Sono ripresi oggi a Vienna i negoziati sul futuro status del Kosovo. Partecipano esponenti
serbi e kosovari, sotto la presidenza dell’Inviato speciale dell’ONU, Martti Ahtisaari.
E’ stato intanto rivendicato intanto dall’UCK, l’Esercito di liberazione del Kosovo,
l’attentato compiuto ieri notte a Pristina contro tre autoveicoli della missione ONU
di amministrazione ad interim della provincia del Kosovo. Sulle aspettative degli
abitanti della regione, Stefano Leszczynski ha intervistato Lush Gjergji, parroco
di Binca e vicario generale dell’amministrazione di Prizren:
R. – Siamo fiduciosi
che si riesca a trovare finalmente una soluzione per soddisfare, per quanto sia possibile,
ambedue le parti, e per dare un segnale di democrazia vera e propria anche con la
gestione internazionale.
D. – Tuttavia ci sono stati recentemente alcuni
disordini, alcune manifestazioni…
R. – Sicuramente, ci sono delle difficoltà
ma questo non ha rilevanza politica. Si tratta di un gruppo di giovani e giovanissimi
che cercano di esprimere il loro malcontento in questa maniera, purtroppo anche violenta.
D.
– Qual è l’impegno della Chiesa per favorire la riconciliazione in Kosovo?
R.
– La nostra Chiesa ha cercato e cerca tuttora di essere una Chiesa-ponte tra due realtà.
Quindi cerchiamo di avere un dialogo ecumenico con la Chiesa sorella e un dialogo
interreligioso con la comunità islamica. La nostra funzione è sia storica, sia provvidenziale,
in questo momento.
D. – La presenza internazionale viene ancora vissuta
come un elemento di tranquillità in Kosovo?
R. – Sicuramente, e ne avremo
bisogno a lungo, soprattutto della presenza militare. Il passaggio dei poteri deve
essere un passaggio graduale e sicuro, per dare a tutti quanti la certezza che il
Kosovo non è né degli albanesi, né dei serbi, ma di tutti i cittadini, e che vuole
essere un modello di pace, di convivenza e, soprattutto, di riconciliazione e di perdono.