- In Iraq almeno 19 persone sono morte per nuovi attacchi a Najaf e a Baghdad. Comincia
a delinearsi, intanto, il piano per il disimpegno delle Forze della coalizione: gli
Stati Uniti annunciano di “voler lasciare il Paese arabo con onore” e la Gran Bretagna
ha reso noto che nelle prossime settimane avvierà il graduale ritiro delle proprie
truppe. Anche la Danimarca ha annunciato il ritiro dei suoi soldati dall’Iraq. Il
nostro servizio:
L’Amministrazione statunitense ribadisce il proprio impegno
in Iraq ma comincia anche a far intravedere la possibilità di una prossima conclusione
del proprio intervento militare nel Paese arabo: durante un discorso pronunciato a
bordo di una portaerei statunitense vicino a Tokyo, il vice presidente americano,
Dick Cheney, ha affermato che gli Stati Uniti vogliono “porre fine alla loro missione
militare in Iraq”. “Gli attacchi terroristici – ha aggiunto Cheney - sono sollecitati
dalla percezione di una debolezza”. Sul terreno, intanto, la mancanza di un’adeguata
scurezza ha dato la possibilità ad un kamikaze di compiere una nuova strage: un attentatore
suicida si è fatto saltare in aria a Najaf provocando la morte di almeno 16 persone,
tra cui diversi civili. A Baghdad sono rimaste uccise altre tre persone per l’esplosione
di una bomba. In questo drammatico scenario si profila poi l’inizio di un graduale
disimpegno del Regno Unito dall’Iraq: il primo ministro Tony Blair ha annunciato che
il numero dei soldati britannici impegnati in Iraq scenderà “nei prossimi mesi” da
oltre 7.000 a 5.500. Annuncio simile anche a Copenaghen, dove il primo ministro Anders
Fogh Rasmussen ha dichiarato che i soldati danesi in Iraq, circa 470, saranno rimpatriati
entro agosto. Le decisioni di Gran Bretagna e Danimarca di avviare il ritiro dei propri
contingenti arrivano poche settimane dopo quella di Washington di inviare 21.500 uomini
a sostegno dei 138 mila soldati statunitensi già dislocati in Iraq.
- Nuovo
blitz israeliano nei Territori Palestinesi: un’unità speciale dell’esercito dello
Stato ebraico ha ucciso il capo del braccio militare della Jihad islamica a Jenin,
nel nord della Cisgiordania. I rappresentanti del Quartetto per il Medio Oriente composto
da Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Nazioni Unite si apprestano intanto a riunirsi
a Berlino per una nuova serie di colloqui tesi a rilanciare il processo di pace tra
israeliani e palestinesi. Il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, aggiornerà
le delegazioni sui risultati del summit, tenutosi lunedì scorso a Gerusalemme, con
il premier israeliano, Ehud Olmert, ed il presidente palestinese Abu Mazen.
-
Prosegue il braccio di ferro tra Iran e Comunità internazionale sul programma nucleare
della Repubblica islamica: il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, ha ribadito
che l’Iran continuerà il proprio programma atomico anche se dovesse “rinunciare a
qualsiasi altro progetto per i prossimi 10 anni”. La dichiarazione del presidente
iraniano arriva nel giorno in cui scade l’ultimatum dell’ONU all’Iran per la sospensione
dei processi di arricchimento dell’uranio. A Roma, intanto, la questione nucleare
iraniana sarà al centro dell’incontro previsto oggi tra il capo negoziatore iraniano,
Ali Larijani, ed il presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi.
- “Solo
restando in Afghanistan l’Italia può continuare ad esercitare il suo ruolo e l’azione
per la pace a Kabul nella comunità internazionale”. Lo ha detto il ministro degli
Esteri italiano, Massimo D'Alema, intervenendo stamani al Senato. E’ una scelta difficile
– ha spiegato D’Alema - ma solo rimanendo “possiamo chiedere di essere relatori per
le missioni in Afghanistan nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite e batterci
per la Conferenza internazionale di pace”. Il ministro degli Esteri ha poi sottolineato
che “c’è una profonda diversità tra l’operazione militare in Afghanistan approvata
dall’ONU, in base all'accertato fatto che ci fossero delle basi di Al Qaeda, e quella
in Iraq, basata sulla menzogna dell’esistenza di armi di distruzione di massa”.
-
Sono stati diffusi gli identikit di due dei probabili attentatori, che nella notte
tra domenica e lunedì avrebbero fatto esplodere sul “treno dell'amicizia”, in viaggio
tra India e Pakistan, le bombe che hanno causato almeno 68 vittime. Oltre a questo
nuovo attacco si devono comunque registrare anche nuovi passi verso la riconciliazione:
i governi dei due Paesi hanno avviato nuovi colloqui di pace e firmato un accordo
per ridurre i rischi di incidenti legati alle armi nucleari.
- Sono ripresi
oggi a Vienna i negoziati sul futuro status del Kosovo. Partecipano esponenti serbi
e kosovari, sotto la presidenza dell’Inviato speciale dell’ONU, Martti Ahtisaari.
E’ stato intanto rivendicato intanto dall’UCK, l’Esercito di liberazione del Kosovo,
l’attentato compiuto ieri notte a Pristina contro tre autoveicoli della missione ONU
di amministrazione ad interim della provincia del Kosovo. Sulle aspettative degli
abitanti della regione, Stefano Leszczynski ha intervistato Lush Gjergji, parroco
di Binca e vicario generale dell’amministrazione di Prizren:
R. – Siamo
fiduciosi che si riesca a trovare finalmente una soluzione per soddisfare, per quanto
sia possibile, ambedue le parti, e per dare un segnale di democrazia vera e propria
anche con la gestione internazionale.
D. – Tuttavia
ci sono stati recentemente alcuni disordini, alcune manifestazioni…
R.
– Sicuramente, ci sono delle difficoltà ma questo non ha rilevanza politica. Si tratta
di un gruppo di giovani e giovanissimi che cercano di esprimere il loro malcontento
in questa maniera, purtroppo anche violenta.
D. –
Qual è l’impegno della Chiesa per favorire la riconciliazione in Kosovo?
R.
– La nostra Chiesa ha cercato e cerca tuttora di essere una Chiesa-ponte tra due realtà.
Quindi cerchiamo di avere un dialogo ecumenico con la Chiesa sorella e un dialogo
interreligioso con la comunità islamica. La nostra funzione è sia storica, sia provvidenziale,
in questo momento.
D. – La presenza internazionale
viene ancora vissuta come un elemento di tranquillità in Kosovo?
R.
– Sicuramente, e ne avremo bisogno a lungo, soprattutto della presenza militare. Il
passaggio dei poteri deve essere un passaggio graduale e sicuro, per dare a tutti
quanti la certezza che il Kosovo non è né degli albanesi, né dei serbi, ma di tutti
i cittadini, e che vuole essere un modello di pace, di convivenza e, soprattutto,
di riconciliazione e di perdono.
- Nuovi spiragli di pace per la Somalia:
il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha approvato, ad unanimità, una risoluzione per
autorizzare l’Unione Africana (UA) a dispiegare una forza di pace nel Paese africano.
Nella risoluzione si precisa che dopo un periodo di sei mesi il contingente dell’UA
potrebbe essere sostituito da una Forza composta da Caschi Blu delle Nazioni Unite.
La Somalia negli ultimi mesi è stata teatro di scontri tra miliziani delle Corti islamiche
e soldati del governo provvisorio appoggiati da truppe inviate dall’Etiopia. I guerriglieri
islamici si sono ritirati e le truppe governative hanno ripreso il controllo del territorio
ma attacchi e violenze non sembrano avere fine: ieri almeno 16 persone, in gran parte
civili, sono rimaste uccise a Mogadiscio in seguito al lancio di razzi contro postazioni
di soldati etiopi. Secondo il governo somalo, l’offensiva è stata lanciata da miliziani
islamici rimasti nella capitale.
- In Sudan un responsabile del principale
gruppo ribelle ha rivelato stamani che almeno 20 persone sono rimaste uccise ieri
in un attacco sferrato dalle milizie janjaweed nella parte meridionale della tormentata
regione del Darfur. L’attacco non è stato confermato dall’Unione Africana; l’ultimo
rapporto delle Nazioni Unite aveva tuttavia segnalato la massiccia presenza di miliziani
arabi nella zona. Intanto, dal Palazzo di Vetro, il segretario generale dell’ONU,
Ban Ki-Moon, sollecita il dispiegamento di una Forza internazionale, da 6.000 a 11.000
uomini, nell’est del Ciad e nel nord-est della Repubblica Centrafricana, per proteggere
i civili coinvolti nel conflitto in Darfur. (A cura di Amedeo Lomonaco e Eugenio
Laurenzi)