(23 novembre 2006 - RV) Benedetto XVI ha ricevuto, stamani in udienza, un primo gruppo
di vescovi della Conferenza episcopale abruzzese-molisana. Si tratta dell’atto d’inizio
della visita ad Limina dei presuli italiani, che si prolungherà fino a primavera.
La regione ecclesiastica Abruzzo-Molise è una delle sedici in cui è suddivisa la Chiesa
cattolica italiana. Conta circa un milione e mezzo di abitanti, affidati alla cura
pastorale di undici vescovi e 942 sacerdoti secolari. Le parrocchie distribuite sul
territorio sono 1059. Giovanni Paolo II si è recato in Abruzzo 7 volte e 2 in Molise.
Dal canto suo, Benedetto XVI ha visitato la terra abruzzese lo scorso primo settembre
quando si è recato in pellegrinaggio al Santuario di Manoppello, vicino Chieti. Una
visita che il Papa ha ricordato ieri in Piazza San Pietro, salutando proprio i presuli
abruzzesi e molisani presenti all’udienza generale. Per conoscere quali siano le aspettative
dell’episcopato, Alessandro Guarasci ha intervistato l’arcivescovo di Lanciano-Ortona,
Carlo Ghidelli, presidente della Conferenza episcopale abruzzese-molisana: ********** R.
– Ci aspettiamo soprattutto una rinascita, una ripresa della vita diocesana, l’apertura
delle parrocchie alla diocesi e delle varie diocesi alla realtà regionale, alla Conferenza
episcopale regionale. Siamo convinti che più si allarga la comunione e più essa diventa
anche intensa quindi ci aspettiamo dal Papa anche uno stimolo ad aprire le parrocchie
alla diocesi e le diocesi alla regione. Poi, evidentemente, una ripresa della vita
cristiana perché siamo sicuri che il Papa ci dirà una parola speciale di cui cercheremo
di far tesoro e comunicarla il più possibile anche agli altri. D. – La società
italiana è interessata da un forte movimento di secolarizzazione. Questo lo riscontrate
anche nella vostra regione e soprattutto quali iniziative mettete in campo per contrastarlo? R.
– Lo riscontriamo certamente anche qui sia pure, forse, a “scoppio ritardato”. Noi
mettiamo in atto la pastorale ordinaria, niente di straordinario: cerchiamo di coltivare
le nostre singole diocesi con tutto lo “sprint” pastorale di cui siamo capaci, cercando
soprattutto di mettere a fuoco i problemi principali. Soprattutto i problemi legati
al lavoro, sia per la carenza di occupazione, sia per il troppo alto numero di infortuni
sul lavoro. Questo ci fa soffrire non poco. Abbiamo poi anche il problema dell’immigrazione.
E abbiamo anche qualche problema di droga; desideriamo poter immettere nel tessuto
sociale delle nostre singole regioni, sia l’Abruzzo sia il Molise, quel fermento evangelico
di vita cristiana autentica che possa dare sintomi di una rinascita. D. – La vostra
è una regione che guarda ad est, dunque portata in qualche modo, naturalmente, al
dialogo… R. – Sì, noi siamo aperti all’est tant’è che spero si superino alcune
difficoltà per quanto riguarda i famosi Giochi del Mediterraneo che dovrebbero essere
ospitati qui a Pescara. Vorremmo approfittare anche di questa occasione per lanciare
veramente ponti verso l’altra sponda del mare. Non vogliamo però solo esportare, vogliamo
anche importare e siamo convinti che da quei Paesi, anche se sono in una situazione
di sottosviluppo materiale, ci possa venire invece qualche aiuto dal punto di vista
spirituale. Anche l’aspetto ecumenico ci interessa in questo senso perché tra l’ortodossia
e il cattolicesimo si possono instaurare anche rapporti più intensi e più frequenti.
D. – Trovate difficoltà nell’applicare la vostra pastorale familiare? Insomma,
le famiglie continuano ad essere praticanti? R. – Come percentuale della frequenza
delle chiese, noi siamo tra le regioni migliori d’Italia, forse anche la migliore
in assoluto. Abbiamo un’alta percentuale di frequenza domenicale. Per quanto riguarda
invece il problema delle famiglie, dobbiamo anche noi accusare il colpo e ci sono
tante, tantissime famiglie che si stanno disgregando con troppa facilità. Quasi certamente,
dipende dalla insufficiente preparazione alla celebrazione del matrimonio e poi forse
c’è anche l’influsso delle famiglie di provenienza che sono probabilmente le famiglie
dei “tempi della contestazione” che non hanno saputo creare nei loro figli un plafond
direi, di formazione cristiana autentica.