Basta evocare i nomi di San Benedetto da Norcia e San Francesco d’Assisi per identificare
l’Umbria come “culla” antichissima e feconda di spiritualità cristiana. I vescovi
della piccola regione italiana – che conta 830 mila abitanti, con 590 parrocchie e
un migliaio di parroci, tra diocesani e religiosi – iniziano oggi la loro visita ad
Limina in Vaticano. Tra i primi quattro presuli ricevuti questa mattina da Benedetto
XVI, c’era anche l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, Giuseppe Chiaretti, presidente
della Conferenza episcopale umbra. Davide Dionisi gli ha chiesto un’“istantanea” della
Chiesa di cui è responsabile e delle sue problematiche pastorali:
********** R.
- E’ una regione piccola, con pochi abitanti. Però, è una regione anche di importanza
strategica notevolissima, sia per la storia religiosa, sia anche per la storia civile
e culturale, non soltanto della regione ma dell’Italia, dell’Europa e della Chiesa:
si pensi a San Benedetto da un lato e a San Francesco dall’altro: due autentici “giganti”,
sulle spalle dei quali facciamo ancora la figura dei nani, nel senso che da loro sono
venute due culture, magari non adeguatamente approfondite e lette nel loro insieme,
ma comunque due culture che hanno impregnato ed interessato veramente tutta la storia,
religiosa e non religiosa. Quindi, pur essendo una piccola regione siamo – appunto
– portatori di questa memoria, che è una memoria attiva, non è una memoria remota
nel tempo e nello spazio. E’ una memoria attiva, perché Francesco è qui, è vivo, lo
dicono i tanti pellegrini che vengono ad Assisi.
D. - Ecco: in uno scenario
come quello da lei descritto, quale importanza assume la visita “ad Limina”?
R.
- Per noi, è una visita molto importante. Certo, i problemi rimangono: sono i problemi
di tutti ed i problemi specifici nostri. In questo momento, è grande e grave il problema
della nuova evangelizzazione, cioè come ri-dire la fede di Gesù Cristo ai nostri giorni
con quel cambio culturale radicale che è avvenuto. Certamente ci sono i Movimenti
i quali, ognuno con il suo linguaggio, tenta di testimoniare la fede alle persone
che incontrano, che si avvicinano. Però, noi abbiamo la responsabilità della globalità
della popolazione, la quale è per lo più battezzata e quindi ha un diritto-dovere
di essere aiutata dalla Chiesa a trovare il senso giusto, corretto della sua professione
di fede.
D. - Otto diocesi, otto realtà diverse: quali sono le sfide pastorali
che le accomunano, eccellenza?
R. - In primo luogo, ci siamo interessati
della carità, per una ragione semplicissima: avendo vissuto l’esperienza del terremoto,
abbiamo anche vissuto l’esperienza dello scambio dell’aiuto, sia quello che abbiamo
potuto dare - una diocesi all’altra - sia quello che altri sono venuti da fuori a
offrirci, in quei particolari momenti. Contemporaneamente, abbiamo avuto – per una
serie di coincidenze – l’occasione di farci carico di alcune situazioni di bisogno
per il Kosovo. Questo impegno di carità si esprime poi in opere, oltre che in sensibilizzazione,
all’interno della diocesi ma anche e soprattutto con forme di gemellaggio verso altre
realtà lontane da noi e lontane anche dall’Italia. C’è l’emergenza dei giovani che,
mi rendo conto, è un’emergenza di tutti. Noi stiamo tentando, dopo aver fatto un grosso
convegno su questo, di rispondere ad esempio con gli oratori, rispolverando un po’
questo strumento lontano, per noi anche un po’ difficile da capire, perché non abbiamo
l’esperienza dell’oratorio modernamente inteso. C’è poi il settore della famiglia,
che vive crisi di adattamento anche da noi. Anche su questo stiamo facendo particolare
attenzione, aiutando le persone a porsi il problema della fede e dell’educazione dei
figli alla fede. Sono delle attenzioni particolari, ben sapendo – peraltro – che chi
cambia le situazioni sono le famiglie veramente cristiane che possono dare l’esempio
di un amore autentico per la vita, con i figli che danno alla luce: esempi che riescono
a fermentare all’interno di una società.
D. - Benedetto da Norcia, Francesco
d’Assisi, Chiara e Rita da Cascia: sono storie di spiritualità e di esperienza mistica
che hanno caratterizzato la vita della Chiesa umbra. Sono ancora considerati modelli
di riferimento per la comunità locale?
R. - Certamente, modelli di riferimento
sul piano spirituale, senza dubbio. Francesco ancora parla ai giovani. E anche Benedetto
è un punto di riferimento di estrema importanza. La religiosità popolare resta legata
ai Santuari, è ancora qualcosa di vivo. Sentiamo l’urgenza di poter dire una parola
anche di chiarificazione in merito a questa religiosità, perché diventi – come diceva
Paolo VI – “pietà popolare”, e questo ci trova coerenti e attenti. E’ chiaro che non
possiamo rinnovare la fede soltanto con la pietà popolare: ci vuole un cammino che
approdi alle motivazioni, che porti realmente un metodo ed un linguaggio che siano
più su misura delle esigenze di oggi. **********