2006-09-30 15:30:40

Testimoniare la fede in Vietnam: l'esperienza di un padre gesuita


(30 settembre 2006 - RV) Sono stati necessari tanti anni per costruire un dialogo tra la Chiesa e la Repubblica socialista del Vietnam. Testimone di questo percorso, padre Nguyen Cong Doan, assistente generale della Compagnia di Gesù per l’Asia orientale e l’Oceania. Superiore dei Gesuiti negli anni ’70, padre Doan fu accusato di essere un controrivoluzionario e condannato a 12 anni di carcere. Qui ha continuato la sua missione evangelizzatrice. Al microfono di Antonella Villani, racconta la sua testimonianza:


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R. – I primi 15 anni, cioè fino al crollo del Muro di Berlino, sono stati durissimi, a causa dei pregiudizi causati dalla storia. Il colonialismo occidentale ha generato una grande confusione tra Chiesa e colonialismo stesso. Dunque, anche in Vietnam c’erano tanti pregiudizi che hanno reso la vita dura. Il governo comunista sospettava la Chiesa di essere complice del colonialismo, così la Chiesa ha sofferto a causa delle strettissime misure di controllo.


D. – Per la sua attività, è stato accusato di essere un controrivoluzionario e condannato insieme ad altri sette Gesuiti a ben 12 anni di carcere. Come ricorda la sua detenzione?


R. – Non ho mai considerato questa condanna come una tragedia. Per me è stata una missione. La missione presso i prigionieri, perché era l’unico modo per loro di avere un cappellano. I preti non potevano entrare nella prigione. In prigione abbiamo potuto aiutare molto a chiarire tante cose, tanti sospetti contro la Chiesa. Ed è nato una specie di dialogo.


D. – Come era visto dagli altri carcerati?


R. – C’erano prigionieri politici e detenuti comuni. La presenza di un sacerdote è molto rispettata anche dai non cristiani.


D. – Lei riusciva anche a dire Messa, a dare la Comunione?


R. – Ci sono tanti modi per celebrare la Messa discretamente e per dare la Comunione e anche il Sacramento della Riconciliazione ai prigionieri cattolici…


D. – Oggi, comunque, la situazione in Vietnam è molto più tranquilla?


R. – La Chiesa ha sempre cercato di contribuire, di collaborare alla riedificazione del Paese dopo tanti anni di guerra. Dunque, poco a poco si crea un buon rapporto. Anche i seminari sono pieni di giovani: adesso ci sono sette seminari, nel Paese. Non è ancora sufficiente, ma è già molto.


D. – Si può comunque professare la fede senza essere perseguitati …


R. – Si percepiscono ancora dei problemi per quelle Chiese che non si dichiarano al governo, ma per la Chiesa cattolica tutto è pubblico e quindi non hanno più paura dei cattolici. L’insegnamento più chiaro è quello di San Pietro che ci dice che si deve essere sempre pronti a rispondere della speranza che è in noi, con amore, con pazienza, con rispetto. Così, dopo tanti anni, la Chiesa in Vietnam ha potuto creare un dialogo e la Santa Sede può inviare, ogni anno, una delegazione nel Paese per discutere vari problemi riguardanti la vita della Chiesa. Tutto questo è il risultato dello spirito di amore, di pazienza, di rispetto, come afferma San Pietro.
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