2007-03-01 14:21:26

Quinta giornata di esercizi spirituali quaresimali in Vaticano. P. Bruno Secondin spiega la tradizione carmelitana di questa pratica


Nell’odierna giornata di esercizi spirituali alla presenza del Papa e della Curia, il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bologna, si è soffermato, nelle sue meditazioni, sulla “Necessità di un’ecclesiologia anagogica” e su “La grande anagogia ecclesiologica di San Paolo”. Ma per una riflessione sull’importanza della pratica degli esercizi spirituali e della Lectio divina, ecco il parere del padre carmelitano Bruno Secondin, al quale Giovanni Peduto ha chiesto anzitutto quale sia lo stile carmelitano degli esercizi spirituali: RealAudioMP3

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R. - Paragonata con la specificità classica, per esempio ignaziana, la tradizione carmelitana appare molto più flessibile e varia. Fin dalle origini, e precisamente nella Regola che risale al primo decennio del 1200, noi troviamo non tanto uno schema di esercizi, ma alcuni nuclei vivi che devono plasmare la struttura spirituale dei singoli fratelli: il primato della sequela di Cristo con cuore puro, la meditazione continua della Parola, la preghiera corale e nella cella, il quotidiano convenire nella cappella centrale per l’Eucaristia, la purificazione interiore attraverso un'ascesi non fanatica ma efficace, il lavoro manuale, la reciproca accoglienza nelle diversità. Col tempo, certamente si sono aggiunte anche altre sensibilità ora più ascetiche, ora più mistiche, ora più devozionali nel coltivare la vita spirituale e nelle esperienze periodiche di ripresa e di ravvivamento. Ma sempre si è salvato il senso di una ricerca spirituale ricca di calore e di affettività, di simbologia e di ecclesialità, come mostrano i grandi maestri. Nei tempi recenti, l'orazione mentale, pur secondo le indicazioni magisteriali dei dottori carmelitani, non si è tuttavia mai incastrata in schemi rigidi. Ultimamente, comunque, il ritorno alla centralità della Parola e della fraternità ha ricevuto particolare enfasi, spesso associata anche a una certa tonalità profetica, ispirata al profeta Elia. Oggi, anche nel Carmelo gli esercizi spirituali nel senso classico sono praticamente e solo sotto forma di Lectio divina.
 
D. - Meditazione, preghiera, lettura della Parola di Dio: in questo mese di marzo il Papa invita i fedeli a pregare proprio “perché la Parola di Dio sia sempre più ascoltata, contemplata, amata e vissuta”...

 
R. - Questa insistenza  sulla centralità della Parola di Dio, da meditare, pregare e vivere, certamente fa parte della tradizione, ma Benedetto XVI vi sta ponendo una particolare e originale enfasi, che io trovo particolarmente interessante. Perché ogni volta che vi ritorna sa dire concetti simili con parole non banali né ripetitive. Segno non solo di una mente teologica raffinata, ma anche di una passione vissuta e vivace. L’esperienza insegna che la frequentazione della Parola  genera questa originalità anche di linguaggio, con sfumature ora poetiche, ora simboliche, ora icastiche. Si sente se uno parla della Parola solo per caso o per personale esperienza. Ma tra i fedeli c’è ancora molto da fare perché la Parola sia davvero ascoltata e pregata, amata e vissuta. Sono rarissimi quelli che si confessano dicendo di aver trascurato la Parola di Dio.

 
D. - Come avvicinarsi alla Lectio divina?

 
R. - Non si improvvisa una lettura orante e riflessiva della Parola. La Lectio divina era la grande scuola di spiritualità per il primo millennio, poi lentamente è come scomparsa al sopravvenire della spiritualità più psicologica, individualistica, emotiva, poco biblica. Ma nella seconda metà dell’ultimo secolo – grazie al lungo lavoro del Movimento biblico, e poi all’impulso di alcuni grandi maestri, fra cui eccelle il cardinale Carlo Maria Martini, per la nostra Italia, e  il carmelitano brasiliano, Carlos Mesters, per l’America Latina - è ritornata ad essere un fiume in piena, trasformandosi nella sorgente più genuina della spiritualità cristiana, assieme alla liturgia. Le condizioni indispensabili sono: la scelta giusta del testo biblico, un cuore umile e obbediente, un senso di comunione ecclesiale, un'apertura al mistero di una verità che cresce meditando, una passione sincera per Dio e la sua sapienza. All’inizio, è meglio farsi aiutare da qualche maestro, o partecipare ad incontri ben fatti e collaudati da una lunga prassi. Non è facile prendere la Parola con mani nude, e farsi ustionare dalla sua verità che brucia.
 
D. - Come fare silenzio dentro di noi per fare spazio nel nostro cuore all’unica Parola necessaria?

 
R. - Oggi, il silenzio interiore è un’arte difficile, perché siamo immersi in una baraonda di chiasso e frastuoni. Il silenzio interiore non è mutismo, ma intensa attenzione all’essenziale e alla misteriosa presenza di Colui che il nostro cuore cerca. Il silenzio degli spirituali è un silenzio di chi quasi trattiene il respiro, tende l’orecchio, per captare il sussurro leggero, il transito di una voce interiore che solo nel silenzio intenso si capta. In questo essenziale e vivente silenzio, risuona la Parola, domina e plasma l’uditore. I Padri della Chiesa dicevano che ad essa si deve prestare la hypakoè,  quell’ob-audire che è la radice e il senso vero dell’obbedienza. Fare spazio alla Parola è proprio questo assimilarla ed eseguirla con totale adesione. La Parola ascoltata e vissuta trasfigura l’esistenza della persona, la rende trasparenza serena del mistero.
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