2006-10-04 15:45:15

Rinasce la speranza in Libano: la testimonianza di un padre gesuita


(4 ottobre 2006 - RV) E’ la sua terra di missione da sette anni: mai sarebbe scappato. Ma ha dovuto lasciare il Paese dopo tredici giorni di guerra perché era già previsto per lui uno spostamento temporaneo altrove. Non vede l’ora di tornarci. A raccontare l’abbandono forzato del Libano nel pieno degli scontri tra esercito israeliano e milizie hezbollah, è il padre gesuita di origine maltese Oliver Borg Olivier, docente di teologia spirituale all’Università St. Joseph di Beirut. “Il Libano è tornato indietro di almeno quindici anni – dice ai nostri microfoni -. Bisogna dare speranza a gente devastata”. Ma come la popolazione ha accolto il contingente di pace ONU “UNIFIL2”? Il suo commento nell’intervista di Antonella Palermo.


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R. - Con molta gioia e molta speranza, perché credo che la popolazione non ne possa più di situazioni di guerra. E, infatti, lo stato di scoraggiamento attuale è tale che la gente dice: “Non possiamo, ogni dieci anni, cominciare una nuova guerra per poi dover ricostruire tutto da capo”.


D. – Che situazione ha lasciato?


R. – Da una parte tragica, perché è un Paese che si stava rimettendo in piedi e nutriva speranze molto grandi. Questa estate erano attesi un milione e mezzo di turisti e, per un Paese che vive dell’industria del turismo, voleva dire tanto. Si aspettavano anche l’incontro chiamato “Parigi due” di investitori che dovevano venire ad investire in Libano. Tutto questo è saltato. Ci sono, comunque, segni di ripresa, visto proprio il grande movimento di solidarietà di tutti i Paesi per aiutare il Libano nella ricostruzione economica, soprattutto per quel che riguarda la ricostruzione delle case. Ma questa non è la cosa più importante.


D. – Qual è la cosa più importante?
R. – La cosa più importante è prima di tutto dare di nuovo speranza alla popolazione, perché 250 mila libanesi hanno lasciato il Paese con la speranza di tornare, ma per il momento non ne hanno tanta voglia, avendo ancora paura.


D. – I cristiani dove sono? Quanti sono?


R. – I cristiani una volta erano la maggioranza, adesso saranno il 30 o 33 per cento della popolazione. Purtroppo partono sempre di più, perchè non vedono un avvenire chiaro per i loro figli. Li capisco, perché la situazione non è facile. Allo stesso tempo è un peccato. Papa Giovanni Paolo II aveva una frase molto bella per il Libano, che dice: “Il Libano è un messaggio per il mondo ed è un messaggio proprio di convivenza possibile tra le varie religioni”. E’ sempre stato un Paese di dialogo. Se i cristiani perdono di vista questo anche quel messaggio di speranza si perde. Sì, ci sono problemi, c’è sofferenza, ma l’ultima parola non è mai di odio, di morte.


D. – I giovani che tipo di risorse possono oggi mettere in campo per questo Paese?


R. – L’hanno fatto durante la guerra con molta generosità, cercando di aiutare la Caritas ed altri Organismi ad animare i campi dove c’erano i profughi, che erano nelle scuole, nei conventi e così via. Credo che questo abbia creato anche un dialogo nel quotidiano, tra la gente semplice, ed è stato molto bello. Credo siano loro che potranno dare questa speranza, se sono capaci di fare la scelta. Noi rimaniamo, perchè crediamo nel nostro Paese e perché la nostra fede ci aiuta.
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