Giornata missionaria mondiale: con noi padre Bossetti, missionario in una baraccopoli
peruviana
(22 ottobre 2006 - RV) Questa domenica la Chiesa celebra l’80.ma Giornata Missionaria
Mondiale, sul tema “La carità, anima della missione”. Nel suo Messaggio per l’occasione,
Benedetto XVI indica nell’amore che Dio nutre per ogni persona, il “cuore dell’esperienza
e dell’annuncio del Vangelo”; ecco perché – spiega il Papa – “se la missione non è
orientata dalla carità, se non scaturisce da un profondo atto di amore divino, rischia
di ridursi a mera attività filantropica e sociale”. “Essere missionari – aggiunge
- è chinarsi, come il buon Samaritano, sulle necessità di tutti, specialmente dei
più poveri e bisognosi, perchè chi ama con il cuore di Cristo non cerca il proprio
interesse, ma unicamente la gloria del Padre e il bene del prossimo”. Il Pontefice
ribadisce infine che l’annuncio di Gesù, morto e risorto per la salvezza dell’umanità,
“costituisce per tutti i credenti un impegno irrinunciabile e permanente”. Ma quali
sono i bisogni più urgenti che s’incontrano nella missione? Giovanni Peduto lo ha
chiesto a padre Antonio Bossetti, missionario della Comunità Missionaria di Villaregia,
che ha trascorso 7 anni a Lima, in Perù, in mezzo a un’immensa baraccopoli:
********** R.
– Normalmente il bisogno più forte che le persone manifestano è quello di conoscere
un Dio vivo, presente in mezzo a loro. Spesso incontriamo uomini e donne affamate
di verità, di valori autentici, alla ricerca di un senso profondo per la loro vita.
Il più delle volte queste stesse persone sono private dei diritti fondamentali e segnate
da una forte povertà materiale: mancanza di casa, di cibo, di istruzione, di lavoro,
di un’adeguata assistenza sanitaria… Nella nostra missione alla periferia di Lima,
ad esempio, stiamo lavorando per aiutare i giovani ad avere una migliore formazione
culturale e professionale che consenta loro di inserirsi più facilmente nel mondo
del lavoro. È solo un accenno ad una situazione ben più ampia ed articolata…
D.
– Come sensibilizzare oggi i fedeli alla missionarietà?
R. – Credo che
oggi sia fondamentale la testimonianza di uomini e donne di buona volontà che, a partire
da un’esperienza di incontro con Dio, maturino scelte di condivisione, di apertura,
di solidarietà, lasciandosi interpellare dai bisogni dei più poveri. Ritengo che sia
importante, poi, promuovere delle vere e proprie attività di animazione e di formazione
missionaria, per stimolare e, spesso, risvegliare quella vocazione missionaria propria
di ciascun cristiano. Come Comunità, in Italia ad esempio, svolgiamo varie attività
in questa direzione: nelle parrocchie, ad esempio, proponiamo le settimane di animazione
comunitaria e missionaria; nelle scuole offriamo interventi di educazione allo sviluppo;
nei nostri centri organizziamo incontri mensili per giovani, coppie e adulti, nonché
fine settimana di evangelizzazione…
D. – Padre Antonio, qual è stata la
genesi del vostro spirito missionario?
R. – La nostra Comunità è nata 25
anni fa, il 6 novembre 1980, per essere una Comunità missionaria. Un’espressione a
noi molto cara, fin dagli inizi, è questa: “Essere Comunità per la missione, fare
missione essendo Comunità”. Sin dai primi tempi, i nostri fondatori padre Luigi Prandin
e Maria Luigia Corona hanno intuito che l’esperienza comunitaria è la vita della Chiesa.
L’impegno di vivere tra noi una intensa vita di comunione vuole esser il nostro primo
annuncio, la nostra testimonianza dell’amore di Dio a quanti ancora non hanno ricevuto
la buona notizia del Vangelo. La parola del Testamento di Gesù: “Che tutti siano uno,
perché il mondo creda” vorremmo che fosse l’anima del nostro spirito missionario.
D.
– In che maniera e dove siete concretamente impegnati nelle missioni?
R.
– Attualmente abbiamo 6 missioni: 2 in Brasile, una in Perù, una in Messico, una in
Porto Rico e un’altra in Costa D’Avorio (Africa). Normalmente operiamo nelle popolose
periferie delle grandi città del Sud, dove si concentra la popolazione più povera
ed emarginata. Qui, accanto ad un lavoro di evangelizzazione, che è il nostro specifico,
ci adoperiamo per far sorgere strutture di promozione umana, anche attraverso progetti
di cooperazione internazionale. In questi anni sono nati centri medici, centri culturali
e di formazione professionale, centri di accoglienza per bambini carenti, ed altre
strutture. Vorremmo sempre mettere tutte le nostre forze per amare “tutto l’uomo e
tutti gli uomini”.
D. – Un fatto particolare legato alla sua esperienza
personale durante il lavoro svolto in missione …
R. – Un giorno sono andato
a celebrare la Messa in una missione vicino alla nostra. In chiesa vi saranno state
circa 800 persone. Ho celebrato con calma l’Eucaristia, ho spiegato la Parola. Al
momento della comunione la gente è venuta per ricevere la comunione. Ad un certo punto
mi sono visto davanti un ragazzino sui 10-11 anni: era scalzo e mal vestito. Mi sono
chiesto: “Avrà già fatto la prima comunione?". Noi missionari di solito abbiamo al
nostro fianco i catechisti che conoscono tutti i bambini che devono ancora ricevere
la prima comunione e se qualcuno si intrufola lo tirano fuori dalla fila. Siccome
nessuno mi si è avvicinato, ho pensato: “Non posso negargli l’Eucaristia, solo perché
è mal vestito. Gesù gli vuole certamente un bene immenso, perché è povero”. E gli
ho dato la comunione. Mi aspettavo che andasse al suo posto. Invece è rimasto lì davanti
a me. Allora mi sono chinato su di lui e gli ho detto: “Adesso vai al tuo posto e
parli con Gesù che hai ricevuto nel tuo cuore”. E lui, alzando gli occhi pieni di
tristezza mi ha detto due brevi parole: “Me das tan poco? – Me ne dai così poco?”.
A quel punto ho capito che non aveva fatto la prima comunione, ma semplicemente aveva
fame. **********