2006-12-27 16:21:32

Saddam dopo la condanna a morte si dice pronto al "martirio"


(27 dicembre 2006 - RV) La sentenza che ieri ha confermato la pena di morte per Saddam Hussein deve considerarsi definitiva e non necessita dell’approvazione del presidente Talabani, Lo ha reso noto l’ufficio della presidenza irachena. L’ex-rais intanto ha mandato un messaggio al popolo iracheno. Il servizio di Debora Donnini RealAudioMP3


Sui possibili effetti che la condanna a morte di Saddam Hussein potrebbe avere in Iraq e nei Paesi del mondo arabo Stefano Leszczynski ha intervistato Fouad Allam, giornalista iracheno, editorialista del quotidiano La Repubblica:
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R. – E’ certamente un aspetto inedito nella storia dei governanti dei Paesi arabi islamici ed è anche vero che è la prima volta che un presidente, per anni al potere, venga condannato a morte. Questo può, quindi, avere un effetto generale per quanto riguarda il rapporto tra società e potere nel mondo arabo islamico. Il secondo effetto è che, purtroppo, questo processo e questa condanna sono avvenuti in un contesto di guerra e, quindi, mi sembra abbastanza evidente che gli effetti all’interno dell’Iraq e nella componente sunnita siano quelli di enfatizzare il rapporto tra sunniti e sciiti, sciiti e curdi, etc.


D. – E’ possibile che la morte di Saddam Hussein impedisca di avere un simbolo, una speranza di rivincita?


R. – Anche prima della condanna a morte, il fatto stesso che gran parte della dirigenza del Partito Baath iracheno fosse stato messo in prigione aveva fatto capire che non potevano un domani riprendere loro le redini del potere. In realtà il problema vero è che, con questa condanna, l’inizio di un qualcosa di nuovo e di diverso diventerà sempre più difficile.


D. – Si è discusso molto anche della natura di questo Tribunale speciale…


R. – Non si tratta tanto della struttura giuridica, non si tratta tanto della scelta dei giudici, perché su questo ognuno di noi può esprimere la propria opinione, ma la cosa rilevante è che si tratta di un processo che si è tenuto in una situazione di guerra o, se non di guerra dichiarata, certamente di conflitto permanente. E’ ovvio che questo rende il processo stesso diverso da quello altrettanto famoso di Norimberga dopo la II Guerra Mondiale.


D. – Non sembrano essersi levate molte voci nei confronti di questa sentenza da parte dei leader arabi…


R. – E’ possibile che si abbia paura che il caso iracheno faccia scuola e che possa essere, quindi, esportabile anche in altri contesti. Questo pezzo di sistema che muore in Iraq si ha paura che possa morire definitivamente anche nel resto dei Paesi arabi, di fronte al ruolo e alla nascita di una potenza, a maggioranza sciita, circondata da elementi sciiti che vanno oggi dal Libano fino all’Iran.
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