2006-10-13 14:35:00

L'incontro tra Benedetto XVI e Romano Prodi: nostra intervista al presidente del Consiglio


(14 ottobre 2006 - RV) Benedetto XVI ha ricevuto venerdì scorso alle 11.00 il presidente del Consiglio italiano Romano Prodi, accompagnato dalla moglie Flavia e da un seguito. Il premier ha poi incontrato il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. Il Papa ha accolto il premier sulla soglia della sua Biblioteca privata con un grande sorriso: quindi lo ha fatto accomodare alla scrivania dove è iniziato il colloquio privato che è durato poco più di trenta minuti. C’è stata poi la cerimonia dello scambio dei doni: il presidente del Consiglio ha donato al Papa un prezioso calice d'argento smaltato, con copertura dorata, di epoca fine '800. Il Papa ha offerto alla delegazione italiana medaglie del Pontificato e rosari. “Durante i cordiali colloqui – riferisce un comunicato della Sala Stampa vaticana - sono stati passati in rassegna temi attinenti alle relazioni bilaterali tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana, con particolare riferimento agli ambiti della bioetica, della difesa e promozione della vita e della famiglia, della solidarietà, del dialogo tra le religioni e le culture e dell’educazione della gioventù. Non è mancato, infine, un esame dei temi di politica internazionale, soprattutto in relazione alla situazione in Medio Oriente e all’impegno italiano in Libano, come pure all’importanza dei valori cristiani nel processo di integrazione europea”. Infine – afferma la Sala Stampa vaticana - “è stata ribadita la volontà di una stretta collaborazione tra le Parti, per il progresso della Nazione italiana e per il bene della comunità internazionale”. Ma come è andato questo primo incontro tra il presidente del Consiglio Prodi e Benedetto XVI? Luca Collodi lo ha chiesto allo stesso Romano Prodi: RealAudioMP3


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R. – Dal punto di vista umano è stato molto facile, molto più diretto, molto più immediato di quanto non avessi potuto immaginare. Nel senso che c’è sempre una solennità nei colloqui con il Santo Padre, mentre invece è sceso immediatamente in un linguaggio diretto di scambio di esperienza. Abbiamo cominciato, affrontando i problemi della politica estera: il Libano, con i grandi drammi, le sofferenze, della Palestina, il ruolo dell’Unione Europea. Ma tutto è stato immediato. Non c’era proprio agenda e mi ha colpito che – proprio per suo desiderio – non ci fosse un colloquio con discorso ufficiale. Un incontro senza discorso ufficiale, un colloquio immediato…

D. – Franco…

R. – Franco. Per me è stata una grande esperienza.

D. – Presidente, lei – lo abbiamo già ricordato – ha incontrato il Papa per la prima volta come premier: c’è un nuovo premier per la Repubblica Italiana, un nuovo Papa e un nuovo Segretario di Stato. Nei colloqui che avete avuto si è parlato dei rapporti tra Italia e Santa Sede. C’è qualche novità, qualcosa che l’ha colpita in positivo? I rapporti – lo vogliamo sottolineare - sono ottimi.

R. – Senta, la novità in positivo è che non ci sono problemi. Di solito questi colloqui, date situazioni in passato, avevano sempre qualche aspetto drammatico, avevano qualche tensione, avevano qualcosa. Qui si è trattato di un colloquio di approfondimento, di messaggio positivo e non di questioni sul tavolo. Questo sia con il Santo Padre, ma anche con il Segretario di Stato. Non ci sono controversie. Intendiamo qualcuno potrebbe ritenere anche questo scontato, ma nella lunga storia italiana questo non è mai stato scontato. Questo vuol dire che il lungo collaudo dei rapporti fra il Vaticano e lo Stato Italiano, dei rapporti Stato-Chiesa, diremmo nel linguaggio molto semplice, ha portato a tante esperienze e a tanta capacità di ascolto.

D.- Presidente Prodi, altri temi riguardano il Magistero della Chiesa. Mi riferisco in particolare alla bioetica, alla famiglia, per citarne alcuni. Mi rivolgo a lei come cattolico laico impegnato in politica. Questi temi suscitano dialogo, direi qualche volta anche “scontro” nella società civile. Nell’arco della sua lunga esperienza politica che sintesi è riuscito delineare tra Magistero della Chiesa, valori e discussione politica?

R. – La sintesi è questa: se questi problemi della vita e della morte, dell’etica e delle radici dell’uomo vengono discussi con uno schema prefissato, allora non si arriva mai ad una soluzione seria; se vengono chiusi nella casella di un partito in cui uno agisce come se fosse sempre di fronte al proprio elettorato, allora la soluzione sarà sempre disastrosa. Se, invece, c’è il momento della discussione veramente profonda in Parlamento e nella società, allora la soluzione che si trova è coerente con i grandi principi che anche la Chiesa dà, tiene cioè conto dell’uomo, delle sue radici, dei fatti fondamentali, che guidano la nostra esistenza. Questa è la mia esperienza e quindi guai ad usare questi temi come uno strumento di battaglia politica. Devono essere un grande strumento, devono essere un’occasione di approfondimento, di apertura. Le assicuro, allora, che le posizioni politiche diventano molto più sagge. Io ho visto una tale apertura, man mano che avanzava la discussione in questi anni sui problemi – diciamo così – del potere dell’uomo o – se vuole dare un termine più generale – sulla natura dell’uomo, un tale progresso di saggezza dopo le discussioni, che non si aveva mai nelle prese di posizione precedenti.

D. – Spesso i partiti su questi temi lasciano libertà di coscienza. Lei lo ritiene uno strumento valido?

R. – Sì, è molto importante. Naturalmente è chiaro che questo significa anche una grande attenzione ai valori, una grande capacità di approfondimento dei valori, perché altrimenti diventa una discussione in libertà. Ma guai a vincolare queste cose all’interesse di breve periodo. Lei avrà sempre dei cattivi risultati.

D. – Quindi, “no” agli ordini di scuderia…

R. – “No” agli ordini di scuderia, perché alla fine si finisce sempre col condizionare un risultato di una elezione o ad un minimo di popolarità le cose che sono, invece, eterne.

D. – Presidente Prodi, facciamo un passo indietro. Lei conosceva già l’allora cardinale Ratzinger, perché – quando era presidente dell’Unione Europea – vi siete incontrati molto ed anche molto a fondo sul tema delle radici cristiane dell’Europa. Era, infatti, il momento in cui si discuteva della Costituzione Europea. Sulle radici cristiane dell’Europa che possiamo dire? La situazione è chiusa o è sospesa?

R. – E’ chiusa la situazione della Costituzione, perlomeno fino alle elezioni francesi. Nessuno più discute di Costituzione, quindi né del preambolo, su cui c’è il problema delle radici né degli altri aspetti della Costituzione. Con Il Papa abbiamo guardato molto in avanti alle prospettive dell’Europa e del suo ruolo nel mondo. Ho veramente sentito – e questo mi ha fatto un enorme piacere, come europeista convinto ed ex presidente della Commissione – questa condivisione sul grandissimo ruolo, anche etico, che l’Europa ha nel mondo e quindi sulla necessità di una pace e di una fusione di intenti fra Paesi europei. Abbiamo parlato del 50.mo anniversario del Trattato di Roma, che sarà nel marzo dell’anno prossimo, e del trovare in questo l’occasione di ribadire i principi fondamentali. Dopo si potrà parlare di ripresa del dibattito Costituzione. Ma intanto abbiamo bisogno di questo grande intervallo, che vuol dire riflettere sulla necessità di Europa. E’ importante che questo viene legato ad un momento in cui l’Europa ha ricominciato ad essere un po’ protagonista della politica internazionale. La missione in Libano, che non è vista semplicemente come un gioco politico di breve termine, ma come l’Europa che si riaffaccia nell’area più drammatica del mondo con una propria presenza. Io credo veramente che la pace in Medio Oriente non si possa avere senza gli Stati Uniti, senza l’Europa, senza la Russia, senza la Cina. Questa missione, che è stata voluta da tutti, deve essere presa come primo passo per ulteriori passi di pace, che ancora non riusciamo a fare, ma che fra qualche mese – secondo me – diventeranno maturi.

D. – Torniamo in Italia. Il Senato, nei giorni scorsi, ha espresso unanime solidarietà al Papa per i fatti seguiti al discorso a Ratisbona. Parliamo del rapporto con l’Islam, che è uno degli elementi forse più importanti di questo periodo storico che viviamo. Il Papa ricorda spesso l’importanza nel dialogo con l’Islam dell’identità cristiana e della reciprocità. Lei cosa ne pensa?

R. – Non c’è dialogo, senza che si riaffermi la propria identità. Il dialogo non vuol certamente dire rinunciare a se stessi. Io penso che quando si dialoga significa: io sono cristiano, ho la mia storia e le mie radici, ma non mi ritengo assolutamente superiore o voglio impormi a te; sono anche orgoglioso della mia storia, ma rispetto con uguale senso di apertura il tuo orgoglio. Io credo che questa sia la condizione per avere un dialogo. Naturalmente come politico, questo deve essere poi tradotto in fatti. Allora è chiaro che io non penso ad un dialogo astratto, ma penso ad una grande Banca del Mediterraneo in cui si lavori con lo stesso potere decisionale Paesi del sud e Paesi del nord; penso ad una Università in cui ci siano uguali studenti ed uguali professori del Sud e del Nord del Mediterraneo. Penso alle cose concrete che deve fare un politico. Il dialogo rende più forte la nostra identità, non la indebolisce mai. È la violenza che la indebolisce, l’identità, la violenza da un lato e dall’altro, che ci rende chiusi. Di questo abbiamo parlato piuttosto a lungo questa mattina, è sentito questo problema veramente come uno dei grandi momenti della nostra società, cioè proprio i due problemi di scenario internazionale di cui abbiamo discusso sono questo e l’irrompere dell’Asia, la grande nuova primavera della Cina , dell’India che sono uno dei grandi fatti dell’umanità. Il primo anche per le tensioni immediate, il secondo perché in pochissimi decenni ci cambierà in modo totale la faccia del mondo. Allora c’è un posizionamento da prendere e questi sono i grandi, grandi temi del futuro.

D. – Lei, presidente Prodi, pensa che la società italiana oggi sia pronta a questi grandi cambiamenti del futuro?

R. – Ma, bisogna prepararla. Proprio per questo che ho voluto fare immediatamente il viaggio in Cina e poi l’attenzione al Medio Oriente. Io penso che se una società non si apre a questi temi non ha futuro. Io non voglio un’Italia chiusa, l’Italia quando si chiude perde, quando si chiude ha paura, non ha più una propria identità. Quando si apre al confronto è un Paese che sa reagire, che sa rinnovarsi. Insomma, vorrei dire: guai al provincialismo.

D. – In Italia è molto presente il provincialismo…..

R. – Si, …. l’Italia è uno strano Paese si sente come coccolata, come protetta dalla propria identità locale ed è bellissimo questo. Però quando la metti in un ambito internazionale, l’italiano sa reagire in un modo splendido, sa posizionarsi, sa capire immediatamente la velocità di cambiamento del mondo, forse proprio perché siamo una società così poco strutturata in cui ognuno fin dalla nascita deve adattarsi a situazioni diverse, a degli schemi così prevedibili come l’hanno, per esempio, nella loro vita quotidiana i tedeschi o i nordici. Allora noi forse siamo abituati a questo e allora io ritengo che per noi l’apertura all’esterno sia lo strumento educativo più importante che noi possiamo avere.

D. – Presidente Prodi, anche in questa ottica di cambiamento della società, la Chiesa italiana da lunedì prossimo si riunirà a Verona in un grande convegno, tappa importante per la pastorale della Chiesa italiana. Lei cosa si aspetta come cattolico da Verona?

R. – Quello che mi aspetto è veramente un ruolo rinnovato forte dei laici, cioè della partecipazione alla vita e civile e anche religiosa del Paese, in modo molto forte e molto aperto. In fondo la mia risposta ha degli aspetti simili alla risposta che le ho dato alla domanda precedente. Il mondo cattolico non deve avere paura della società esterna, c’è un discorso di lievito che è sempre stato un discorso fondamentale dell’educazione cattolica, anche di quella che io ho ricevuto quando ero ragazzo, cioè la grande fiducia che si aveva nei confronti del Concilio Vaticano II, che il dialogo sarebbe stato sempre produttivo. Io credo che sia proprio così. Sento anche che c’è questo desiderio da parte laica, cioè una contaminazione virtuosa che è come il discorso che facevo prima: quando parlo di contaminazione non vuole mica dire che è un piacere rinunciare alle proprie convinzioni, vuol dire capire che nel lavorare nella società si fanno dei grandi passi in avanti. E poi un ruolo attivo dei laici cattolici è un’assunzione di responsabilità che secondo me è sempre un elemento di maturazione.

D. – Un’ultima domanda presidente Prodi. Il governo italiano è impegnato molto in Paesi del mondo dove ci sono problemi di libertà problemi di conflitti, abbiamo ricordato prima il Medio Oriente, Lei è tornato da poco da un viaggio molto importante in Cina. La domanda è questa: vorrei riflettere con lei proprio sul fronte dei diritti umani, che sono fondamentali proprio per la vita della Chiesa. A che punto siamo sul fronte dei diritti umani a partire dalla Cina e con uno sguardo al resto del mondo?

R. – Questo è un punto delicatissimo, perché è chiaro che se lo misuriamo con un ottica nostra – almeno la mia – in cui non ammetto la pena morte, figuriamoci altre violazioni della libertà, quindi non è facile fare questo tipo di discorso che riguarda un Paese come la Cina con le sue dimensioni, con i suoi problemi. Posso solo dire che sono molti anni che vado in Cina, sempre per missioni ufficiali, sempre incontrando i massimi responsabile dello Stato e l’attitudine su questi problemi nel dialogo singolo è radicalmente cambiato, è qualche anno che parlo direttamente, ne discutiamo. Quest’anno abbiamo discusso a fondo di questi problemi, perfino dei problemi della libertà religiosa e delle condizioni, delle implicazioni. Da parte cinese non c’è più la chiusura alla discussione – almeno nella linea ufficiale, poi nel Paese le cose stanno, credo molto diversamente – ma nelle linee ufficiali non c’è assolutamente il rifugio nella reticenza. Questa per me è stata una cosa straordinaria, è chiaro che il discorso che il Primo Ministro mi ha fatto è proprio questo: “anche io capisco questo problema dei diritti, dove deve andare il mondo. Ho un Paese di un miliardo e 300 milioni di persone che hanno fatto progressi, che si sono inseriti nella nuova società e c’è un miliardo di persone che vivono ancora in una condizione drammatica”. Allora questo processo con che regole lo possiamo guidare, allora è come che mi dicesse: ma lei preferisce una Cina che scoppia o una Cina che fatica ma che in qualche modo riesce a conservare una sua via, una sua struttura, un suo cammino? E’ difficile rispondere. Certamente è chiaro che ogni colloquio continua a richiamare questo problema dei diritti umani, ma ascolto sempre il dramma della persona che è di fronte a me che deve prendere decisioni in un contesto così impressionantemente diverso dal nostro. Naturalmente è chiaro che dobbiamo aiutare i progressi, il cambiamento. Voglio dire che quando sento che ormai la discussione all’interno del Paese è aperta riguardo agli aspetti sociali, agli aspetti delle disparità, agli aspetti della difficoltà del sistema sanitario, tutti questi aspetti che fino a poco tempo fa erano assolutamente tabù, debbo aiutare questo progresso. Allora ancora una volta è il dialogo non la predica, che secondo me dà qualche frutto.
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