300 anni fa nasceva a Venezia Carlo Goldoni, il commediografo che fece entrare il
mondo nel teatro
300 anni fa, il 26 febbraio 1707, nasceva a Venezia il grande commediografo Carlo
Goldoni. Laureato in legge, abbandonò presto la carriera del giurista per darsi al
teatro. Nelle sue commedie, circa 150, fece entrare la realtà di tutti i giorni. Goldoni
non ebbe vita facile, preso da beghe di palcoscenico e da successi passeggeri. Morì
in miseria. Tra i titoli più famosi ricordiamo "Arlecchino servitore di due padroni",
"La locandiera", "Le baruffe chiozzotte" e "Il burbero benefico". Di Goldoni e del
suo teatro Antonella Palermo ne ha parlato con il prof. Carmelo Alberti,
docente di Discipline dello Spettacolo all’Università Ca’ Foscari, direttore dell’Istituto
Teatrale di Casa Goldoni:
*********** (musica)
R.
– Venezia all’inizio del Settecento ha una straordinaria vitalità sul piano teatrale,
dobbiamo considerarla un vero e proprio centro europeo su cui convergono spettatori,
curiosi e avventurieri, perché la lunga stagione del carnevale attrae per l’offerta
variegata e spesso anche sperimentale. Questa dimensione la dovremmo considerare come
quei comici, quei commedianti che recitano, danzano, mimano e fanno – come si chiamava
allora – la commedia dell’arte e tendono in qualche modo a cambiar stato, ad affittarsi
con i risparmi una sede teatrale per cercare di diventare professionisti ed essere,
quindi, sottoposti all’attenzione di un pubblico più ampio. E Goldoni incontrerà questi
comici.
D. – Quale è stata l’idea riformatrice del
Teatro di Goldoni?
R. – Quando Goldoni sceglie come
professione quella teatrale, la prima cosa che tenta di fare è quella di arginare
un po’ l’anarchia delle maschere, che appunto recitavano in genere senza seguire un
preciso schema oppure arricchendo molto lo schema che mettevano in scena e che presentavano
con delle loro trovate, dei loro lazzi e delle loro invenzioni. Era un po’ degenerato
questo sistema, non era più l’età aurea, quella della fine del Cinquecento. Erano,
quindi, molto schematici e, a volte, anche volgari. L’attenzione di Goldoni era proprio
quella di focalizzare quelli che lui chiamava i “caratteri”, quelli che noi oggi chiamiamo
personaggi. Questo cosa vuol dire? Far sì che l’attore uscisse dal suo ruolo, dalla
sua maschera e diventasse direttamente riconoscibile come nome, con una modalità precisa,
sempre all’interno delle categorie dei comici.
D.
– Uscire dalla caricatura per indossare gli abiti di un personaggio vero?
R.
– Proprio così, riconoscibile addirittura nella vita quotidiana. Questo era veramente
interessante. Tanto più che usando spesso anche la lingua veneziana, c’era una allusione
che noi oggi tante volte non riusciamo a cogliere, ma c’erano delle allusioni sicuramente
dirette alla vita del suo tempo. Questa è la prima fase. C’è poi l’altra, quella della
moralità: attraverso il teatro – diceva Goldoni – si interpreta il mondo, si guarda
alle vicende del mondo. E’ un binomio inscindibile, come se sul palcoscenico di Goldoni
la realtà entrasse da un lato, venisse elaborata davanti a spettatori attenti, discussa,
esaminata e poi rimandata all’esterno. E’, quindi, una dimensione teatrale anche molto
interessante, di analisi e di riflessione. Questi sono un po’ i pilastri della sua
riforma.
D. – Quindi, teatro e spontaneità?
R.
– Attenzione, una spontaneità che passa attraverso lo studio della parte. Quindi,
in qualche modo, il testo dell’autore è un punto di partenza. Non è che neghi, anzi
spesso e volentieri sollecita, l’invenzione dell’attore, ma l’invenzione dell’attore
si fa sulle sue doti, non sulle parole che deve dire, non sulle frasi fatte che spesso
e volentieri si usavano. (musica) **********