio e la sua sapienza. All’inizio, è meglio farsi
aiutare da qualche maestro, o partecipare ad incontri ben fatti e collaudati da una
lunga prassi. Non è facile prendere la Parola con mani nude, e farsi ustionare dalla
sua verità che brucia. D. - Come fare silenzio dentro di noi
per fare spazio nel nostro cuore all’unica Parola necessaria?
R.
- Oggi, il silenzio interiore è un’arte difficile, perché siamo immersi in una baraonda
di chiasso e frastuoni. Il silenzio interiore non è mutismo, ma intensa attenzione
all’essenziale e alla misteriosa presenza di Colui che il nostro cuore cerca. Il silenzio
degli spirituali è un silenzio di chi quasi trattiene il respiro, tende l’orecchio,
per captare il sussurro leggero, il transito di una voce interiore che solo nel silenzio
intenso si capta. In questo essenziale e vivente silenzio, risuona la Parola, domina
e plasma l’uditore. I Padri della Chiesa dicevano che ad essa si deve prestare la
hypakoè, quell’ob-audire che è la radice e il senso vero dell’obbedienza.
Fare spazio alla Parola è proprio questo assimilarla ed eseguirla con totale adesione.
La Parola ascoltata e vissuta trasfigura l’esistenza della persona, la rende trasparenza
serena del mistero. ***********