2006-11-16 17:28:14

Il Papa incontra i Capi Dicastero della Curia Romana: riaffermato il valore del celibato sacerdotale. Il commento di mons. Bruno Forte


(17 novembre 2006 - RV) Il Papa ha presieduto ieri nel Palazzo Apostolico, una delle periodiche riunioni dei Capi Dicastero della Curia Romana, per una riflessione comune. “I partecipanti alla riunione – spiega una nota della Sala Stampa Vaticana - hanno avuto una informazione accurata sulle richieste di dispensa dall’obbligo del celibato presentate negli ultimi anni e sulla possibilità di riammissione all’esercizio del ministero di sacerdoti che al presente si trovano nelle condizioni previste dalla Chiesa”. E’ stato poi “riaffermato – continua la nota - il valore della scelta del celibato sacerdotale secondo la tradizione cattolica ed è stata ribadita l’esigenza di una solida formazione umana e cristiana, sia per i seminaristi che per i sacerdoti già ordinati”. In un comunicato diffuso martedì scorso, la Sala Stampa vaticana precisava che l’incontro era stato convocato dal Pontefice per esaminare la vicenda di mons. Emmanuel Milingo, arcivescovo emerito di Lusaka, che ha promosso una nuova Associazione di sacerdoti coniugati ed è incorso nella scomunica latae sententiae, cioè automatica, per aver conferito, il 24 settembre scorso a Washington, l’ordinazione episcopale a quattro sacerdoti sposati senza mandato pontificio. Ma sul valore della scelta del celibato sacerdotale ascoltiamo la riflessione del vescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte, al microfono di Tiziana Campisi:


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R. – Il celibato viene concepito in una triplice direzione fondamentale. La prima, è quella cristologica: Gesù non è stato sposato per consacrarsi totalmente alla causa del Regno di Dio. Il presbitero si sente chiamato ad essere – come lo è teologicamente – una ripresentazione del Cristo-Capo, e lo ripresenta anche in questa sequela di Gesù, nella scelta di una incondizionata dedizione di tutto il suo essere alla causa del Regno di Dio. Un secondo significato è quello ecclesiologico, e cioè l’essere celibe consente quella dedizione totale alla Chiesa-sposa che fa del presbitero il padre nella comunità, analogamente a come nella Chiesa antica la Chiesa tutta è considerata la Ecclesia mater. Dunque c’è una sorta di sponsalità tra colui che è la ripresentazione del Cristo-Capo e la comunità. E finalmente, una terza indicazione è quella escatologica: il celibato è un’anticipazione della condizione del Regno in cui non ci sarà né uomo né donna ma tutti saremo uno in Cristo Gesù. E, in un certo senso, vuol dire essere testimoni del futuro di Dio e quindi testimoni di speranza. Specialmente in contesti come quelli del mondo nord-occidentale, dove la diffusa situazione di benessere induce piuttosto a situazioni di comodità, il celibato è anche un segno escatologico per il motivo di essere una testimonianza vivente della fede nell’assoluto primato di Dio e del suo Regno su ogni altra cosa. Questi mi sembrano i valori preziosi che il celibato contiene e come tale, anche da parte di chi ha messo in discussione l’opportunità del celibato sacerdotale per questioni più o meno pratiche, pastorali, esigenze o bisogni delle Chiesa, non si è messo mai in discussione il valore del celibato. Io credo che questo sia molto importante perché solo se se ne capisce fino in fondo il valore e si cerca di realizzarlo e di educare ad esso, allora il celibato conserva quella carica profetica che lo rende nella Chiesa un annuncio del Regno di Dio e della sequela di Gesù.


D. – Nella riunione è stata anche ribadita l’esigenza di una solida formazione umana e cristiana, sia per i seminaristi che per i sacerdoti già ordinati. Lei cosa può dirci in proposito?


R. – Ma certamente, in un mondo come quello in cui noi viviamo, dove sul piano della sessualità e dell’affettività ci sono tante, tante fragilità, è necessario che la persona che risponde ad una chiamata alla vocazione celibataria lo faccia con una grande maturità di vita. Ecco perché è necessario darne in profondità le motivazione ma è necessario soprattutto assicurarsi che chi si sente chiamato a questa consacrazione, le motivazioni le abbia interiorizzate sul piano non solo spirituale ma anche – direi – umano e psicologico.
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