Celebrazione dei Vespri nel Duomo di Ratisbona. 12 settembre 2006. Discorso del Papa.
Testo integrale.
Cari fratelli e sorelle in Cristo!
Ci siamo riuniti – cristiani ortodossi,
cattolici e protestanti – per cantare insieme le Lodi serali di Dio. Il cuore di questa
liturgia sono i salmi, nei quali confluiscono l'Antica e la Nuova Alleanza e la nostra
preghiera si unisce all'Israele credente che vive nella speranza. Questa è un'ora
di gratitudine per il fatto che noi possiamo così pregare insieme e nel nostro rivolgerci
al Signore, possiamo crescere contemporaneamente nell'unità anche tra noi.
Tra
i partecipanti a questi Vespri vorrei salutare cordialmente innanzitutto i rappresentanti
della Chiesa ortodossa. Ritengo già da sempre un grande dono della Provvidenza il
fatto che, come professore a Bonn, ho avuto modo di conoscere e di amare la Chiesa
ortodossa, per così dire, personalmente, cioè nelle persone di due giovani Archimandriti,
diventati poi Metropoliti, Stylianos Harkianakis e Damaskinos Papandreou. A Ratisbona,
grazie alle iniziative del Vescovo Graber, si aggiungevano ulteriori incontri: nei
Simposi sul "Spindlhof" e a causa dei borsisti che hanno studiato qui. Sono lieto
di poter rivedere qualche volto a me familiare e di trovare ravvivate le vecchie amicizie.
Fra pochi giorni si riprenderà a Belgrado il dialogo teologico sul tema fondamentale
della koinonia – nelle due dimensioni che la Prima Lettera di Giovanni ci indica subito
all'inizio, nel primo capitolo. La nostra koinonia è anzitutto comunione col Padre
e col Figlio suo Gesù Cristo nello Spirito Santo; è la comunione con lo stesso Dio
Trino, resa possibile dal Signore mediante la sua incarnazione e l'effusione dello
Spirito. Questa comunione con Dio crea poi anche la koinonia tra gli uomini, come
partecipazione alla fede degli Apostoli e così come comunione nella fede – una comunione
che nell'Eucaristia diventa "corporea", edificando l'unica Chiesa che si espande oltre
tutti i confini (cfr 1 Gv 1,3). Io spero e prego che questi colloqui portino frutti
e che la comunione col Dio vivente che ci unisce, come la comunione tra noi nella
fede tramandata dagli Apostoli, si approfondiscano e maturino fino a quell'unità piena,
dalla quale il mondo può riconoscere che Gesù Cristo è veramente l'inviato di Dio,
il Figlio di Dio, il Salvatore del mondo (cfr Gv 17,21). "Perché il mondo creda" è
necessario che noi siamo una cosa sola: la serietà di questo impegno deve animare
il nostro dialogo.
Saluto di cuore anche gli amici delle varie tradizioni della
Riforma. Anche in questo contesto si risvegliano molti ricordi nel mio intimo: ricordi
di amici del circolo Jäger-Stählin, che ormai sono deceduti; con questi ricordi si
mescola la gratitudine per gli incontri di questa ora. Ovviamente, penso in particolare
all'impegno di faticosa ricerca per trovare il consenso circa la giustificazione.
Ricordo tutte le fasi di quel processo fino al memorabile incontro con il defunto
Vescovo Hanselmann qui a Ratisbona – un incontro che poté contribuire in modo essenziale
al raggiungimento della conclusione concorde. Sono lieto che nel frattempo anche il
"Consiglio mondiale delle Chiese metodiste" abbia aderito a tale Dichiarazione. Il
consenso circa la giustificazione resta per noi un grande impegno, in realtà non ancora
totalmente adempiuto: nella teologia la giustificazione è un tema essenziale, ma nella
vita dei fedeli – mi pare – oggi appena presente. Anche se a causa degli eventi drammatici
del nostro tempo il tema del perdono reciproco si mostra di nuovo in tutta la sua
urgenza – del fatto che ci è necessario innanzitutto il perdono da parte di Dio, la
giustificazione per mezzo di Lui, si è poco consapevoli. In gran parte non risulta
più alla coscienza moderna il fatto che davanti a Dio abbiamo veramente dei debiti
e che il peccato è una realtà che può essere superata soltanto per iniziativa di Dio.
Dietro a questo affievolirsi del tema della giustificazione e del perdono dei peccati
sta in definitiva un indebolimento del nostro rapporto con Dio. Per questo, il nostro
primo compito sarà forse quello di riscoprire in modo nuovo il Dio vivente nella nostra
vita.
Ascoltiamo ora con questo proposito ciò che san Giovanni intendeva
dirci poco fa nella lettura biblica. Vorrei sottolineare in modo particolare tre affermazioni
di questo testo complesso e ricco. Il tema centrale di tutta la Lettera appare nel
versetto 15: "Chiunque riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed
egli in Dio". Ancora una volta, come già prima nei versetti 2 e 3 del quarto capitolo,
Giovanni mette in luce la confessione che, in fondo, ci distingue come cristiani:
la fede, cioè, nel fatto che Gesù è il Figlio di Dio venuto nella carne. "Dio nessuno
l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato",
si legge alla fine del prologo del quarto Vangelo (Gv 1,18). Chi è Dio, lo sappiamo
da Gesù Cristo: dall'unico che è Dio. È mediante Lui che veniamo in contatto con
Dio. Nell'epoca degli incontri multireligiosi siamo facilmente tentati di attenuare
un po' questa confessione centrale o addirittura di nasconderla. Ma con ciò non rendiamo
un servizio all'incontro, né al dialogo. Con ciò rendiamo soltanto Dio meno accessibile,
per gli altri e per noi stessi. È importante che noi poniamo in discussione in modo
completo e non soltanto frammentario la nostra immagine di Dio. Per esserne capaci,
deve crescere ed approfondirsi la nostra comunione personale con Cristo e il nostro
amore per Lui. In questa nostra comune confessione e in questo nostro comune compito
non esiste alcuna divisione tra noi. Vogliamo pregare, affinché questo fondamento
comune si rafforzi sempre di più.
Con ciò ci troviamo già dentro al secondo
argomento che intendevo toccare. Di esso si parla nel versetto 14 dove si legge: "Noi
stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore
del mondo". La parola centrale di questa frase è: μαρτυρουˆ μν – testimoniamo, siamo
testimoni. La confessione deve diventare testimonianza. La parola soggiacente μάρτυς
rievoca il fatto, che il testimone di Gesù Cristo deve affermare la sua testimonianza
con l'intera sua esistenza, con la vita e con la morte. L'autore della Lettera dice
di sé: "Noi abbiamo veduto". Perché ha veduto, egli può essere testimone. Presuppone,
però, che anche noi – le generazioni successive – siamo capaci di diventare vedenti,
al fine di potere, come vedenti, dare testimonianza. Preghiamo dunque il Signore di
renderci vedenti! Aiutiamoci a vicenda a sviluppare questa capacità, per poter rendere
vedenti anche gli uomini del nostro tempo, così che a loro volta, attraverso tutto
il mondo da loro stessi costruito, riescano a riscoprire Dio! Perché, attraverso tutte
le barriere storiche, possano di nuovo scorgere Gesù, il Figlio mandato da Dio, nel
quale vediamo il Padre. Nel versetto 9 si dice che Dio ha mandato il Figlio nel mondo,
perché noi avessimo la vita. Non possiamo forse costatare oggi che solo mediante l'incontro
con Gesù Cristo la vita diventa veramente vita? Essere testimone di Gesù Cristo significa
soprattutto: essere testimone di un determinato modo di vivere. In un mondo pieno
di confusione, noi dobbiamo dare nuovamente testimonianza degli orientamenti che rendono
una vita veramente vita. Questo importante compito comune a tutti i credenti lo dobbiamo
affrontare con grande decisione: è responsabilità dei cristiani, in questa ora, di
rendere visibili quegli orientamenti di un giusto vivere, che a noi si sono chiariti
in Gesù Cristo. Egli ha riassunto nel suo cammino di vita tutte le parole della Scrittura:
"Ascoltatelo!" (Mc 9,7).
Con ciò siamo giunti alla terza parola che, in questa
Lettura, volevo mettere in rilievo: agape – amore. È questa la parola guida di tutta
la Lettera e specialmente del brano che abbiamo ascoltato. Agape non significa nulla
di sentimentale e nulla di esaltato; è qualcosa di totalmente sobrio e realistico.
Ho cercato di spiegarne qualcosa nella mia Enciclica Deus caritas est. L'agape (l'amore)
è veramente la sintesi della Legge e dei Profeti. In essa è "avviluppato" tutto; un
tutto, però, che nel quotidiano deve sempre di nuovo essere "sviluppato". Nel versetto
16 del nostro testo si trova la parola meravigliosa: "Noi abbiamo creduto all'amore".
Sì, all'amore l'uomo può credere. Testimoniamo la nostra fede così che appaia come
forza dell'amore, "perché il mondo creda" (Gv 17,21)! Amen!