Pubblicata la sentenza della condanna a morte di Saddam. Ancora sangue in Iraq
(28 dicembre 2006 - RV) Anche oggi diversi attentati hanno sparso sangue nella capitale
irachena. L'esplosione quasi simultanea di due ordigni in un mercato popolare di
Baghdad, già colpito due giorni fa, ha provocato questa mattina la morte di sei persone
e il ferimento di almeno una ventina di altre. E quattro persone sono morte e tredici
altre sono rimaste ferite nella parte orientale di Baghdad per un’esplosione nei pressi
di una stazione di rifornimento di carburanti. Inoltre, come spesso accade, la polizia
di Baghdad ha ritrovato nelle ultime 24 ore almeno 50 cadaveri abbandonati nelle strade
o nelle discariche di diversi quartieri della città. Quattro corpi decapitati sono
inoltre stati ritrovati Khalediya, a circa 130 km ad Est di Baghdad. Intanto, l'Alto
tribunale penale iracheno ha pubblicato stamane il rigetto dell'appello dell'ex presidente
Saddam Hussein, e l'ordine della sua condanna a morte. Il servizio di Roberta Gisotti:
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alla rovescia per fermare l’esecuzione per impiccagione di Saddam Hussein, già comminata
il 5 novembre e confermata il 26 dicembre dalla Corte d’Appello. Ma la questione ha
già sollevato un vespaio giuridico circa i termini dell’esecuzione, fissati entro
30 giorni alcuni sostengono dalla sentenza definitiva, altri dalla ratifica del presidente
Talabani, prevista dalla nuova Costituzione irachena del 2005, e che potrebbe essere
rifiutata, aprendo quindi la via ad una sospensione o rinvio. Le diatribe sul diritto
appaiono pretestuose rispetto alle polemiche politiche su questa condanna a morte,
che oltre a sollevare in campo internazionale le proteste di chi rifiuta comunque
la pena capitale, pone seri interrogativi sul ‘dopo morte’ di Saddam Hussein. Al nostro
microfono abbiamo Mario Marazziti, portavoce della comunità di Sant’Egidio:
D.
- Quali ragioni della fede opporre contro questa sentenza e quali motivi anche della
ragione?
R. – Intanto, non c’è una giustizia che non debba sempre rispettare
la vita. Ormai la fede e la ragione coincidono sul fatto che ci sia un livello di
civiltà, per cui è possibile garantire la sicurezza, garantire la giustizia senza
mai eliminare la vita. Questa esecuzione, come tutte le esecuzioni, aggiunge una morte
alle morti già avvenute, non risarcisce le vittime,ha solo il sapore della vendetta
di Stato e, in questo caso, addirittura, della vendetta dei vincitori.
D.
- Cresce la preoccupazione per gli scenari di guerra civile in Iraq? Quali possibilità
di arrivare ad una conferenza di pace per l’intera regione mediorientale? Chi dovrebbe
partecipare? E chi dovrebbe mediare?
R. – In realtà, oggi, ci troviamo
di fronte al fatto che la possibile morte di Saddam Hussein tagli le gambe a quelle
già deboli possibilità di processo di riconciliazione nazionale, aumentando il fossato
tra sciiti e sunniti. La guerra non è stata vinta, ma è oggi una guerra civile in
atto a tutti gli effetti. Il processo democratico purtroppo è una grande speranza,
ma la democrazia non è solo libere elezioni, ma pesi, contrappesi, una società civile
che funzioni, un’opinione pubblica che esista. E se poi noi andiamo ai numeri della
democrazia: abbiamo una grande maggioranza sciita, con un mondo che si preoccupa quando
gli sciiti, vicini all’Iran, crescono come potere in quel Paese. Allora, credo non
ci sia alternativa che andare ad una conferenza internazionale, dove anche i Paesi
vicini, quindi tutti quelli coinvolti, nel Medio Oriente, possano dare un contributo.
Si parla di nuovo di Iran, di Siria, di quei Paesi che il mondo occidentale, in questo
momento, vede con preoccupazione. E’ una situazione molto ingarbugliata. La morte
di Saddam Hussein rischierebbe di aggravare tutto questo. **********