2006-10-21 16:17:51

Giornata missionaria mondiale: con noi padre Bossetti, missionario in una baraccopoli peruviana


(22 ottobre 2006 - RV) Questa domenica la Chiesa celebra l’80.ma Giornata Missionaria Mondiale, sul tema “La carità, anima della missione”. Nel suo Messaggio per l’occasione, Benedetto XVI indica nell’amore che Dio nutre per ogni persona, il “cuore dell’esperienza e dell’annuncio del Vangelo”; ecco perché – spiega il Papa – “se la missione non è orientata dalla carità, se non scaturisce da un profondo atto di amore divino, rischia di ridursi a mera attività filantropica e sociale”. “Essere missionari – aggiunge - è chinarsi, come il buon Samaritano, sulle necessità di tutti, specialmente dei più poveri e bisognosi, perchè chi ama con il cuore di Cristo non cerca il proprio interesse, ma unicamente la gloria del Padre e il bene del prossimo”. Il Pontefice ribadisce infine che l’annuncio di Gesù, morto e risorto per la salvezza dell’umanità, “costituisce per tutti i credenti un impegno irrinunciabile e permanente”. Ma quali sono i bisogni più urgenti che s’incontrano nella missione? Giovanni Peduto lo ha chiesto a padre Antonio Bossetti, missionario della Comunità Missionaria di Villaregia, che ha trascorso 7 anni a Lima, in Perù, in mezzo a un’immensa baraccopoli:


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R. – Normalmente il bisogno più forte che le persone manifestano è quello di conoscere un Dio vivo, presente in mezzo a loro. Spesso incontriamo uomini e donne affamate di verità, di valori autentici, alla ricerca di un senso profondo per la loro vita. Il più delle volte queste stesse persone sono private dei diritti fondamentali e segnate da una forte povertà materiale: mancanza di casa, di cibo, di istruzione, di lavoro, di un’adeguata assistenza sanitaria… Nella nostra missione alla periferia di Lima, ad esempio, stiamo lavorando per aiutare i giovani ad avere una migliore formazione culturale e professionale che consenta loro di inserirsi più facilmente nel mondo del lavoro. È solo un accenno ad una situazione ben più ampia ed articolata…


D. – Come sensibilizzare oggi i fedeli alla missionarietà?


R. – Credo che oggi sia fondamentale la testimonianza di uomini e donne di buona volontà che, a partire da un’esperienza di incontro con Dio, maturino scelte di condivisione, di apertura, di solidarietà, lasciandosi interpellare dai bisogni dei più poveri. Ritengo che sia importante, poi, promuovere delle vere e proprie attività di animazione e di formazione missionaria, per stimolare e, spesso, risvegliare quella vocazione missionaria propria di ciascun cristiano. Come Comunità, in Italia ad esempio, svolgiamo varie attività in questa direzione: nelle parrocchie, ad esempio, proponiamo le settimane di animazione comunitaria e missionaria; nelle scuole offriamo interventi di educazione allo sviluppo; nei nostri centri organizziamo incontri mensili per giovani, coppie e adulti, nonché fine settimana di evangelizzazione…


D. – Padre Antonio, qual è stata la genesi del vostro spirito missionario?


R. – La nostra Comunità è nata 25 anni fa, il 6 novembre 1980, per essere una Comunità missionaria. Un’espressione a noi molto cara, fin dagli inizi, è questa: “Essere Comunità per la missione, fare missione essendo Comunità”. Sin dai primi tempi, i nostri fondatori padre Luigi Prandin e Maria Luigia Corona hanno intuito che l’esperienza comunitaria è la vita della Chiesa. L’impegno di vivere tra noi una intensa vita di comunione vuole esser il nostro primo annuncio, la nostra testimonianza dell’amore di Dio a quanti ancora non hanno ricevuto la buona notizia del Vangelo. La parola del Testamento di Gesù: “Che tutti siano uno, perché il mondo creda” vorremmo che fosse l’anima del nostro spirito missionario.


D. – In che maniera e dove siete concretamente impegnati nelle missioni?


R. – Attualmente abbiamo 6 missioni: 2 in Brasile, una in Perù, una in Messico, una in Porto Rico e un’altra in Costa D’Avorio (Africa). Normalmente operiamo nelle popolose periferie delle grandi città del Sud, dove si concentra la popolazione più povera ed emarginata. Qui, accanto ad un lavoro di evangelizzazione, che è il nostro specifico, ci adoperiamo per far sorgere strutture di promozione umana, anche attraverso progetti di cooperazione internazionale. In questi anni sono nati centri medici, centri culturali e di formazione professionale, centri di accoglienza per bambini carenti, ed altre strutture. Vorremmo sempre mettere tutte le nostre forze per amare “tutto l’uomo e tutti gli uomini”.


D. – Un fatto particolare legato alla sua esperienza personale durante il lavoro svolto in missione …


R. – Un giorno sono andato a celebrare la Messa in una missione vicino alla nostra. In chiesa vi saranno state circa 800 persone. Ho celebrato con calma l’Eucaristia, ho spiegato la Parola. Al momento della comunione la gente è venuta per ricevere la comunione. Ad un certo punto mi sono visto davanti un ragazzino sui 10-11 anni: era scalzo e mal vestito. Mi sono chiesto: “Avrà già fatto la prima comunione?". Noi missionari di solito abbiamo al nostro fianco i catechisti che conoscono tutti i bambini che devono ancora ricevere la prima comunione e se qualcuno si intrufola lo tirano fuori dalla fila. Siccome nessuno mi si è avvicinato, ho pensato: “Non posso negargli l’Eucaristia, solo perché è mal vestito. Gesù gli vuole certamente un bene immenso, perché è povero”. E gli ho dato la comunione. Mi aspettavo che andasse al suo posto. Invece è rimasto lì davanti a me. Allora mi sono chinato su di lui e gli ho detto: “Adesso vai al tuo posto e parli con Gesù che hai ricevuto nel tuo cuore”. E lui, alzando gli occhi pieni di tristezza mi ha detto due brevi parole: “Me das tan poco? – Me ne dai così poco?”. A quel punto ho capito che non aveva fatto la prima comunione, ma semplicemente aveva fame.
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