Papst Benedikt hat
die Reihe seiner Mittwochskatechesen über den Völkerapostel Paulus abgeschlossen.
Auf Deutsch sagte er:
"Liebe Brüder und Schwestern! Ich möchte die Katechesen
über Paulus heute mit einem Blick auf die Beziehung des Apostels zur Kirche abschließen.
In der Regel gelangen die Menschen durch Vermittlung der Kirche zu Christus. Paulus
ist schon vor seinem Erlebnis auf dem Weg nach Damaskus dem Herrn begegnet – wenn
auch als Verfolger der Freunde Jesu. Der direkte Anruf des Auferstandenen bewirkte
seine Bekehrung zu Christus und zugleich zur Kirche. Die Kirche war dann stets in
seinem Denken und Handeln gegenwärtig – auch durch die Gründung von Gemeinden an zahlreichen
Orten. In seinen Briefen legt uns Paulus seine Lehre über die Kirche vor. Auf originäre
Weise beschreibt er sie als „Leib Christi“. Alle Getauften sind Glieder des einen
Christus. Damit kommt nicht nur die Zugehörigkeit der Glaubenden zu Christus zum Ausdruck,
sondern auch eine Art „Ineinssetzung“ der Kirche mit Christus. Ein anderes Bild bezeichnet
die Kirche als „Braut Christi“. Sie ist ganz vom Herrn geliebt, und wir als Teil der
Kirche schulden Christus unsere Treue. So ist die Kirche zutiefst auch Gemeinschaft,
in der die Christusbeziehung das tragende Element ist. Mit Freude heiße
ich alle deutschsprachigen Pilger und Besucher willkommen. Durch die Taufe sind wir
Glieder des Leibes Christi, der Kirche. Der hohen Berufung, Christus zu den Menschen
zu bringen, wollen wir auch in unserem täglichen Leben gerecht werden. Tragt dazu
bei, daß das Zeugnis der Kirche vor der Welt klar leuchten kann und dann auch wirklich
Frucht bringt in Glaube, Hoffnung und Liebe. Dazu begleite ich euch alle mit meinem
Segen." (rv 221106 mc)
Hier der vollständige Text der italienischen
Katechese: Cari fratelli e sorelle, oggi completiamo i nostri incontri con
l'apostolo Paolo, dedicandogli un'ultima riflessione. Non possiamo infatti congedarci
da lui, senza prendere in considerazione una delle componenti decisive della sua attività
e uno dei temi più importanti del suo pensiero: la realtà della Chiesa. Dobbiamo anzitutto
constatare che il suo primo contatto con la persona di Gesù avvenne attraverso la
testimonianza della comunità cristiana di Gerusalemme. Fu un contatto burrascoso.
Conosciuto il nuovo gruppo di credenti, egli ne divenne immediatamente un fiero persecutore.
Lo riconosce lui stesso per ben tre volte in altrettante Lettere: «Ho perseguitato
la Chiesa di Dio» scrive (1 Cor 15,9; Gal 1,13; Fil 3,6), quasi
a presentare questo suo comportamento come il peggiore crimine.
La storia ci
dimostra che a Gesù si giunge normalmente passando attraverso la Chiesa! In un certo
senso, questo si avverò, dicevamo, anche per Paolo, il quale incontrò la Chiesa prima
di incontrare Gesù. Questo contatto, però, nel suo caso, fu controproducente, non
provocò l’adesione, ma una violenta repulsione. Per Paolo, l’adesione alla Chiesa
fu propiziata da un diretto intervento di Cristo, il quale, rivelandoglisi sulla via
di Damasco, si immedesimò con la Chiesa e gli fece capire che perseguitare la Chiesa
era perseguitare Lui, il Signore. Infatti, il Risorto disse a Paolo, il persecutore
della Chiesa: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? (At 9,4). Perseguitando
la Chiesa, perseguitava Cristo. Paolo, allora, si convertì, nel contempo, a Cristo
e alla Chiesa. Di qui si comprende perché la Chiesa sia stata poi così presente nei
pensieri, nel cuore e nell’attività di Paolo. In primo luogo, lo fu in quanto egli
letteralmente fondò parecchie Chiese nelle varie città in cui si recò come evangelizzatore.
Quando parla della sua «sollecitudine per tutte le Chiese» (2 Cor 11,28), egli
pensa alle varie comunità cristiane suscitate di volta in volta nella Galazia, nella
Ionia, nella Macedonia e nell'Acaia. Alcune di quelle Chiese gli diedero anche preoccupazioni
e dispiaceri, come avvenne per esempio nelle Chiese della Galazia, che egli vide “passare
a un altro vangelo” (Gal 1,6), cosa a cui si oppose con vivace determinazione.
Eppure egli si sentiva legato alle Comunità da lui fondate in maniera non fredda e
burocratica, ma intensa e appassionata. Così, ad esempio, definisce i Filippesi «fratelli
miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona» (4,1). Altre volte paragona
le varie Comunità ad una lettera di raccomandazione unica nel suo genere: «La nostra
lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli
uomini» (2 Cor 3,2). Altre volte ancora dimostra nei loro confronti un vero
e proprio sentimento non solo di paternità ma addirittura di maternità, come quando
si rivolge ai suoi destinatari interpellandoli come «figlioli miei, che io di nuovo
partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi» (Gal 4,19; cfr
anche l Cor 4,14-15; 1 Ts 2,7-8).
Nelle sue Lettere Paolo
ci illustra anche la sua dottrina sulla Chiesa in quanto tale. Così è ben nota la
sua originale definizione della Chiesa come «corpo di Cristo», che non troviamo in
altri autori cristiani del I° secolo (cfr 1 Cor 12,27; Ef 4,12; 5,30;
Col 1,24). La radice più profonda di questa sorprendente designazione della
Chiesa la troviamo nel Sacramento del corpo di Cristo. Dice san Paolo: “Poiché c’è
un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo” (1 Cor 10,17). Nella
stessa Eucaristia Cristo ci dà il suo Corpo e ci fa suo Corpo. In questo senso san
Paolo dice ai Galati: “Tutti voi siete uno in Cristo” (Gal 3,28). Con tutto
ciò Paolo ci fa capire che esiste non solo un'appartenenza della Chiesa a Cristo,
ma anche una certa forma di equiparazione e di immedesimazione della Chiesa con Cristo
stesso. E’ da qui, dunque, che deriva la grandezza e la nobiltà della Chiesa, cioè
di tutti noi che ne facciamo parte: dall'essere noi membra di Cristo, quasi una estensione
della sua personale presenza nel mondo. E da qui segue, naturalmente, il nostro dovere
di vivere realmente in conformità con Cristo. Da qui derivano anche le esortazioni
di Paolo a proposito dei vari carismi che animano e strutturano la comunità cristiana.
Essi sono tutti riconducibili ad una sorgente unica, che è lo Spirito del Padre e
del Figlio, sapendo bene che nella Chiesa non c’è nessuno che ne sia sprovvisto, poiché,
come scrive l'Apostolo, «a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito
per l'utilità» (1 Cor 12,7). Importante, però, è che tutti i carismi cooperino
insieme per l'edificazione della comunità e non diventino invece motivo di lacerazione.
A questo proposito, Paolo si chiede retoricamente: «E' forse diviso il Cristo?» (1
Cor 1,13). Egli sa bene e ci insegna che è necessario «conservare l'unità dello
spirito per mezzo del vincolo della pace: un solo corpo, un solo spirito, come una
sola è la speranza alla quale siete stati chiamati» (Ef 4,3-4).
Ovviamente,
sottolineare l'esigenza dell'unità non significa sostenere che si debba uniformare
o appiattire la vita ecclesiale secondo un unico modo di operare. Altrove Paolo insegna
a «non spegnere lo Spirito» (1 Ts 5,19), cioè a fare generosamente spazio al
dinamismo imprevedibile delle manifestazioni carismatiche dello Spirito, il quale
è fonte di energia e di vitalità sempre nuova. Ma se c'è un criterio a cui Paolo tiene
molto è la mutua edificazione: “Tutto si faccia per l’edificazione” (1 Cor
14,26). Tutto deve concorrere a costruire ordinatamente il tessuto ecclesiale, non
solo senza ristagni, ma anche senza fughe e senza strappi. C'è poi anche una Lettera
paolina che giunge a presentare la Chiesa come sposa di Cristo (cfr Ef 5,21-33).
Con ciò si riprende un’antica metafora profetica, che faceva del popolo d'Israele
la sposa del Dio dell'alleanza (cfr Os 2,4.21; Is 54,5-8): questo per
dire quanto intimi siano i rapporti tra Cristo e la sua Chiesa, sia nel senso che
essa è oggetto del più tenero amore da parte del suo Signore, sia anche nel senso
che l'amore dev'essere scambievole e che quindi noi pure, in quanto membra della Chiesa,
dobbiamo dimostrare appassionata fedeltà nei confronti di Lui.
In definitiva,
dunque, è in gioco un rapporto di comunione: quello per così dire verticale
tra Gesù Cristo e tutti noi, ma anche quello orizzontale tra tutti coloro che
si distinguono nel mondo per il fatto di «invocare il nome del Signore nostro Gesù
Cristo» (1 Cor 1,2). Questa è la nostra definizione: noi facciamo parte di
quelli che invocano il nome del Signore Gesù Cristo. Si capisce bene perciò quanto
sia auspicabile che si realizzi ciò che Paolo stesso si augura scrivendo ai Corinzi:
«Se invece tutti profetassero e sopraggiungesse qualche non credente o un non iniziato,
verrebbe convinto del suo errore da tutti, giudicato da tutti; sarebbero manifestati
i segreti del suo cuore, e così prostrandosi a terra adorerebbe Dio, proclamando che
veramente Dio è fra voi» (1 Cor 14,24-25). Così dovrebbero essere i nostri
incontri liturgici. Un non cristiano che entra in una nostra assemblea alla fine dovrebbe
poter dire: “Veramente Dio è con voi”. Preghiamo il Signore di essere così, in comunione
con Cristo e in comunione tra noi.