2006-12-20 15:38:26

Sdegno nel mondo per la condanna a morte in Libia di 5 infermiere bulgare e un medico palestinese


(20 dicembre 2006 - RV) Cresce lo sdegno della comunità internazionale, dopo che la giustizia libica ha condannato a morte le cinque infermiere bulgare e il medico palestinese accusati di aver inoculato nel ’98 il virus dell’AIDS a 426 bambini dell’ospedale di Bengasi, 52 dei quali sono poi morti. Perizie di esperti internazionali hanno dimostrato che le infezioni furono conseguenza delle pessime condizioni igienico-sanitarie della struttura ospedaliera. Intanto alla notizia della sentenza emessa dal tribunale di Tripoli, la Bulgaria ha respinto la condanna. Una doccia fredda per Sofia, che il 1° gennaio entrerà ufficialmente nell’Unione Europea. Stefano Leszczynski ha intervistato Riccardo Noury, portavoce in Italia di Amnesty International:

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R. – Noi ci aspettiamo che l’Unione Europea prenda una posizione ferma – lo ha già fatto ieri nelle parole di Frattini – ma che la prenda in maniera duratura e che faccia l’impossibile perché queste condanne a morte non vengano eseguite. Dopodiché rimane un problema che Amnesty constata con preoccupazione, cioè il desiderio quasi bramoso da parte dell’Unione Europea di individuare la Libia come partner politico per fermare i flussi di migranti. E aggiungo anche una cosa: che la Bulgaria sta per entrare nell’Unione Europea. Ci troveremmo nella paradossale e spiacevole situazione per cui i cittadini dell’Unione Europea vengono condannati a morte ...


D. – In ambito internazionale, sembrava che la Libia avesse molto ammorbidito i propri atteggiamenti negativi nei confronti dell’estero. Quello che sta succedendo oggi indica un passo indietro?


R. – Certamente è un sistema giudiziario che presenta numerose imperfezioni; sono stati fatti dei passi avanti nel corso degli ultimi anni, con la scarcerazione di alcuni prigionieri politici. Però, il punto è che sui diritti umani c’è ancora molta strada da fare e il pieno rispetto dei diritti umani è la precondizione che l’Unione Europea e altri soggetti dovrebbero instaurare per proseguire i rapporti con Tripoli.


D. – Come mai tanto accanimento sull’accusa nei confronti di questi infermieri e invece nessuna autocritica verso il proprio sistema sanitario?


R. – Evidentemente, mettere in luce le imperfezioni del sistema sanitario sarebbe stata una forma di ammissione della propria colpevolezza: è molto più semplice, più rapido e più sbrigativo accusare cittadini stranieri di avere causato una strage di bambini.
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