"La scienza medica deve servire chi è malato o non può parlare, come il bambino non
nato". Così Benedetto XVI al Convegno sulla Comunicazione in medicina alla Cattolica
di Roma
(16 febbraio 2007 - RV) La relazione fra medico e paziente è un’area da esplorare
a fondo, per impedire che la professione medica si limiti alla cura della sofferenza
fisica, ignorando la totalità della persona, e prestandosi così a “manipolazioni”
e a “distorsioni” della sua natura più vera. L’appello di Benedetto XVI spicca nel
Messaggio inviato, a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ai
partecipanti al Convegno internazionale intitolato “Comunicazione e relazionalità
in medicina, nuove prospettive per l’agire medico”. Il Convegno si svolge oggi e domani
a all’Università Cattolica di Roma ed è promosso dall’Associazione Medicina Dialogo
Comunione in collaborazione con l’ateneo. Sul Messaggio del Papa, il servizio di
Alessandro De Carolis: ********** Trovare
un autentico rapporto col malato per non tradire la propria vocazione di medico. Lo
chiede Benedetto XVI ai medici del Convegno promosso dall’Associazione MDC (Medicina
Dialogo Comunione), che si ispira al carisma del Movimento dei Focolari. In una medicina
come quella contemporanea, “sempre più soggetta a manipolazioni, a tentativi di distorsione
della sua natura specifica, che è quella di un sapere al servizio dell’uomo malato”,
questi – scrive il Papa nel Messaggio a firma del cardinale Bertone – deve poter contare
su una “dimensione relazionale” che coinvolga tutti gli attori di una struttura medica,
dall’equipe che segue il paziente al contesto familiare del malato stesso. Questo
assunto dimostra, osserva il Pontefice, la “centralità” che la comunicazione occupa
nella professione medica.
Tuttavia, argomenta più avanti Benedetto XVI, sarebbe
“un errore identificare nella capacità relazionale e comunicativa il tutto della persona
umana”, poiché afferma citando l’enciclica Evangelium vitae, “è chiaro che, con tali
presupposti, non c’è spazio nel mondo per chi, come il nascituro o il morente, è un
soggetto strutturalmente debole” e all’apparenza “totalmente assoggettato alla mercé
di altre persone e da loro radicalmente dipendente”, in grado di comunicare “solo
mediante il muto linguaggio di una profonda simbiosi di affetti”. Le “nuove prospettive”
cui si riferisce il titolo del Convegno, sottolinea Benedetto XVI, vanno lette dunque
“nell’ottica di una capacità comunicativa che fonda l’essere uomo al di sopra di quei
valori fittizi che vengono sempre più imposti dalla società moderna, quali efficienza,
produttività e autonomia”. La speranza che accompagna questa iniziativa, conclude
il Papa, è quella “di scoprire una sempre maggiore autenticità delle relazioni nel
mondo della medicina”.
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Comunicazione e relazionalità,
dunque, sono la chiave per migliorare l’attività medica nel futuro. Su questo punto,
Antonella Villani ha chiesto il parere di Flavia Caretta, geriatra, docente all’Università
Cattolica di Roma e moderatrice del Convegno:
********** R.
- Credo che la comunicazione e la relazione in medicina, oggi, significhino recuperare
l’essenza della professione medica che richiede sicuramente competenza tecnica, ma
anche competenza umana, capacità relazionale perché l’incontro con il paziente è un
incontro tra persone, non tra ruoli.
D. - Voi puntate molto anche sul
concetto di fraternità. Ma come si applica questo in medicina?
R. - Fraternità
significa un incontro tra persone in cui ciascuno ha qualcosa da dare e da ricevere
dall’altro. Noi vorremmo provare a sostanziare reciprocità e comunione, mettendole
come fondamento ad ogni relazione.
D. - In questo momento, si parla molto
di eutanasia, accanimento terapeutico... Come vi ponete di fronte a tutto questo?
R.
- Il medico non si pone solo come un dispensatore di cure, ma come un qualcuno che
sa cogliere anche quelle che sono le esigenze più profonde del paziente. Forse si
può arrivare a decisioni condivise che rispettino le esigenze del paziente ma anche
la dignità della vita e della persona.
Il Convegno è stata l’occasione
per confrontare varie realtà mediche, creare modelli applicativi, come spiega Antonio
Acquaviva, ricercatore pediatra all’Università di Siena:
R. - Non tutti
i medici hanno questa capacità di relazionarsi. Nei nostri incontri abbiamo fatto
esperienza che possono essere proposti dei modelli applicativi che facciano sì che
venga fuori una medicina nuova, più attenta al malato perché anche l’efficacia delle
cure possa risentire di questo clima di cui il malato ha tanto bisogno. Questi modelli
applicativi si riferiscono anche alla relazione tra gli operatori sanitari: è importante
creare un approccio multi-disciplinare per tante malattie, e anche questa multidisciplinarietà
dev’essere vissuta in un ambito di amicizia, di fraternità ...
D. - Tra
le vostre proposte c’è anche l’inserimento di materie medico-umanistiche nei piani
di studio...
R. - Noi vorremmo proporre al ministro per le Università che
il curriculum degli studenti universitari preveda una formazione alla relazione. Potrebbe
essere possibile inserire materie come la pedagogia medica, l’etica della relazione
oltre alla bioetica, cioè tutte materie che affinano le capacità dello studente a
relazionarsi con il malato.
D. - Umanità e fratellanza sono fondamentali
anche per quanto riguarda le collaborazioni tra nazioni a diverso livello assistenziale...
R.
- Abbiamo presentato i risultati di progetti che abbiamo realizzato in Africa e nelle
Filippine. E’ stata come una verifica: entrando a contatto con queste popolazioni,
con questo spirito diverso, possiamo avere dei risultati terapeutici impensabili! **********