2007-02-25 11:33:37

300 anni fa nasceva a Venezia Carlo Goldoni, il commediografo che fece entrare il mondo nel teatro


300 anni fa, il 26 febbraio 1707, nasceva a Venezia il grande commediografo Carlo Goldoni. Laureato in legge, abbandonò presto la carriera del giurista per darsi al teatro. Nelle sue commedie, circa 150, fece entrare la realtà di tutti i giorni. Goldoni non ebbe vita facile, preso da beghe di palcoscenico e da successi passeggeri. Morì in miseria. Tra i titoli più famosi ricordiamo "Arlecchino servitore di due padroni", "La locandiera", "Le baruffe chiozzotte" e "Il burbero benefico". Di Goldoni e del suo teatro Antonella Palermo ne ha parlato con il prof. Carmelo Alberti, docente di Discipline dello Spettacolo all’Università Ca’ Foscari, direttore dell’Istituto Teatrale di Casa Goldoni:

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(musica)

 R. – Venezia all’inizio del Settecento ha una straordinaria vitalità sul piano teatrale, dobbiamo considerarla un vero e proprio centro europeo su cui convergono spettatori, curiosi e avventurieri, perché la lunga stagione del carnevale attrae per l’offerta variegata e spesso anche sperimentale. Questa dimensione la dovremmo considerare come quei comici, quei commedianti che recitano, danzano, mimano e fanno – come si chiamava allora – la commedia dell’arte e tendono in qualche modo a cambiar stato, ad affittarsi con i risparmi una sede teatrale per cercare di diventare professionisti ed essere, quindi, sottoposti all’attenzione di un pubblico più ampio. E Goldoni incontrerà questi comici.

 
D. – Quale è stata l’idea riformatrice del Teatro di Goldoni?

 
R. – Quando Goldoni sceglie come professione quella teatrale, la prima cosa che tenta di fare è quella di arginare un po’ l’anarchia delle maschere, che appunto recitavano in genere senza seguire un preciso schema oppure arricchendo molto lo schema che mettevano in scena e che presentavano con delle loro trovate, dei loro lazzi e delle loro invenzioni. Era un po’ degenerato questo sistema, non era più l’età aurea, quella della fine del Cinquecento. Erano, quindi, molto schematici e, a volte, anche volgari. L’attenzione di Goldoni era proprio quella di focalizzare quelli che lui chiamava i “caratteri”, quelli che noi oggi chiamiamo personaggi. Questo cosa vuol dire? Far sì che l’attore uscisse dal suo ruolo, dalla sua maschera e diventasse direttamente riconoscibile come nome, con una modalità precisa, sempre all’interno delle categorie dei comici.

 
D. – Uscire dalla caricatura per indossare gli abiti di un personaggio vero?

 
R. – Proprio così, riconoscibile addirittura nella vita quotidiana. Questo era veramente interessante. Tanto più che usando spesso anche la lingua veneziana, c’era una allusione che noi oggi tante volte non riusciamo a cogliere, ma c’erano delle allusioni sicuramente dirette alla vita del suo tempo. Questa è la prima fase. C’è poi l’altra, quella della moralità: attraverso il teatro – diceva Goldoni – si interpreta il mondo, si guarda alle vicende del mondo. E’ un binomio inscindibile, come se sul palcoscenico di Goldoni la realtà entrasse da un lato, venisse elaborata davanti a spettatori attenti, discussa, esaminata e poi rimandata all’esterno. E’, quindi, una dimensione teatrale anche molto interessante, di analisi e di riflessione. Questi sono un po’ i pilastri della sua riforma.

 
D. – Quindi, teatro e spontaneità?

 
R. – Attenzione, una spontaneità che passa attraverso lo studio della parte. Quindi, in qualche modo, il testo dell’autore è un punto di partenza. Non è che neghi, anzi spesso e volentieri sollecita, l’invenzione dell’attore, ma l’invenzione dell’attore si fa sulle sue doti, non sulle parole che deve dire, non sulle frasi fatte che spesso e volentieri si usavano.
(musica)
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