2006-11-12 12:16:06

Il Papa all'Angelus: di fronte al dramma della fame nel mondo è necessario che ognuno di noi cambi stile di vita, ispirandosi alla giustizia e donando non solo il superfluo


(12 novembre 2006 - RV) Di fronte al dramma della fame che si fa sempre più grave bisogna cambiare il modello di sviluppo globale, ma è necessario anche che ognuno di noi adotti un nuovo stile di vita e di consumo, improntato alla solidarietà e alla giustizia, dando non solo il superfluo. E’ questo in sintesi quanto ha detto il Papa oggi all’Angelus in Piazza San Pietro ricordando che nella preghiera che ci ha insegnato Gesù il pane è “nostro”, cioè di tutti, e non soltanto “mio”. Numerosi i pellegrini accorsi per l’Angelus nonostante la pioggia battente. Il servizio di Sergio Centofanti. RealAudioMP3

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Benedetto XVI ha preso spunto dall’odierna Giornata del Ringraziamento che si celebra in Italia sul tema: “La terra: un dono per l’intera famiglia umana”. E rileva come nelle famiglie cristiane si insegni “ai piccoli a ringraziare sempre il Signore, prima di prendere il cibo, con una breve preghiera e il segno della croce. Questa consuetudine – ha esortato - va conservata o riscoperta, perché educa a non dare per scontato il pane quotidiano, ma a riconoscere in esso un dono della Provvidenza”:

“Dovremmo abituarci a benedire il Creatore per ogni cosa: per l’ aria e per l’ acqua, preziosi elementi che sono a fondamento della vita sul nostro pianeta; come pure per gli alimenti che attraverso la fecondità della terra Dio ci offre per il nostro sostentamento. Ai suoi discepoli Gesù ha insegnato a pregare chiedendo al Padre celeste non il ‘mio’, ma il ‘nostro’ pane quotidiano. Ha voluto così che ogni uomo si senta corresponsabile dei suoi fratelli, perché a nessuno manchi il necessario per vivere. I prodotti della terra sono un dono destinato da Dio per l’intera famiglia umana”.

Il Papa parla del dramma della fame che “non accenna a risolversi, anzi, per certi versi si va aggravando”, nonostante i vertici mondiali organizzati sull’argomento. L’ ultimo Rapporto della FAO – sottolinea – “ha confermato quanto la Chiesa sa molto bene dall’esperienza diretta delle comunità e dei missionari: che cioè oltre 800 milioni di persone vivono in stato di sottoalimentazione e troppe persone, specialmente bambini, muoiono di fame”. Cosa fare allora?
 
“Certamente occorre eliminare le cause strutturali legate al sistema di governo dell’ economia mondiale, che destina le maggior parte delle risorse del pianeta a una minoranza della popolazione. Tale ingiustizia è stata stigmatizzata in diverse occasioni dai venerati miei Predecessori, i Servi di Dio Paolo VI e Giovanni Paolo II. Per incidere su larga scala è necessario “convertire” il modello di sviluppo globale; lo richiedono ormai non solo lo scandalo della fame, ma anche le emergenze ambientali ed energetiche. Tuttavia, ogni persona e ogni famiglia può e deve fare qualcosa per alleviare la fame nel mondo adottando uno stile di vita e di consumo compatibile con la salvaguardia del creato e con criteri di giustizia verso chi coltiva la terra in ogni Paese”.

Dunque, occorre impegnarsi “concretamente per sconfiggere il flagello della fame”
promuovendo “in ogni parte del globo la giustizia e la solidarietà”. E dopo la recita dell’Angelus il Papa, nei saluti nelle varie lingue, ha fatto riferimento al Vangelo odierno in cui una povera vedova getta nel tesoro del Tempio tutto quanto aveva per vivere:

“Puissiez-vous donner de votre temps…
Possiate donare il vostro tempo, la vostra disponibilità, voi stessi, e non soltanto il vostro superfluo, perché il Regno di Dio cresca in mezzo agli uomini”.

Il Papa ha poi salutato i Cooperatori Salesiani convenuti a Roma da varie nazioni per il Congresso Mondiale, in occasione del 150° anniversario della morte della serva di Dio Margherita Occhiena, madre di san Giovanni Bosco. “Dal Cielo – ha detto il Papa - ‘Mamma Margherita’ protegga sempre voi tutti, cari amici, e la grande Famiglia salesiana”.

Rivolgendosi ai fedeli polacchi, ricordando che ieri hanno celebrato l’anniversario del riacquisto della libertà del proprio Paese, si è detto “lieto del dono della libertà, per il quale tanti hanno fatto sacrifici, e perfino hanno dato la vita. Possa la Polonia – ha affermato - svilupparsi per il bene di tutti i suoi cittadini, rimanendo fedeli al Vangelo e alla tradizione dei padri”.

Infine, nel salutare la rappresentanza di direttori e studenti dei Collegi universitari di ispirazione cristiana, che in questi giorni hanno riflettuto sull’esperienza universitaria, risorsa e sfida per la vita affettiva dei giovani, ha auspicato che possano “testimoniare in ogni università l’amore di Cristo che rende forte e libero l’amore umano”.
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Nel messaggio diffuso per la Giornata nazionale del Ringraziamento, la CEI, la Conferenza episcopale italiana, sottolinea, da una parte, l’importanza della Terra come dono inesauribile della Provvidenza divina; dall’altra, la realtà di un mondo che nel Terzo Millennio non ha ancora risolto il problema della fame. Nonostante, infatti, la Terra produca cibo in abbondanza per tutti, la fame uccide 24mila persone al giorno. Il servizio di Isabella Piro.

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“Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione”: è stato il brano evangelico di Matteo a fare da leitmotiv, a Parma, alla Giornata nazionale del Ringraziamento dedicata alla Terra. Nel suo messaggio la CEI ha, infatti, ricordato le parole pronunciate da Benedetto XVI durante la Quaresima: “In nessun modo – disse il Papa – è possibile separare la risposta ai bisogni materiali e sociali degli uomini dal soddisfacimento delle profonde necessità del cuore”. Per questo, i vescovi hanno esortato tutti a guardare alle necessità degli uomini con lo sguardo di Cristo. Ma cosa significa, questo, in concreto? Lo abbiamo chiesto a mons. Paolo Tarchi, direttore dell’Ufficio CEI per i problemi sociali e il lavoro, la pace, la giustizia:

R. – Significa, anzitutto, un lavoro di conversione a livello personale e di apertura del cuore. Dovremmo, in qualche modo, superare l’abitudine alla povertà e all’indigenza e sentire dentro di noi la necessità di essere in qualche modo più corresponsabili di quello che succede nel mondo.


D. – In tempi di globalizzazione, quanto si può parlare ancora di cultura agricola?


R. – Ancora di più la filiera agroalimentare diventa una filiera sempre più di interesse, perché in qualche modo è chiamata a rispondere ai bisogni primari e dall’altra intercetta le esigenze nuove di un cittadino sempre più attento alle cose che va a consumare.


D. – Qual è, secondo la Chiesa, il modello di sviluppo da perseguire per scon-figgere la fame nel mondo?


R. – Tener conto che non possiamo vivere felici da soli, ma che c’è una respon-sabilità di solidarietà e di interdipendenza che dobbiamo programmare ed inserire nel nostro modo di pensare il presente e il futuro.


E tra le associazioni che hanno aderito a questa Giornata, c’è anche la FOCSIV, che ha presentato un documento intitolato “La Terra è vita: gli obiettivi di sviluppo del millennio e il Sud del mondo”, stilato in collaborazione con la CEI e le ACLI. Ce ne parla Sergio Marelli, direttore generale della Focsiv, la federazione delle organizzazioni cristiane di servizio internazionale volontario:

R. – Un documento che anzitutto vuole dire una cosa: un modello di agricoltura improntato oggi al commercio internazionale, all’esportazione, al favorire le grandi concentrazioni economiche delle multinazionali, schiaccia e soffoca tutti i piccoli agricoltori, addirittura fino al punto di violare nella dignità la vita e i diritti fondamentali delle persone.


D. – Cosa chiede, in particolare, la Focsiv?


R. – Un’urgente riforma agraria, per ridare la proprietà della terra e in particolare dei terreni fertili ai piccoli produttori che dal lavoro agricolo e dalla coltivazione dei campi traggono il sostentamento e il reddito fondamentale delle loro famiglie. Così come è anche necessaria la messa al bando di tutti i sussidi alle esportazioni delle eccedenze agricole che oggi da grandi Paesi produttori ed industrializzati vengono immesse sui mercati dei Paesi poveri a dei prezzi così bassi che non possono essere sopportati dalla concorrenza degli agricoltori di questi Paesi.
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