Mons. Moretti spiega il "no" del Vicariato di Roma ai funerali religiosi per Piergiorgio
Welby
(23 dicembre 2006 - RV) Sta suscitando reazioni di segno opposto la decisione assunta
ieri dal Vicariato di Roma di non concedere la celebrazione delle esequie ecclesiastiche
per Piergiorgio Welby, il malato di distrofia muscolare progressiva morto mercoledì
sera, dopo aver più volte chiesto di non voler continuare a dipendere dal respiratore
automatico che lo teneva in vita. Nel suo comunicato, il Vicariato di Roma spiega
che “a differenza dai casi di suicidio nei quali si presume la mancanza delle condizioni
di piena avvertenza e deliberato consenso”, la volontà “di porre fine alla propria
vita” del dott. Welby era “ripetutamente e pubblicamente affermata” e ciò, si osserva
nella nota, “contrasta con la dottrina cattolica”. Tuttavia, conclude il comunicato,
non vengono meno “la preghiera della Chiesa per l’eterna salvezza del defunto e la
partecipazione al dolore dei congiunti”. Su questa vicenda dai complessi risvolti
umani ed etici, Alessandro De Carolis ha chiesto un commento all’arcivescovo Luigi
Moretti, vicegerente della diocesi di Roma:
********** R.
- I motivi si inseriscono in quella che è la tradizione costante della Chiesa, che
non può approvare la volontà di togliersi la vita. E questo proprio perché noi crediamo
che la vita sia un bene che ci viene donato. Nella prassi normale, quando ci sono
casi di persone che rifiutano la vita, in situazioni in cui non sempre si riesce a
comprendere quale sia lo stato di libertà, di consapevolezza, i funerali poi si fanno
affidando sempre tutto alla misericordia di Dio, perché nessuno di noi è giudice.
In questo caso, invece, c’è un discorso diverso, legato non tanto al voler essere
noi i giudici - perché questo, lo ripeto, non spetta certo a noi - ma al modo in cui
è stata condotta la vicenda di questa sofferenza e di questa morte, anche per prese
di posizioni dello stesso malato, di coloro che sono entrati in questa vicenda d i
familiari stessi. A questo punto, il segno che la Chiesa poteva dare era semplicemente
quello di riconoscere e prendere atto di una volontà espressa che, come tutte le scelte,
ovviamente va a collocarsi all’interno di una responsabilità che porta con sé delle
conseguenze. Non possiamo, quindi, dare dei segnali contraddittori anche per le persone.
D. - Nonostante l’estrema coerenza e fedeltà ai propri principi morali,
la decisione di non concedere le esequie religiose ha suscitato reazioni di critica
anche in chi, per scelta ideologica, è normalmente schierato contro la Chiesa cattolica…
R.
- In questi casi, tutto serve ad alimentare le polemiche. Io credo che meriterebbe
più rispetto il mistero della morte: non può diventare tutto oggetto di polemiche
e di strumentalizzazioni. Io credo che l’appartenenza alla fede, l’appartenenza alla
Chiesa non sia semplicemente un qualcosa di soggettivo. La scelta della fede è una
scelta di libertà e la scelta della coerenza nella fede è il minimo che si possa chiedere
e che ci chiede il Signore.
D. - In che modo in queste settimane la Chiesa,
come afferma il comunicato del Vicariato, è stata vicina al dolore dei familiari di
Welby?
R. - E’ risaputo che i sacerdoti della loro parrocchia sono stati
e sono in costante rapporto con loro, portando loro il conforto di una parola di speranza,
di una parola cristiana. Questo può continuare e continuerà. Certamente, come Chiesa
ci facciamo carico delle sofferenze delle persone.
D. - Cosa le ha lasciato
dentro, eccellenza, questa vicenda?
R. - Mi ha fatto ripensare molto alla malattia
e alla morte di Giovanni Paolo II. Anche lì si trattava di una morte portata in pubblico,
ma da essa veniva un grande messaggio di speranza, di amore alla vita, di consapevolezza
che la vita anche in quelle situazioni è un grande valore, è una grande opportunità.
Da questa parte, invece, si è voluto mostrare che si trattava di una vita non all’altezza
di esser vissuta. E qui, credo, c’è la responsabilità di tutti nel creare le condizioni
affinché la vita possa essere sempre e comunque amata ed apprezzata. Questa è l’esperienza
più vera che mi rimane dentro. Oggi, purtroppo e sempre di più, accade la vita la
si apprezzi solo rientra in certi canoni, in certe prospettive, in certe logiche.
E credo che ciò sia una forma di impoverimento della vita. **********