2007-02-27 14:38:32

Padre Khalil Samir: sempre più deboli e delusi i cristiani in Medio Oriente


In Medio Oriente, è bloccato il percorso di pace tra Israele e Palestina. Un problema politico che la Comunità internazionale non riesce a risolvere, nonostante 60 anni di incontri e dialoghi. Una situazione che costringe i cristiani ad un futuro incerto, privo di una prospettiva di giustizia e di vita, soprattutto per i giovani, che abbandonano la Terra Santa. Luca Collodi ha chiesto a padre Samir Khalil Samir, gesuita, docente di Teologia orientale presso l’Università  Saint Joseph di Beirut e docente presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma, perché il processo di pace israelo-palestinese non decolli:
 
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R. –Ognuna delle due parti ha il suo progetto, il fatto è che l’ uno è opposto a quello dell’altro. Da una parte, Israele occupa una gran parte della Palestina e dice di riconoscere la Palestina, ma in realtà occupandola non la riconosce; dall’altra parte alcuni gruppi palestinesi si sono sempre più radicalizzati e compiono atti di terrorismo, perché non vogliono riconoscere Israele, neppure in relazione alle frontiere internazionali riconosciute. C’è un non riconoscimento, quindi, da entrambe le parti, che si esprime in violenza e che non porterà a nessun frutto. Anzi non fa che aumentare l’odio nel cuore di entrambe le parti. Si tratta allora di riuscire a rovesciare tutto questo, proponendo una soluzione che sia basata esclusivamente sul diritto sociale e solo su questo. Si devono riconoscere i principi e poi cercare di lavorare insieme per cercare di realizzarli, anche se per farlo saranno necessari 20 anni. Ma tutto deve essere sotto un controllo internazionale, che venga riconosciuto dalle parti.

 
D. – Purtroppo padre Samir la situazione sembra bloccata anche in Libano…

 
R. – E’ bloccata, in realtà, per motivi soprattutto interni, ma anche perché ci sono influenze sia della Siria, sia dell’Iran che non permettono una libertà di scelta all’interno. Ma è bloccata anche perché in questa ultima guerra tra Libano ed Israele, in realtà non era una guerra tra Libano ed Israele, ma tra Hezbollah ed Israele, laddove Hezbollah è apparso e si è presentato come l’eroe vittorioso che è riuscito a tener testa malgrado anche i sacrifici enormi della popolazione libanese. Si presenta, dunque, come il vero potere in Libano; mentre il potere legittimo è delegittimato con l'accusa di non aver fatto nulla.

 
D. – Quanto soffrono i cristiani in Terra Santa e in Libano per questa situazione?

 
R. – I cristiani soffrono perché soprattutto in Terra Santa sono una minoranza, ma anche in Libano stanno diventando una forte minoranza. Una minoranza per definizione è più debole. Ci sono poi delle pressioni esterne: in Terra Santa è chiaro che il cristiano non ha nessun potere di decisione e tutto è nelle mani dei musulmani e degli israeliani. I cristiani sono, dunque, diventati passivi. In Libano, invece, c’è una grande disillusione da parte dei cristiani che fa sì che molti lascino il Paese, dicendo: “Questo non è più il Libano che abbiamo conosciuto e non vogliamo più lasciar vivere e crescere i nostri figli in una situazione che sta peggiorando”. L’emigrazione quindi cresce sempre più.

 
D. – Padre Samir, il fondamentalismo islamico quanto è responsabile della mancanza di pace in Terra Santa e in Medio Oriente in generale?

 
R. – Il fondamentalismo va molto oltre la Terra Santa, perché è diventato un movimento di massa: partendo dall’Arabia Saudita è passato in Egitto e in tutto il mondo arabo negli anni Settanta, arrivando poi in Africa e in Asia ed anche in quei Paesi musulmani come l’Indonesia, che era considerato il Paese più liberale. Negli anni Novanta è arrivato in Europa con un suo progetto, un grande progetto, ben palese. E usa tutti i mezzi: economici, politici, giuridici, culturali. In Europa i fondamentalisti approfittano della debolezza del pensiero occidentale, del relativismo, anche di quei lati positivi dell’Occidente che dicono “vogliamo una società aperta” e loro rispondono: “Eccoci!”.

 
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