2006-09-17 13:35:37

Interview mit Kardinal Sodano


RealAudioMP3 Der scheidende Kardinalstaatssekretär Angelo Sodano hat betont, dass der Friede eine der bleibenden Prioritäten bei der Arbeit des Vatikans ist. In einem Interview mit Radio Vatikan meinte Sodano, der am Wochenende sein Amt im Staatssekretariat an Kardinal Tarcisio Bertone übergab, einer der großen Erfolge seiner Amtszeit sei der Abschluß vieler Konkordate mit ex-kommunistischen Staaten gewesen. Sodano bleibt Dekan des Kardinalskollegiums und hat weiter viele Ämter an der römischen Kurie. Wörtlich sagte er in unserem Gespräch auch: "Besonders lebhaft steht mir vor Augen, wie ich am Anfang meiner Arbeit als Kardinalstaatssekretär 1990 in Moskau mit Gorbatschow sprach, um nach dem Fall des Kommunismus wieder Beziehungen aufzunehmen. Dann denke ich bewegt an meinen Besuch in Indien als päpstlicher Legat nach dem Tod von Mutter Teresa. Dann die 53 Reisen, auf denen ich Johannes Paul II. begleitet habe, bis zu seiner letzten nach Lourdes. Und vor allem erinnere ich mich an das Sterben und den Tod dieses großen Papstes - das waren Tage tiefen Schmerzes für mich wie für viele andere, Tage, die ich nicht vergessen werde."

Hier der volle italienische Wortlaut des Interviews:

D. – Eminenza, Lei è al termine di questo lungo servizio come segretario di Stato; il suo servizio come segretario di Stato è stato uno dei più lunghi, per lo meno nel secolo che adesso è passato. Vuole tracciare una breve sintesi di questo lungo periodo di servizio?

R. – E’ sempre difficile fare una sintesi per me. Come Lei ha detto, sono stati lunghi anni di servizio, più di 15 come segretario di Stato. Vorrei però anche ricordare che questo periodo si inserisce in altri 30 anni di servizio alla Santa Sede: in tutto, quindi, sono 45 anni della mia vita sacerdotale ed episcopale dedicati a questa grande causa di aiutare il Santo Padre e la Sede Apostolica in generale a compiere la sua missione nel mondo. La sintesi non è facile. Ho lasciato la diocesi di Asti in spirito di servizio; iniziai, dopo i due anni di Accademia, fatti nel ’59 e nel ’60, il mio servizio diretto alla Santa Sede, destinato da Papa Giovanni XXIII alla nunziatura in Ecuador, alla rappresentanza di Quito. Da lì, si è sviluppato questo lungo servizio diplomatico che è proseguito nella nunziature in Uruguay e in Cile e poi negli uffici della Segreteria di Stato, e che è culminato con questo servizio a cui mi ha chiamato la bontà e la fiducia del compianto Papa Giovanni Paolo II. Mi sembra che una sintesi possa essere questa: ho cercato di servire la Chiesa come ogni buon cristiano, come ogni figlio della Chiesa, che sia laico, sacerdote, vescovo o cardinale; questo spirito di servizio posso dire proprio qui, davanti al Signore, che mi ha sempre guidato, è stato un po’ la stella polare del mio lavoro.

D. – Questo servizio che Lei ha svolto e che anche la Segreteria di Stato nell’insieme svolge, è un servizio di carattere piuttosto ‘politico’, avendo questo aspetto dei rapporti internazionali, dei rapporti con gli Stati, oppure, può essere qualificato anche come un servizio pastorale, con una sua caratteristica che discende dalla natura della Chiesa?

R. – Mi sono sempre piaciute quelle parole del Signore: “Nella casa del mio Padre vi sono molte mansioni”, per dire che anche nella Chiesa ci sono attività diverse, tutte volte al grande fine che ci unisce: il fine del Padre Nostro, il fine del ‘venga in mezzo a noi il Tuo Regno’, il fine dell’‘adveniat regnum tuum’. Papa Giovanni Paolo II, nella sua riforma della Curia del 1988, diede proprio alla sua Costituzione Apostolica il titolo “Pastor Bonus”, cioè chiamando la Curia ad ispirarsi a Cristo, il Buon Pastore, sollecito del bene del suo gregge. E così, io ho vissuto questo servizio con questo spirito pastorale. Anche terminando il mio servizio qui come segretario di Stato, ho voluto fare omaggio a tutti i collaboratori e le collaboratrici del nostro ufficio di una mia pubblicazione cui ho dato appunto questo titolo: “Il lievito del Vangelo: la presenza della Santa Sede nella vita dei popoli”, perché altro non è lo scopo della presenza della Santa Sede nella vita internazionale, se non quello di portare il messaggio cristiano. Gesù ci ha detto: “Ciò che avete ascoltato con le orecchie, predicatelo sui tetti”: è quindi una forma di predicare nelle tribune internazionali, sui tetti del mondo il Vangelo di Cristo in cui solo i popoli possono avere salvezza. E pensavo a queste parole di Gesù, quando ho dovuto parlare a New York all’Assemblea delle Nazioni Unite, a Ginevra, a Strasburgo al Consiglio d’Europa e in altri fori internazionali. E’ una forma di annunzio del Vangelo: la semente, poi, a volte cade in un terreno buono, a volte no, ma questa è la missione!

D. – Il segretario di Stato è il primo collaboratore del Santo Padre. Può descrivere la funzione, il servizio specifico che svolge nella guida della Segreteria di Stato e quindi nel governo della Chiesa?

R. – Come tracciato dalla Costituzione Apostolica “Pastor Bonus” e poi ancora dalla “Regimini ecclesiae” di Papa Paolo VI e da tutta l’anteriore tradizione della Santa Sede, il segretario di Stato è il primo collaboratore del Papa, nella sua attività ‘ad intra’, nella Chiesa, e ‘ad extra’, nei rapporti con gli Stati. Nella sua attività ‘ad intra’, nella Chiesa, è in stretta unione con gli altri organismi della Curia Romana, per aiutare il Papa nella sua missione. Nella Curia Romana ci sono una trentina di organismi – Congregazioni, Pontifici consigli, Tribunali, Amministrazioni, Commissioni – e attraverso questi organismi della sua Curia, il Papa tiene i contatti con i vescovi di tutto il mondo, con le congregazioni religiose, con tutti i movimenti cattolici del laicato; e quindi, il segretario di Stato deve essere il primo coordinatore di questo lavoro. Poi, c’è un lavoro ‘ad extra’ nei contatti con gli Stati e con le organizzazioni internazionali: oggi la Santa Sede ha rapporti diplomatici con 174 Stati. E’ un lavoro lento, continuo, a volte silenzioso, come lo è il metodo della diplomazia, per tenere i rapporti con le autorità civili e per promuovere così anche il progresso spirituale dei popoli. Particolare importanza io ho cercato di dare a questo lavoro, sviluppando i contatti con visite, ricevendo capi di Stato, capi di governo, ambasciatori in modo che questo lievito del Vangelo penetri sempre più anche nella vita dei popoli.

D. – Proprio in questo aspetto dei rapporti ‘ad extra’, nei rapporti con gli Stati, noi sappiamo che durante il lungo pontificato di Giovanni Paolo II, e quindi anche durante il suo servizio come segretario di Stato, vi sono stati molti sviluppi: è cresciuto il numero degli Stati che hanno rapporti diplomatici con la Santa Sede. Vuole dirci qualcosa di più specifico sugli sviluppi in questo campo?

R. – Mi fa particolarmente piacere ricordare il lavoro di questi anni, soprattutto con l’Europa centro-orientale, dominata fino al 1990 dai regimi comunisti. Ebbene, ho avuto la gioia di collaborare con il Santo Padre Giovanni Paolo II nel ristabilire rapporti diplomatici con tutti questi Stati. Pensi che prima, nell’antica Unione Sovietica, non c’era una rappresentanza pontificia: adesso ce ne sono sei, addirittura! Una in Russia, una in Bielorussia, una in Ucraina, una in Georgia, Armenia e Azerbaigian, una nei Paesi asiatici dell’ex-Asia sovietica – Kazakhstan, Tagikistan, Uzbekistan e così via – e una nei Paesi baltici. Quindi, è una presenza capillare degli inviati pontifici. E poi nell’Europa centro-orientale sono nate altre sei nunziature e altrettante nei Balcani: quindi sono 18 nuove nunziature che sono sorte e che ci permettono di essere presenti in modo significativo. Poi, si è cercato in questi anni di rafforzare la presenza della Santa Sede nell’Organizzazione delle Nazioni Unite, dando un nuovo Statuto, anzi, ottenendo da tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite, in una specifica votazione, che l’Osservatore della Santa Sede abbia uno Statuto specifico, diverso dalle altre organizzazioni, appunto perché la Santa Sede non rappresenta solo un’organizzazione religiosa mondiale, ma rappresenta anche uno Stato. Abbiamo cercato di intensificare i contatti con l’Unione Europea in questo grande dibattito sul futuro dell’Europa, istituendo anche una nunziatura a Bruxelles appunto presso l’Unione Europea. Ed io ho cercato di lavorare come potevo, nel miglior modo possibile, per collegare meglio questi tre grandi organismi europei: l’Unione Europea, il Consiglio d’Europa a Strasburgo e l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, l’ex Conferenza di Helsinki che adesso ha sede a Vienna, che a volte fanno lo stesso lavoro e sono come tre cerchi concentrici, che occorre ristudiare e ridefinire. Molti governi mi hanno ringraziato per questa presenza e per questo sforzo di riorganizzazione. Quindi, come vede, il lavoro del contatto con gli Stati è stato molto grande e devo rendere omaggio a chi mi ha aiutato in questo lavoro: prima l’arcivescovo Tauran, come segretario per i Rapporti con gli Stati, e poi l’arcivescovo Lajolo fino ad oggi …

D. – Uno degli argomenti fondamentali nel servizio della Santa Sede all’umanità è quello della pace. Vuole ricordare quali sono gli sviluppi e i momenti essenziali del servizio della pace in questi anni?

R. – Io credo che siano stati anni provati da grandi tensioni internazionali. Ci fu, in questo periodo, il grande dramma dei Balcani; io stesso accompagnai a Sarajevo, alla fine della guerra, Papa Giovanni Paolo II e sono stato testimone della tragedia di una città messa in ginocchio, sventrata in gran parte da questa inutile strage … Poi, abbiamo avuto le grandi guerre in Africa, la guerra dei Grandi Laghi, una guerra dimenticata che ha fatto tanti morti tra hutu e tutsi … Poi, piccoli e grandi conflitti, ma pensiamo ai morti a Timor Est, dei quali la Santa Sede si è molto occupata, e recentemente, in Darfur … Quindi, il problema della pace è sempre stato tra le prime preoccupazioni della Santa Sede ed anche mie personali. Ho cercato anch’io, come potevo, di meritarmi la settima Beatitudine del Vangelo: “Beati i costruttori di pace”!

D. – Sull’Italia, che cosa ci dice? C’è sempre un rapporto molto intenso, data la ‘vicinanza’ tra la Santa Sede e l’Italia …

R. – Sì, nel corso di questi 15 anni, ho avuto numerosi contatti con i primi ministri italiani: le relazioni sono facili e cordiali, perché ormai tracciate sul grande binario dei Patti Lateranensi. Ogni giorno che passa vedo come siano stati provvidenziali i Patti Lateranensi, perché assicurano davvero una cooperazione nel senso migliore della parola, nel rispetto delle reciproche autonomie, e quindi mi sembra un rapporto di cordialità ricordando i grandi interessi dei cattolici in Italia: la vita, la famiglia, la scuola; ricordando i grandi problemi internazionali per un comune lavoro nelle riunioni internazionali, nella politica internazionale. E devo dire che, in genere, con tutti i primi ministri e con i ministri degli Esteri c’è stato un rapporto di grande cordialità.

D. – Venendo ad una domanda un po’ più personale: quali sono i momenti che Lei ricorda con particolare intensità o con particolare gusto o gratitudine di questo periodo?

R. – Lei mi fa una domanda che mi prende un po’ alla sprovvista … Ho sempre davanti a me il ricordo, ad esempio, all’inizio del mio servizio, del viaggio a Mosca nell’autunno del 1990, per preparare le relazioni con la Santa Sede dopo la caduta del comunismo. Un incontro lungo, fecondo di bene, con il presidente Gorbaciov che permise poi la venuta a Roma di quel capo di Stato e l’inizio di questa nuova pagina di rapporti con la Russia di oggi. Ricordo con commozione la mia visita a Calcutta, in India, come Legato pontificio per la morte di Madre Teresa; ricordo i viaggi con Giovanni Paolo II: lo accompagnai 53 volte, dal 1991 a Fatima, il 13 maggio, nel decennio dell’attentato, fino all’ultimo, a Lourdes, nella festa dell’Assunta, del 2004. Sono stati momenti belli. Poi, un momento che ricordo in particolare: l’agonia e la morte di questo grande Papa che ha voluto chiamarmi come suo collaboratore. Furono giorni di dolore intenso per me, come per tutti noi, e rimarranno indelebili nella mia memoria. Tra gli eventi ecclesiali che più mi sono cari ricordo la visita che ho fatto in Kazakhstan nel 2003, per stabilire la gerarchia ecclesiastica, l’arcivescovo di Astana, nella capitale, gli altri vescovi ad Almaty, a Karaganda e l’amministratore apostolico ad Atyrau, ridando vita alla presenza della Chiesa in quel Paese, con il quale anche la Santa Sede è riuscita – anche con il mio impegno personale – a fare addirittura un accordo, che può essere di esempio per gli accordi con i Paesi islamici. Piccoli o grandi ricordi che rimarranno fissi nel mio cuore …

D. – Lei termina il suo servizio come segretario di Stato, ma continua ad essere il decano del Collegio cardinalizio. Ci vuole descrivere brevemente anche il significato di questo compito?

R. – Nel Codice di Diritto canonico, sono ben descritti questi due organismi consultivi del Papa: il Sinodo dei vescovi e il Collegio cardinalizio. Anzi, non è un mistero rivelare che quando si preparava il Codice, non si sapeva se mettere prima il Collegio dei cardinali o prima il Sinodo dei Vescovi. Si preferì poi mettere prima il Sinodo dei vescovi perché rappresenta forse meglio la base della Chiesa universale. Dunque, il Sinodo dei vescovi e il Collegio cardinalizio sono organi consultivi del Papa: il Sinodo dei vescovi si muove attraverso le sue assemblee sinodali o generali o speciali o locali; il Collegio cardinalizio si muove attraverso i concistori – regolari, straordinari – attraverso anche delle riunioni informali. Il Santo Padre Benedetto XVI ha manifestato la sua volontà di dare nuova vita al Collegio cardinalizio, definito – e giustamente – nel corso dei secoli come il ‘Senato del Papa’ – e quindi mi impegnerò particolarmente per consultare i cardinali sui problemi più urgenti della Chiesa, per favorire riunioni più frequenti, per tenere una maggiore corrispondenza anche tra di noi, per conoscerci meglio. E così, potrò continuare a portare il mio granello di arena a questo grande ideale dell’attività del Papa nel mondo di oggi, attività che vedo sempre più apprezzata: anche chi lo critica, a volte, sa che è una voce serena, indipendente dalle pressioni politiche, per il bene dell’umanità. Il cardinale Casaroli di santa memoria, mia predecessore, alla fine della vita pubblicò un libro: “Per la Chiesa e per il mondo”, sintetizzando così il suo lavoro, al servizio della Chiesa e al servizio del mondo, per lo sviluppo, per la pace, per la concordia. E io credo che anche il mio lavoro sarà sempre questo: per la Chiesa e per il mondo. Molte grazie.

D. – Grazie a Lei, eminenza, e grazie per tutto quello che ha fatto anche per noi, come segretario di Stato, e auguri per questi compiti che continuano ad essere molto importanti per la Chiesa …

R. – Molte grazie a Lei, caro padre. Vorrei anche dire che in questi anni sono stato sempre vicino all’attività della Radio Vaticana: ho visto il grande bene che svolge nel mondo e quindi colgo anche l’occasione per augurare a Lei ed ai collaboratori un rinnovato impegno. Anche il vostro lavoro lo si può definire lavoro pastorale, perché è al servizio della diffusione del Regno di Dio. Ricordo quel disco che a volte sento ancora, quando la voce del Papa Pio XI inaugurò la Radio Vaticana, in quella bella lingua latina: “Ut Verbum Dei clarificetur et diffundatur”. Così, anch’io auguro alla Radio Vaticana, alla fine del mio servizio come segretario di Stato, che continui in questo solco fecondo di diffusione della Parola di Dio e dell’attività della Santa Sede. Molte grazie.

D. – Grazie a Lei.







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