Omelia del Papa per la Messa ad Altötting. Lunedì 11 settembre 2006. Testo integrale.
Cari fratelli e sorelle!
Nella prima lettura, nel responsorio e nel brano evangelico
di questo giorno incontriamo tre volte, in modo sempre diverso, Maria, la Madre del
Signore, come persona che prega. Nel Libro degli Atti la troviamo in mezzo alla comunità
degli Apostoli che si sono riuniti nel Cenacolo e invocano il Signore asceso al Padre,
affinché adempia la sua promessa: "Sarete battezzati in Spirito Santo fra non molti
giorni" (At 1,5). Maria guida la Chiesa nascente nella preghiera; è quasi la Chiesa
orante in persona. E così, insieme con la grande comunità dei santi e come loro centro,
sta ancora oggi davanti a Dio ed intercede per noi, chiedendo al suo Figlio di mandare
nuovamente il suo Spirito nella Chiesa e nel mondo e di rinnovare la faccia della
terra.
Noi rispondiamo a questa lettura cantando insieme con Maria la grande
lode intonata da lei, quando Elisabetta la chiamò beata a motivo della sua fede. È
questa una preghiera di ringraziamento, di gioia in Dio, di benedizione per le sue
grandi opere. Il tenore di quest'inno emerge subito nella prima parola: "L'anima mia
magnifica – cioè rende grande – il Signore". Rendere Dio grande vuol dire dargli spazio
nel mondo, nella propria vita, lasciarlo entrare nel nostro tempo e nel nostro agire:
è questa l'essenza più profonda della vera preghiera. Dove Dio diventa grande, l'uomo
non diventa piccolo: lì diventa grande anche l'uomo e diventa luminoso il mondo.
Nel
brano evangelico, Maria rivolge al suo Figlio una richiesta in favore degli amici
che si trovano in difficoltà. A prima vista, questo può apparire un colloquio del
tutto umano tra Madre e Figlio e, infatti, è anche un dialogo pieno di profonda umanità.
Tuttavia Maria si rivolge a Gesù non semplicemente come a un uomo, sulla cui fantasia
e disponibilità a soccorrere sta contando. Lei affida una necessità umana al suo potere
– a un potere che va al di là della bravura e della capacità umana. E così, nel dialogo
con Gesù, la vediamo realmente come Madre che chiede, che intercede. Vale la pena
di andare un po' più a fondo nell'ascolto di questo brano evangelico: per capire meglio
Gesù e Maria, ma proprio anche per imparare da Maria a pregare nel modo giusto. Maria
non rivolge una vera richiesta a Gesù. Gli dice soltanto: "Non hanno più vino" (Gv
2,3). Le nozze in Terra Santa si festeggiavano per una settimana intera; era coinvolto
tutto il paese, e si consumavano quindi grandi quantità di vino. Ora gli sposi si
trovano in difficoltà, e Maria semplicemente lo dice a Gesù. Non dice a Gesù che cosa
Egli deve fare. Non domanda una cosa precisa, e per niente chiede che Egli compia
un miracolo mediante il quale produrre del vino. Semplicemente affida la cosa a Gesù
e lascia a Lui la decisione su come reagire. Vediamo così nella semplice parola della
Madre di Gesù due cose: da una parte, la sua sollecitudine affettuosa per gli uomini,
l'attenzione materna con cui avverte l'altrui situazione difficile; vediamo la sua
bontà cordiale e la sua disponibilità ad aiutare. È questa la Madre, verso la quale
la gente da generazioni si mette in pellegrinaggio qui ad Altötting. A lei affidiamo
le nostre preoccupazioni, le necessità e le situazioni penose. La bontà pronta ad
aiutare della Madre, alla quale ci affidiamo, è qui nella Sacra Scrittura, che la
vediamo per la prima volta. Ma a questo primo aspetto molto familiare a tutti noi
se ne unisce ancora un altro, che facilmente ci sfugge: Maria rimette tutto al giudizio
del Signore. A Nazaret ha consegnato la sua volontà immergendola in quella di Dio:
"Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1, 38).
Questo è il suo permanente atteggiamento di fondo. E così ci insegna a pregare: non
voler affermare la nostra volontà e i nostri desideri di fronte a Dio, ma lasciare
a Lui di decidere ciò che intende fare. Da Maria impariamo la bontà pronta ad aiutare,
ma anche l'umiltà e la generosità di accettare la volontà di Dio, dandogli fiducia
nella convinzione che la sua risposta sarà il nostro vero bene.
Se in questa
luce possiamo capire molto bene l'atteggiamento e le parole di Maria, ci resta ancor
più difficile comprendere la risposta di Gesù. Già l'appellativo non ci piace: "Donna"
– perché non dice: madre? In realtà, questo titolo esprime la posizione di Maria nella
storia della salvezza. Esso rimanda al futuro, all'ora della crocifissione, in cui
Gesù le dirà: "Donna, ecco il tuo figlio – figlio, ecco la tua madre!" (cfr Gv 19,
26-27). Indica quindi in anticipo l'ora in cui Egli renderà la donna, sua madre, madre
di tutti i suoi discepoli. D’altra parte, il titolo evoca il racconto della creazione
di Eva: Adamo, in mezzo alla creazione con tutta la sua ricchezza, come essere umano
si sente solo. Allora viene creata Eva, e in lei egli trova la compagna che aspettava
e che chiama con il titolo di "donna". Così, nel Vangelo di Giovanni, Maria rappresenta
la nuova, la definitiva donna, la compagna del Redentore, la Madre nostra: l'appellativo
apparentemente poco affettuoso esprime invece la grandezza della sua missione.
Ma
ancora meno ci piace tutto il resto della risposta che Gesù a Cana dà a Maria: “Che
ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora” (Gv 2, 4). Noi vorremmo
obiettare: Molto hai da fare con lei! È stata lei a darti carne e sangue, il tuo corpo.
E non soltanto il tuo corpo: con il “sì” proveniente dal profondo del suo cuore ti
ha portato in grembo e con amore materno ti ha introdotto nella vita e ambientato
nella comunità del popolo d’Israele. Se così parliamo con Gesù, siamo già sulla buona
strada per comprendere la sua risposta. Poiché tutto ciò deve richiamare alla nostra
memoria che nella Sacra Scrittura esiste un parallelismo con il dialogo che Maria
aveva avuto con l’Arcangelo Gabriele, nel quale ella dice: “Avvenga di me quello che
hai detto” (Lc 1, 38). Questo parallelismo si trova nella Lettera agli Ebrei che,
con parole tratte dal Salmo 40 ci racconta del dialogo tra Padre e Figlio – quel dialogo
nel quale si s'avvia l’incarnazione. L’eterno Figlio dice al Padre: “Tu non hai voluto
né sacrifici né offerte, un corpo invece mi hai preparato… Ecco, io vengo … per fare,
o Dio, la tua volontà” (Ebr 10,5-7; cfr Sl 40,6-8). Il “si” del Figlio: “Vengo per
fare la tua volontà”, e il “sì” di Maria: “Avvenga di me quello che hai detto” – questo
duplice “sì” diventa un unico “sì”, e così il Verbo diventa carne in Maria. In questo
duplice “sì” l’obbedienza del Figlio si fa corpo, Maria gli dona il corpo. “Che ho
da fare con te, o donna?” Quello che nel più profondo hanno da fare l’uno con l’altra,
è questo duplice “sì”, nella cui coincidenza è avvenuta l’incarnazione. È a questo
punto della loro profondissima unità che il Signore mira con la sua parola. Lì, in
questo comune “sì” alla volontà del Padre, si trova la soluzione. Dobbiamo incamminarci
anche noi verso questo punto; lì emerge la risposta alle nostre domande.
Partendo
da lì comprendiamo anche la seconda frase della risposta di Gesù: “Non è ancora giunta
la mia ora”. Gesù non agisce mai solamente da sé; mai per piacere agli altri. Egli
agisce sempre partendo dal Padre, ed è proprio questo che lo unisce a Maria, perché
là, in questa unità di volontà col Padre, ha voluto deporre anche lei la sua richiesta.
Per questo, dopo la risposta di Gesù, che sembra respingere la domanda, lei sorprendentemente
può dire ai servi con semplicità: “Fate quello che vi dirà!” (Gv 2,5). Gesù non fa
un prodigio, non gioca col suo potere in una vicenda in fondo del tutto privata. Egli
pone in essere un segno, col quale annuncia la sua ora, l’ora delle nozze, dell’unione
tra Dio e l’uomo. Egli non “produce” semplicemente vino, ma trasforma le nozze umane
in un’immagine delle nozze divine, alle quali il Padre invita mediante il Figlio e
nelle quali Egli dona la pienezza del bene. Le nozze diventano immagine della Croce,
sulla quale Dio spinge il suo amore fino all’estremo, dando se stesso nel Figlio in
carne e sangue – nel Figlio che ha istituito il Sacramento, in cui si dona a noi per
tutti i tempi. Così la necessità viene risolta in modo veramente divino e la domanda
iniziale largamente oltrepassata. L’ora di Gesù non è ancora arrivata, ma nel segno
della trasformazione dell'acqua in vino, nel segno del dono festivo, anticipa la sua
ora già in questo momento.
La sua “ora” definitiva sarà il suo ritorno alla
fine dei tempi. Egli però anticipa continuamente questa ora nell’Eucaristia, nella
quale viene sempre già ora. E sempre di nuovo lo fa per intercessione della sua Madre,
per intercessione della Chiesa, che lo invoca nelle preghiere eucaristiche: "Vieni,
Signore Gesù!" Nel Canone la Chiesa implora sempre di nuovo questa anticipazione dell’"ora",
chiede che venga già adesso e si doni a noi. Così vogliamo lasciarci guidare da Maria,
dalla Madre delle grazie di Altötting, dalla Madre di tutti i fedeli, verso l’"ora"
di Gesù. Chiediamo a Lui il dono di riconoscerlo e di comprenderlo sempre di più.
E non lasciamo che il ricevere sia ridotto solo al momento della Comunione. Egli rimane
presente nell’Ostia santa e ci aspetta continuamente. L’adorazione del Signore nell'Eucaristia
ha trovato a Altötting nella vecchia camera del tesoro un luogo nuovo. Maria e Gesù
vanno insieme. Mediante lei vogliamo restare in dialogo col Signore, imparando così
a riceverlo meglio. Santa Madre di Dio, prega per noi, come a Cana hai pregato per
gli sposi! Guidaci verso Gesù – sempre di nuovo! Amen!