2007-02-19 15:21:19

I vescovi umbri dal Papa


Basta evocare i nomi di San Benedetto da Norcia e San Francesco d’Assisi per identificare l’Umbria come “culla” antichissima e feconda di spiritualità cristiana. I vescovi della piccola regione italiana – che conta 830 mila abitanti, con 590 parrocchie e un migliaio di parroci, tra diocesani e religiosi – iniziano oggi la loro visita ad Limina in Vaticano. Tra i primi quattro presuli ricevuti questa mattina da Benedetto XVI, c’era anche l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, Giuseppe Chiaretti, presidente della Conferenza episcopale umbra. Davide Dionisi gli ha chiesto un’“istantanea” della Chiesa di cui è responsabile e delle sue problematiche pastorali:

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R. - E’ una regione piccola, con pochi abitanti. Però, è una regione anche di importanza strategica notevolissima, sia per la storia religiosa, sia anche per la storia civile e culturale, non soltanto della regione ma dell’Italia, dell’Europa e della Chiesa: si pensi a San Benedetto da un lato e a San Francesco dall’altro: due autentici “giganti”, sulle spalle dei quali facciamo ancora la figura dei nani, nel senso che da loro sono venute due culture, magari non adeguatamente approfondite e lette nel loro insieme, ma comunque due culture che hanno impregnato ed interessato veramente tutta la storia, religiosa e non religiosa. Quindi, pur essendo una piccola regione siamo – appunto – portatori di questa memoria, che è una memoria attiva, non è una memoria remota nel tempo e nello spazio. E’ una memoria attiva, perché Francesco è qui, è vivo, lo dicono i tanti pellegrini che vengono ad Assisi.


D. - Ecco: in uno scenario come quello da lei descritto, quale importanza assume la visita “ad Limina”?


R. - Per noi, è una visita molto importante. Certo, i problemi rimangono: sono i problemi di tutti ed i problemi specifici nostri. In questo momento, è grande e grave il problema della nuova evangelizzazione, cioè come ri-dire la fede di Gesù Cristo ai nostri giorni con quel cambio culturale radicale che è avvenuto. Certamente ci sono i Movimenti i quali, ognuno con il suo linguaggio, tenta di testimoniare la fede alle persone che incontrano, che si avvicinano. Però, noi abbiamo la responsabilità della globalità della popolazione, la quale è per lo più battezzata e quindi ha un diritto-dovere di essere aiutata dalla Chiesa a trovare il senso giusto, corretto della sua professione di fede.


D. - Otto diocesi, otto realtà diverse: quali sono le sfide pastorali che le accomunano, eccellenza?


R. - In primo luogo, ci siamo interessati della carità, per una ragione semplicissima: avendo vissuto l’esperienza del terremoto, abbiamo anche vissuto l’esperienza dello scambio dell’aiuto, sia quello che abbiamo potuto dare - una diocesi all’altra - sia quello che altri sono venuti da fuori a offrirci, in quei particolari momenti. Contemporaneamente, abbiamo avuto – per una serie di coincidenze – l’occasione di farci carico di alcune situazioni di bisogno per il Kosovo. Questo impegno di carità si esprime poi in opere, oltre che in sensibilizzazione, all’interno della diocesi ma anche e soprattutto con forme di gemellaggio verso altre realtà lontane da noi e lontane anche dall’Italia. C’è l’emergenza dei giovani che, mi rendo conto, è un’emergenza di tutti. Noi stiamo tentando, dopo aver fatto un grosso convegno su questo, di rispondere ad esempio con gli oratori, rispolverando un po’ questo strumento lontano, per noi anche un po’ difficile da capire, perché non abbiamo l’esperienza dell’oratorio modernamente inteso. C’è poi il settore della famiglia, che vive crisi di adattamento anche da noi. Anche su questo stiamo facendo particolare attenzione, aiutando le persone a porsi il problema della fede e dell’educazione dei figli alla fede. Sono delle attenzioni particolari, ben sapendo – peraltro – che chi cambia le situazioni sono le famiglie veramente cristiane che possono dare l’esempio di un amore autentico per la vita, con i figli che danno alla luce: esempi che riescono a fermentare all’interno di una società.


D. - Benedetto da Norcia, Francesco d’Assisi, Chiara e Rita da Cascia: sono storie di spiritualità e di esperienza mistica che hanno caratterizzato la vita della Chiesa umbra. Sono ancora considerati modelli di riferimento per la comunità locale?


R. - Certamente, modelli di riferimento sul piano spirituale, senza dubbio. Francesco ancora parla ai giovani. E anche Benedetto è un punto di riferimento di estrema importanza. La religiosità popolare resta legata ai Santuari, è ancora qualcosa di vivo. Sentiamo l’urgenza di poter dire una parola anche di chiarificazione in merito a questa religiosità, perché diventi – come diceva Paolo VI – “pietà popolare”, e questo ci trova coerenti e attenti. E’ chiaro che non possiamo rinnovare la fede soltanto con la pietà popolare: ci vuole un cammino che approdi alle motivazioni, che porti realmente un metodo ed un linguaggio che siano più su misura delle esigenze di oggi.
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