Bei strahlendem Wetter
und vor zehntausenden Pilgern hat Papst Benedikt heute seine Katechese über den Heiligen
Paulus fortgesetzt. Thema: Das neue Leben in Christus als Leitgedanke der Paulus-Briefe.
„Nur durch den Glauben an Jesus Christus werden wir gerecht, sagt uns Paulus
(vgl. Gal 2,16). Von uns aus haben wir keinen Anspruch auf die Gnade Gottes. Denn
vor dem Kreuz, dem Zeichen der selbstlosen Hingabe Christi, kann niemand selbstgerecht
sein. »Wer sich rühmen will, der rühme sich des Herrn« (1 Kor 1,31). Hinzu kommt das
zweite Moment, das »In-Christus«-Sein. Diese »mystische« Komponente der Teilhabe bedeutet
ein Sichhineinversetzen von uns in Ihn und von Ihm in uns. Beide Aspekte beinhalten
auch einen Appell: als Glaubende in einer beständigen Haltung der Demut und des Gebetes
Christus nachzufolgen wie auch aus der Gegenwart Christi in uns tiefes Vertrauen und
Freude zu schöpfen. Von Herzen grüße ich alle deutschsprachigen Gäste,
heute besonders den Bund der historischen Schützenbruderschaften. Bezeugt einander
durch gute Taten die Liebe Gottes! Das Licht der göttlichen Wahrheit geleite euch
alle Tage durch euer Leben!“ (rv 081106 mc)
Hier der italienische Text
der Katechese: Cari fratelli e sorelle, nella catechesi precedente, quindici
giorni fa, ho cercato di tracciare le linee essenziali della biografia dell’apostolo
Paolo. Abbiamo visto come l’incontro con Cristo sulla strada di Damasco abbia letteralmente
rivoluzionato la sua vita. Cristo divenne la sua ragion d’essere e il motivo profondo
di tutto il suo lavoro apostolico. Nelle sue lettere, dopo il nome di Dio, che appare
più di 500 volte, il nome che viene menzionato più spesso è quello di Cristo (380
volte). È dunque importante che ci rendiamo conto di quanto Gesù Cristo possa incidere
nella vita di un uomo e quindi anche nella nostra stessa vita. In realtà, Cristo Gesù
è l’apice della storia salvifica e quindi il vero punto discriminante anche nel dialogo
con le altre religioni.
Guardando a Paolo, potremmo formulare così l’interrogativo
di fondo: come avviene l’incontro di un essere umano con Cristo? E in che cosa consiste
il rapporto che ne deriva? La risposta data da Paolo può essere compresa in due momenti.
In primo luogo, Paolo ci aiuta a capire il valore assolutamente fondante e insostituibile
della fede. Ecco che cosa scrive nella Lettera ai Romani: «Noi riteniamo che
l'uomo viene giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge»
(3,28). E così pure nella Lettera ai Galati: «L'uomo non è giustificato dalle
opere della Legge, ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo; perciò abbiamo
creduto anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non
dalle opere della Legge, poiché dalle opere della Legge non verrà mai giustificato
nessuno» (2,16). «Essere giustificati» significa essere resi giusti, cioè essere accolti
dalla giustizia misericordiosa di Dio, ed entrare in comunione con Lui, e di conseguenza
poter stabilire un rapporto molto più autentico con tutti i nostri fratelli: e questo
sulla base di un totale perdono dei nostri peccati. Ebbene, Paolo dice con tutta chiarezza
che questa condizione di vita non dipende dalle nostre eventuali opere buone, ma da
una pura grazia di Dio: «Siamo giustificati gratuitamente per sua grazia, in virtù
della redenzione realizzata da Cristo Gesù» (Rm 3,24).
Con queste parole
san Paolo esprime il contenuto fondamentale della sua conversione, la nuova direzione
della sua vita risultante dal suo incontro col Cristo risorto. Paolo, prima della
conversione, non era stato un uomo lontano da Dio e dalla sua Legge. Al contrario,
era un osservante, con una osservanza fedele fino al fanatismo. Nella luce dell’incontro
con Cristo capì, però, che con questo aveva cercato di costruire se stesso, la sua
propria giustizia, e che con tutta questa giustizia era vissuto per se stesso. Capì
che un nuovo orientamento della sua vita era assolutamente necessario. E questo nuovo
orientamento lo troviamo espresso nelle sue parole: «Questa vita che io vivo nella
carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso
per me» (Gal 2, 20). Paolo, quindi, non vive più per sé, per la sua propria
giustizia. Vive di Cristo e con Cristo: dando se stesso, non più cercando e costruendo
se stesso. Questa è la nuova giustizia, il nuovo orientamento donatoci dal Signore,
donatoci dalla fede. Davanti alla croce del Cristo, espressione estrema della sua
autodonazione, non c’è nessuno che possa vantare se stesso, la propria giustizia fatta
da sé, per sé! Altrove Paolo, riecheggiando Geremia, esplicita questo pensiero scrivendo:
«Chi si vanta si vanti nel Signore» (1 Cor 1,31 = Ger 9,22s); oppure:
«Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo,
per mezzo del quale il mondo per me è stato crocifisso come io per il mondo» (Gal
6,14).
Riflettendo su che cosa voglia dire giustificazione non per le opere
ma per la fede, siamo così arrivati alla seconda componente che definisce l’identità
cristiana descritta da san Paolo nella propria vita. Identità cristiana che si compone
proprio di due elementi: questo non cercarsi da sè, ma riceversi da Cristo e donarsi
con Cristo, e così partecipare personalmente alla vicenda di Cristo stesso, fino ad
immergersi in Lui e a condividere tanto la sua morte quanto la sua vita. È ciò che
Paolo scrive nella Lettera ai Romani: «Siamo stati battezzati nella sua morte...
siamo stati sepolti con lui… siamo stati completamente uniti a lui... Così anche voi
consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio in Cristo Gesù» (Rm 6,3.4.5.11).
Proprio quest'ultima espressione è sintomatica: per Paolo, infatti, non basta dire
che i cristiani sono dei battezzati o dei credenti; per lui è altrettanto importante
dire che essi sono «in Cristo Gesù» (cfr anche Rm 8,1.2.39; 12,5; 16,3.7.10;
1 Cor 1,2.3, ecc.). Altre volte egli inverte i termini e scrive che «Cristo
è in noi/voi» (Rm 8,10; 2 Cor 13,5) o «in me» (Gal 2,20). Questa
mutua compenetrazione tra Cristo e il cristiano, caratteristica dell’insegnamento
di Paolo, completa il suo discorso sulla fede. La fede, infatti, pur unendoci intimamente
a Cristo, sottolinea la distinzione tra noi e Lui. Ma, secondo Paolo, la vita del
cristiano ha pure una componente che potremmo dire ‘mistica’, in quanto comporta un’immedesimazione
di noi con Cristo e di Cristo con noi. In questo senso, l’Apostolo giunge persino
a qualificare le nostre sofferenze come le «sofferenze di Cristo in noi» (2 Cor
1,5), così che noi «portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù,
perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo» (2 Cor 4,10).
Tutto
questo dobbiamo calarlo nella nostra vita quotidiana seguendo l’esempio di Paolo che
è vissuto sempre con questo grande respiro spirituale. Da una parte, la fede deve
mantenerci in un costante atteggiamento di umiltà di fronte a Dio, anzi di adorazione
e di lode nei suoi confronti. Infatti, ciò che noi siamo in quanto cristiani lo dobbiamo
soltanto a Lui e alla sua grazia. Poiché niente e nessuno può prendere il suo posto,
bisogna dunque che a nient'altro e a nessun altro noi tributiamo l'omaggio che tributiamo
a Lui. Nessun idolo deve contaminare il nostro universo spirituale, altrimenti invece
di godere della libertà acquisita ricadremmo in una forma di umiliante schiavitù.
Dall'altra parte, la nostra radicale appartenenza a Cristo e il fatto che «siamo in
Lui» deve infonderci un atteggiamento di totale fiducia e di immensa gioia. In definitiva,
infatti, dobbiamo esclamare con san Paolo: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?»
(Rm 8,31). E la risposta è che niente e nessuno «potrà mai separarci dall’amore
di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,39). La nostra vita cristiana,
dunque, poggia sulla roccia più stabile e sicura che si possa immaginare. E da essa
traiamo tutta la nostra energia, come scrive appunto l'Apostolo: «Tutto posso in colui
che mi dà la forza» (Fi1 4,13).
Affrontiamo perciò la nostra esistenza,
con le sue gioie e i suoi dolori, sorretti da questi grandi sentimenti che Paolo ci
offre. Facendone l'esperienza potremo capire quanto sia vero ciò che lo stesso Apostolo
scrive: «So a chi ho creduto, e sono convinto che egli è capace di conservare il mio
deposito fino a quel giorno», cioè fino al giorno definitivo (2 Tm 1,12) del
nostro incontro con Cristo Giudice, Salvatore del mondo e nostro.