Padre Khalil Samir: sempre più deboli e delusi i cristiani in Medio Oriente
In Medio Oriente, è bloccato il percorso di pace tra Israele e Palestina. Un problema
politico che la Comunità internazionale non riesce a risolvere, nonostante 60 anni
di incontri e dialoghi. Una situazione che costringe i cristiani ad un futuro incerto,
privo di una prospettiva di giustizia e di vita, soprattutto per i giovani, che abbandonano
la Terra Santa. Luca Collodi ha chiesto a padre Samir Khalil Samir,
gesuita, docente di Teologia orientale presso l’Università Saint Joseph di Beirut
e docente presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma, perché il processo di pace
israelo-palestinese non decolli: **********
R.
–Ognuna delle due parti ha il suo progetto, il fatto è che l’ uno è opposto a quello
dell’altro. Da una parte, Israele occupa una gran parte della Palestina e dice di
riconoscere la Palestina, ma in realtà occupandola non la riconosce; dall’altra parte
alcuni gruppi palestinesi si sono sempre più radicalizzati e compiono atti di terrorismo,
perché non vogliono riconoscere Israele, neppure in relazione alle frontiere internazionali
riconosciute. C’è un non riconoscimento, quindi, da entrambe le parti, che si esprime
in violenza e che non porterà a nessun frutto. Anzi non fa che aumentare l’odio nel
cuore di entrambe le parti. Si tratta allora di riuscire a rovesciare tutto questo,
proponendo una soluzione che sia basata esclusivamente sul diritto sociale e solo
su questo. Si devono riconoscere i principi e poi cercare di lavorare insieme per
cercare di realizzarli, anche se per farlo saranno necessari 20 anni. Ma tutto deve
essere sotto un controllo internazionale, che venga riconosciuto dalle parti.
D.
– Purtroppo padre Samir la situazione sembra bloccata anche in Libano…
R.
– E’ bloccata, in realtà, per motivi soprattutto interni, ma anche perché ci sono
influenze sia della Siria, sia dell’Iran che non permettono una libertà di scelta
all’interno. Ma è bloccata anche perché in questa ultima guerra tra Libano ed Israele,
in realtà non era una guerra tra Libano ed Israele, ma tra Hezbollah ed Israele, laddove
Hezbollah è apparso e si è presentato come l’eroe vittorioso che è riuscito a tener
testa malgrado anche i sacrifici enormi della popolazione libanese. Si presenta, dunque,
come il vero potere in Libano; mentre il potere legittimo è delegittimato con l'accusa
di non aver fatto nulla.
D. – Quanto soffrono i
cristiani in Terra Santa e in Libano per questa situazione?
R.
– I cristiani soffrono perché soprattutto in Terra Santa sono una minoranza, ma anche
in Libano stanno diventando una forte minoranza. Una minoranza per definizione è più
debole. Ci sono poi delle pressioni esterne: in Terra Santa è chiaro che il cristiano
non ha nessun potere di decisione e tutto è nelle mani dei musulmani e degli israeliani.
I cristiani sono, dunque, diventati passivi. In Libano, invece, c’è una grande disillusione
da parte dei cristiani che fa sì che molti lascino il Paese, dicendo: “Questo non
è più il Libano che abbiamo conosciuto e non vogliamo più lasciar vivere e crescere
i nostri figli in una situazione che sta peggiorando”. L’emigrazione quindi cresce
sempre più.
D. – Padre Samir, il fondamentalismo
islamico quanto è responsabile della mancanza di pace in Terra Santa e in Medio Oriente
in generale?
R. – Il fondamentalismo va molto oltre
la Terra Santa, perché è diventato un movimento di massa: partendo dall’Arabia Saudita
è passato in Egitto e in tutto il mondo arabo negli anni Settanta, arrivando poi in
Africa e in Asia ed anche in quei Paesi musulmani come l’Indonesia, che era considerato
il Paese più liberale. Negli anni Novanta è arrivato in Europa con un suo progetto,
un grande progetto, ben palese. E usa tutti i mezzi: economici, politici, giuridici,
culturali. In Europa i fondamentalisti approfittano della debolezza del pensiero occidentale,
del relativismo, anche di quei lati positivi dell’Occidente che dicono “vogliamo una
società aperta” e loro rispondono: “Eccoci!”.