(14 febbraio 2007 - RV) In Guinea Conakry, nonostante il coprifuoco imposto dal presidente
Lansana Conté, è di quattro morti il bilancio degli scontri di ieri tra manifestanti
e polizia, avvenuti nella cittadina di Labé. La situazione, sempre più drammatica,
conta 110 vittime nell’ultimo mese e mezzo. Sugli sviluppi delle ultime ore, Salvatore
Sabatino ha raggiunto telefonicamente nella capitale Conakry l’incaricato d’affari
della nunziatura mons. Lucio Sembrano:
********** R.
– E’ tornata la calma. Soprattutto gli atti vandalici che si erano verificati nei
giorni scorsi, sono cessati. Il problema è che si tratta soprattutto di giovani soldati
che stanno pattugliando le strade: per allontanare le persone, sparano in aria. Sono
senza esperienza e non si rendono conto che spesso i colpi causano dei danni collaterali.
Alcune persone sono già finite in ospedale, un vecchio è morto perché le pallottole
rimbalzano e feriscono le persone.
D. – E’ una situazione dunque difficile
da tenere sotto controllo, frutto di una situazione politica altrettanto, se non ancora
più difficile ...
R. – Sì. Il presidente aveva promesso di dare un primo
ministro che fosse effettivamente un uomo capace di raccogliere il consenso di tutte
le forze politiche, e ha deluso queste aspettative, scegliendo uno del suo entourage.
Di conseguenza, la gente, questa volta, non più soltanto i partiti dell’opposizione,
è scesa in strada, reclamando proprio che il presidente se ne vada via, che lasci
il potere. Cosa che attualmente sarà di fatto un po’ difficile da realizzare, perché
lui ha il sostegno dell’esercito ...
D. – Si allunga, a questo punto, l’ombra
di una guerra civile ...
R. – Sì. Ma finché c’è il coprifuoco e lo stato
d’assedio in vigore, e anche le riunioni sono proibite gli stessi capi dell’opposizione
non hanno la possibilità concreta di prevedere un futuro sviluppo; però, quando lo
stato d’assedio sarà tolto, la società civile si organizzerà come prima e sarà anche
più dura di prima.
D. – I Paesi come la Sierra Leone, la Liberia, i Paesi
confinanti, temono che ci siano delle ondate di profughi e sfollati. Come si stanno
comportando in questo momento?
R. – Durante la prima ondata di sciopero,
Sierra Leone e Liberia hanno fatto sentire la loro voce. La Guinea ospita moltissimi
dei loro profughi; non solo: fornisce anche aiuti alimentari perché né Liberia né
Sierra Leone sono autosufficienti, da questo punto di vista. Quindi, temono che una
volta che il Paese fosse destabilizzato, non solo i loro profughi tornerebbero nei
loro Paesi, ma ci sarebbero anche altre ondate di profughi guineani, con conseguenze
devastanti. Però, di fatto, nessuna misura politica, nessuna pressione ancora è stata
esercitata. Né l’Unione Africana né l’Unione Europea, che in una prima fase si erano
fatte sentire, adesso si sono mosse.
D. – Secondo lei, perché questo atteggiamento
così “assente” della comunità internazionale nei confronti di questa crisi?
R.
– L’Africa non è mai stata nelle priorità dello scenario internazionale. E anche se
qui ci sono miniere di bauxite e di oro e di diamanti, di fatto però gli stessi Stati
Uniti sanno bene che possono procurarsi la bauxite, che è fondamentale per la costruzione
degli aerei, anche da altre parti del mondo. Potendo prescindere dalle materie prime
– è amaro doverlo constatare – c’è indifferenza nei confronti di quello che accade
qua! **********