Credere e’ bello: il cattolicesimo non e’ un cumulo di proibizioni ma la gioia di
scoprire il volto umano di Dio in Gesu’ Cristo: cosi’ il Papa nell’intervista rilasciata
a tre tv tedesche e alla Radio Vaticana
Audio: Domanda: Santo
Padre, a Settembre Lei visiterà la Germania, o più precisamente, naturalmente, la
Baviera. “Il Papa ha nostalgia della sua patria”, così hanno riferito i suoi collaboratori
nel corso della preparazione. Quali temi vorrà in particolare toccare durante la visita,
e il concetto di “patria” fa parte dei valori che Lei vuole specialmente proporre?
Benedetto
XVI: Certamente. Il motivo della visita era proprio che io volevo vedere ancora una
volta i luoghi, le persone presso cui sono cresciuto, che mi hanno segnato e hanno
formato la mia vita; volevo ringraziare queste persone. E naturalmente volevo anche
esprimere un messaggio che vada aldilà della mia terra, come è coerente con il mio
ministero. I temi me li sono lasciati indicare molto semplicemente dalle ricorrenze
liturgiche. Il tema fondamentale è che noi dobbiamo riscoprire Dio e non un Dio qualsiasi,
ma il Dio con un volto umano, poiché quando vediamo Gesù Cristo vediamo Dio. E a partire
da questo dobbiamo trovare le vie per incontrarci a vicenda nella famiglia, fra le
generazioni e poi anche fra le culture e i popoli, e le vie per la riconciliazione
e la convivenza pacifica in questo mondo. Le vie che conducono verso il futuro non
le troviamo se non riceviamo, per così dire, la luce dall’alto. Non ho quindi scelto
dei temi molto specifici, ma è la liturgia che mi guida a esprimere il messaggio fondamentale
della fede, che naturalmente si inserisce nell’attualità di oggi, in cui vogliamo
anzitutto cercare la collaborazione dei popoli, e le vie possibili verso la riconciliazione
e la pace.
Domanda : Come Papa, Lei è responsabile per la Chiesa nel mondo
intero. Ma naturalmente la sua visita fa rivolgere l’attenzione anche alla situazione
dei cattolici in Germania. Ora, tutti gli osservatori concordano che l’atmosfera è
buona, anche grazie alla Sua elezione. Ma naturalmente i problemi antichi sono rimasti,
solo per fare alcuni esempi: sempre meno praticanti, sempre meno battesimi, in genere
sempre meno influsso sulla vita sociale. Come vede Lei la situazione attuale della
Chiesa cattolica in Germania?
Benedetto XVI: Io direi anzitutto che la Germania
appartiene all’Occidente, anche se con una sua coloritura caratteristica, e nel mondo
occidentale oggi viviamo un’ondata di nuovo drastico illuminismo o laicismo, comunque
lo si voglia chiamare. Credere è diventato più difficile, poiché il mondo in cui ci
troviamo è fatto completamente da noi stessi e in esso Dio, per così dire, non compare
più direttamente. Non si beve alla fonte, ma da ciò che, già imbottigliato, ci viene
offerto. Gli uomini si sono ricostruiti il mondo loro stessi, e trovare Lui dietro
a questo mondo è diventato difficile. Questo non è specifico della Germania, ma è
qualcosa che si verifica in tutto il mondo, in particolare in quello occidentale.
D’altra parte l’Occidente oggi viene toccato fortemente da altre culture, in cui l’elemento
religioso originario è molto forte, e che sono inorridite per la freddezza che riscontrano
in Occidente nei confronti di Dio. E questa presenza del sacro in altre culture, anche
se velata in molte maniere, tocca nuovamente il mondo occidentale, tocca noi, che
ci troviamo al crocevia di tante culture. E anche dal profondo dell’uomo in Occidente
e in Germania sale sempre nuovamente la domanda di qualcosa “di più grande”. Lo vediamo
nella gioventù, nella quale c’è la ricerca di un “più”: in certo modo il fenomeno
religione - come si dice - ritorna, anche se si tratta di un movimento di ricerca
spesso piuttosto indeterminato. Ma con tutto ciò la Chiesa è di nuovo presente, la
fede si offre come risposta. E io penso che proprio questa visita, come già quella
a Colonia, sia una opportunità perché si veda che credere è bello, che la gioia di
una grande comunità universale significa un sostegno, che dietro di essa c’è qualcosa
di importante e che quindi insieme ai nuovi movimenti di ricerca vi sono anche nuovi
sbocchi alla fede, che ci conducono gli uni verso gli altri e che sono anche positivi
per la società nel suo insieme.
Domanda : Santo Padre, proprio un anno fa
Lei era a Colonia con i giovani, e credo che Lei abbia anche sperimentato che la gioventù
è straordinariamente pronta ad accogliere, e che Lei personalmente è stato accolto
molto bene. In questo prossimo viaggio Lei porta forse anche un messaggio speciale
per i giovani?
Benedetto XVI : Io direi anzitutto: sono molto felice che vi
siano giovani che vogliono stare insieme, che vogliono stare insieme nella fede, e
che vogliono fare qualcosa di buono. La disponibilità al bene è molto forte nella
gioventù, basti pensare alle molte forme di volontariato. L’impegno per offrire in
prima persona un proprio contributo di fronte ai bisogni di questo mondo, è una cosa
grande. Un primo impulso può essere quindi di incoraggiare in questo: Andate avanti!
Cercate le occasioni per fare il bene! Il mondo ha bisogno di questa volontà, ha bisogno
di questo impegno! E poi forse una parola particolare sarebbe questa: il coraggio
di decisioni definitive! Nella gioventù c’è molta generosità, ma di fronte al rischio
di impegnarsi per una vita intera, sia nel matrimonio, sia nel sacerdozio, si prova
paura. Il mondo è in movimento in modo drammatico. Continuamente. Posso già fin d’ora
disporre della mia vita intera con tutti i suoi imprevedibili eventi futuri? Con una
decisione definitiva non è forse che lego io stesso la mia libertà e che tolgo qualcosa
alla mia flessibilità? Risvegliare il coraggio di osare decisioni definitive, che
in realtà sono le sole che rendono possibile la crescita, il cammino in avanti e il
raggiungimento di qualcosa di grande nella vita, le sole che non distruggono la libertà,
ma le offrono la giusta direzione nello spazio; rischiare questo, questo salto - per
così dire - nel definitivo, e con ciò accogliere pienamente la vita, questo è qualcosa
che sarei lieto di poter comunicare.
Domanda : Santo Padre, una domanda sulla
situazione della politica estera. La speranza della pace in Medio Oriente, nelle settimane
scorse, è di nuovo diminuita notevolmente. Quali possibilità Lei vede per la Santa
Sede in rapporto alla situazione attuale? Quale influsso positivo Lei può esercitare
sulla situazione, sugli sviluppi nel Medio Oriente?
Benedetto XVI: Naturalmente
non abbiamo alcuna possibilità politica, e noi non vogliamo alcun potere politico.
Ma noi vogliamo appellarci ai cristiani e a tutti coloro che si sentono in qualche
modo uniti alla Santa Sede ed interpellati da essa, affinché vengano mobilitate tutte
le forze che riconoscono che la guerra è la peggiore soluzione per tutti. Non porta
nulla di buono per nessuno, neppure per gli apparenti vincitori. Noi lo sappiamo molto
bene in Europa, in seguito alle due guerre mondiali. Ciò di cui tutti hanno bisogno
è la pace. E vi è una forte comunità cristiana nel Libano, vi sono cristiani fra gli
arabi, vi sono cristiani in Israele, e cristiani di tutto il mondo si impegnano per
questi paesi cari a tutti noi. Vi sono forze morali che sono pronte a far comprendere
che l’unica soluzione è l’imparare a vivere insieme. Queste forze noi vogliamo mobilitare.
Tocca ai politici di trovare poi le strade affinché questo possa avvenire il più presto
possibile e soprattutto in modo durevole.
Domanda : Come Vescovo di Roma Lei
è successore di San Pietro. Il ministero di Pietro come può mostrarsi in modo appropriato
ai tempi d’oggi? E come vede Lei il rapporto di tensione ed equilibrio fra il primato
del Papa da una parte e la collegialità dei Vescovi dall’altra?
Benedetto XVI:
Un rapporto di tensione ed equilibrio naturalmente c’è, deve anche esserci. Molteplicità
e unità devono sempre nuovamente trovare il loro rapporto reciproco e questo rapporto,
nelle mutevoli situazioni del mondo, deve essere ristabilito. Oggi abbiamo una nuova
polifonia delle culture, in cui l’Europa non è più la sola determinante, ma le comunità
cristiane dei diversi continenti stanno acquistando il loro proprio peso, il loro
proprio colore. Dobbiamo imparare sempre nuovamente questa sinergia. Per questo abbiamo
sviluppato diversi strumenti. Le cosiddette “visite ad limina” dei Vescovi, che ci
sono sempre state, vengono ora valorizzate molto di più, per parlare veramente con
tutte le istanze della Santa Sede e anche con me. Io parlo personalmente con ogni
singolo Vescovo. Ho già potuto parlare con quasi tutti i Vescovi dell’Africa e con
molti di quelli dell’Asia. Adesso verranno quelli dell’Europa Centrale, della Germania,
della Svizzera e in questi incontri, in cui appunto Centro e Periferia si incontrano
in uno scambio franco, cresce il corretto rapporto reciproco in una tensione equilibrata.
Abbiamo anche altri strumenti, come il Sinodo, il Concistoro, che io ora terrò regolarmente
e che vorrei sviluppare, in cui anche senza un grande ordine del giorno si possono
discutere insieme i problemi attuali e cercare delle soluzioni. Sappiamo da una parte
che il Papa non è affatto un monarca assoluto, ma che, nell’ascolto collettivo di
Cristo, deve - per così dire – personificare la totalità. Ma la consapevolezza che
occorre un’istanza unificatrice, che crei anche l’indipendenza dalle forze politiche
e garantisca che le cristianità non si identifichino troppo con le nazionalità, questa
consapevolezza appunto, che vi è bisogno di una tale istanza superiore e più ampia,
che crea unità nella integrazione dinamica del tutto, e d’altra parte accoglie, accetta
e promuove la molteplicità, questa consapevolezza è molto forte. Perciò credo che,
in questo senso, vi sia veramente un’adesione intima al ministero petrino nella volontà
di svilupparlo ulteriormente, in modo che risponda sia alla volontà del Signore, sia
ai bisogni dei tempi.
Domanda : La Germania come terra della Riforma è naturalmente
segnata in modo particolare dai rapporti fra le diverse confessioni. I rapporti ecumenici
sono una realtà sensibile, che ogni tanto può trovarsi in difficoltà. Quali possibilità
vede di migliorare il rapporto con la Chiesa evangelica, o quali difficoltà vede su
questa strada?
Benedetto XVI: Forse è importante dire anzitutto che la Chiesa
evangelica presenta una notevole varietà. In Germania abbiamo, se non sbaglio, tre
comunità maggiori: Luterani, Riformati, Unione Prussiana. Inoltre oggi si formano
anche numerose Chiese libere (Freikirchen) e, all’interno delle Chiese classiche,
movimenti come la “Chiesa confessante” e così via. Si tratta quindi anche di un insieme
a molte voci, con il quale, rispettando la molteplicità delle voci, dobbiamo nella
ricerca dell’unità entrare in dialogo e stabilire una collaborazione. La prima cosa
da fare è che in questa società ci preoccupiamo tutti insieme di rendere chiari i
grandi orientamenti etici, di trovarli noi stessi e tradurli, e così garantire la
coesione etica della società, senza la quale essa non può realizzare il fine della
politica, che è la giustizia per tutti, una buona convivenza, la pace. In questo senso
si realizzano già molte cose: di fronte alle grandi sfide morali già ci troviamo ormai
veramente uniti a causa del comune fondamento cristiano. Naturalmente poi si tratta
di testimoniare Dio in un mondo che ha difficoltà a trovarLo, come abbiamo già detto:
di rendere visibile il Dio col volto umano di Gesù Cristo, offrendo così agli uomini
l’accesso a quelle fonti, senza le quali la morale si isterilisce e perde i suoi riferimenti.
Si tratta anche di donare la gioia, perché non siamo isolati in questo mondo. Solo
così nasce la gioia davanti alla grandezza dell’uomo, che non è un prodotto mal riuscito
dell’evoluzione, ma immagine di Dio. Ci dobbiamo muovere su questi due piani – su
quello dei grandi riferimenti etici e su quello che mostra - a partire dall’interno
di tali riferimenti e orientandosi verso di essi - la presenza di Dio, di un Dio concreto.
Se facciamo questo, e se poi soprattutto i singoli raggruppamenti cercano di non vivere
la fede in modo particolaristico, ma sempre a partire dai suoi fondamenti più profondi,
allora, anche se forse non arriveremo così presto a delle manifestazioni esterne di
unità, matureremo però verso un’unità interiore, che se Dio vuole un giorno porterà
anche a forme esterne di unità. Domanda : Tema: la famiglia. Circa un mese
fa Lei era a Valencia per l’Incontro mondiale delle famiglie. Chi ha ascoltato con
attenzione – come abbiamo cercato di fare alla Radio Vaticana – ha notato che Lei
non ha mai pronunciato la parola “matrimoni omosessuali”, non ha mai parlato di aborto,
né di contraccezione. Osservatori attenti si sono detti: interessante! Evidentemente
la sua intenzione è di annunciare la fede e non di girare il mondo come “apostolo
della morale”. Può dirci il Suo commento?
Benedetto XVI: Naturalmente sì.
Anzitutto bisogna dire che io avevo in tutto due volte venti minuti di tempo per parlare.
E se uno ha così poco tempo non può subito cominciare con il dire “No”. Bisogna sapere
prima che cosa veramente vogliamo, non è vero? E il cristianesimo, il cattolicesimo,
non è un cumulo di proibizioni, ma una opzione positiva. Ed è molto importante che
lo si veda nuovamente, poiché questa consapevolezza oggi è quasi completamente scomparsa.
Si è sentito dire tanto su ciò che non è permesso, che ora bisogna dire: Ma noi abbiamo
un’idea positiva da proporre: l’uomo e la donna sono fatti l’uno per l’altra, esiste
– per così dire – una scala: sessualità, eros, agape, che sono le dimensioni dell’amore,
e così si forma dapprima il matrimonio come incontro colmo di felicità di uomo e donna,
e poi la famiglia, che garantisce la continuità fra le generazioni, in cui si realizza
la riconciliazione delle generazioni e in cui si possono incontrare anche le culture.
Anzitutto, dunque, è importante mettere in rilievo ciò che vogliamo. In secondo luogo,
si può poi anche vedere, perché certe cose non le vogliamo. E io credo che occorra
riconoscere che non è un’invenzione cattolica che l’uomo e la donna siano fatti l’uno
per l’altra, affinché l’umanità continui a vivere: lo sanno in fondo tutte le culture.
Per quanto riguarda l’aborto, esso non rientra nel sesto, ma nel quinto comandamento:
“Non uccidere!”. E questo dovremmo presupporlo come ovvio, ribadendo sempre di nuovo:
la persona umana inizia nel seno materno e rimane persona umana fino al suo ultimo
respiro. Perciò deve sempre essere rispettata come persona umana. Ma ciò diventa più
chiaro se prima è stato detto il positivo.
Domanda : Santo Padre, la mia domanda
si collega in certo modo a quella precedente. In tutto il mondo i credenti attendono
dalla Chiesa cattolica risposte ai problemi globali più urgenti, come l’AIDS e la
sovrappopolazione. Perché la Chiesa cattolica insiste tanto sulla morale anteponendola
ai tentativi di soluzione concreta per questi problemi cruciali dell’umanità, ad esempio
nel continente africano?
Benedetto XVI: Già, questo è il problema: insistiamo
veramente tanto sulla morale? Io direi – me ne sono convinto sempre più anche nel
dialogo con i Vescovi africani – che la questione fondamentale, se vogliamo fare dei
passi avanti in questo campo, si chiama educazione, formazione. Il progresso può essere
progresso vero solo se serve alla persona umana e se la persona umana stessa cresce;
se non cresce solo il suo potere tecnico, ma anche la sua capacità morale. E penso
che il vero problema della nostra situazione storica sia lo squilibrio fra la crescita
incredibilmente rapida del nostro potere tecnico e quella della nostra capacità morale,
che non è cresciuta in modo proporzionale. Perciò la formazione della persona umana
è le vera ricetta, la chiave di tutto direi, e questa è anche la nostra via. E questa
formazione ha – per dirla in breve - due dimensioni. Anzitutto naturalmente dobbiamo
imparare: acquisire sapere, capacità, know-how come si suol dire. In questa direzione
l’Europa, e l’America negli ultimi decenni, hanno fatto molto, ed è una cosa importante.
Ma se si diffonde solo know-how, se si insegna solo come si costruiscono e usano le
macchine, e come si impiegano i mezzi di contraccezione, allora non bisogna poi meravigliarsi
che alla fine ci si ritrovi con le guerre e con le epidemie di AIDS. Noi abbiamo bisogno
di due dimensioni: ci vuole allo stesso tempo la formazione del cuore – se così posso
esprimermi – con cui la persona umana acquisisce dei riferimenti e impara così anche
ad usare correttamente la tecnica, che pure ci vuole. Ed è questo che cerchiamo di
fare. In tutta l’Africa e anche in molti paesi dell’Asia abbiamo una grande rete di
scuole di ogni grado, dove anzitutto si può imparare, acquisire vera conoscenza, capacità
professionale, e con ciò raggiungere autonomia e libertà. Ma in queste scuole noi
cerchiamo appunto non solo di comunicare know-how, ma di formare persone umane, che
vogliano riconciliarsi, che sappiano che dobbiamo costruire e non distruggere, e che
abbiano i riferimenti necessari per saper convivere. In gran parte dell’Africa le
relazioni fra musulmani e cristiani sono esemplari. I Vescovi hanno formato comitati
comuni insieme con i musulmani per vedere come creare pace nelle situazioni di conflitto.
E questa rete delle scuole, dell’apprendimento e della formazione umana, che è molto
importante, viene completata da una rete di ospedali e di centri di assistenza, che
raggiunge capillarmente anche i villaggi più remoti. E in molti luoghi, dopo tutte
le distruzioni della guerra, la Chiesa è rimasta l’ultimo potere intatto – non potere,
ma realtà! Una realtà dove si cura, dove si cura anche l’AIDS, e dove, d’altra parte,
si offre un’educazione che aiuta a stabilire i giusti rapporti con gli altri. Perciò
credo che dovrebbe venire corretta l’immagine secondo cui seminiamo attorno a noi
solo dei rigidi “No”. Proprio in Africa si opera molto, perché le diverse dimensioni
della formazione si possano integrare e così diventi possibile il superamento della
violenza e anche delle epidemie, fra cui bisogna contare anche la malaria e la tubercolosi.
Domanda
: Santo Padre, il cristianesimo si è diffuso in tutto il mondo a partire dall’Europa.
Ora, molti che si occupano dell’argomento dicono che il futuro della Chiesa si trova
negli altri continenti. E’ vero? O in altre parole, che futuro ha il cristianesimo
in Europa, dove sembra che esso si stia riducendo a faccenda privata di una minoranza?
Benedetto
XVI: Anzitutto io vorrei introdurre qualche sfumatura. In verità, come sappiamo,
il cristianesimo è sorto nel Vicino Oriente. E per lungo tempo il suo sviluppo principale
è rimasto là e si è diffuso in Asia molto di più di quanto noi oggi pensiamo dopo
i cambiamenti portati dall’Islam. D’altra parte, proprio per questo motivo il suo
asse si è spostato sensibilmente verso l’Occidente e l’Europa, e l’Europa – ne siamo
fieri e ce ne rallegriamo – ha ulteriormente sviluppato il cristianesimo nelle sue
grandi dimensioni anche intellettuali e culturali. Ma credo che sia importante ricordarci
dei cristiani d’Oriente, poiché al momento vi è il pericolo che essi, che sono stati
sempre ancora una minoranza importante, adesso emigrino. E vi è il grande pericolo
che proprio questi luoghi d’origine del cristianesimo rimangano privi di cristiani.
Penso che dobbiamo aiutare molto perché essi possano restare. Ma ora veniamo alla
Sua domanda. L’Europa è diventata certamente il centro del cristianesimo e del suo
impegno missionario. Oggi gli altri continenti, le altre culture, entrano con peso
uguale nel concerto della storia del mondo. Così cresce il numero delle voci della
Chiesa, e questo è bene. E’ bene che si possano esprimere i diversi temperamenti,
i doni propri dell’Africa, dell’Asia e dell’America, in particolare anche dell’America
Latina. Tutti naturalmente sono toccati non solo dalla parola del cristianesimo, ma
anche dal messaggio secolaristico di questo mondo, che porta anche negli altri continenti
la prova dirompente che noi abbiamo subito in noi stessi. Tutti i Vescovi delle altre
parti del mondo dicono: noi abbiamo ancora bisogno dell’Europa, anche se l’Europa
ora è solo una parte di un tutto più grande. Noi abbiamo tuttora una responsabilità
al riguardo. Le nostre esperienze, la scienza teologica che è stata qui sviluppata,
tutta la nostra esperienza liturgica, le nostre tradizioni, anche le esperienze ecumeniche
che abbiamo accumulato: tutto ciò è molto importante anche per gli altri continenti.
Perciò bisogna che noi oggi non capitoliamo dicendo: “Ecco, siamo solo una minoranza,
cerchiamo almeno di conservare il nostro piccolo numero!”. Dobbiamo invece conservare
vivo il nostro dinamismo, aprire rapporti di scambio, cosicché di là vengano anche
forze nuove per noi. Oggi vi sono sacerdoti indiani ed africani in Europa, anche in
Canada, dove molti sacerdoti africani lavorano; è interessante. Vi è questo dare e
ricevere vicendevole. Ma anche se in futuro dovremo essere piuttosto coloro che ricevono,
dovremmo tuttavia rimanere sempre capaci di dare e sviluppare in tal senso il necessario
coraggio e dinamismo.
Domanda : E’ un argomento che è stato già in parte toccato,
Santo Padre. Le società moderne nelle decisioni importanti riguardo alla politica
e alla scienza non si orientano secondo i valori cristiani e la Chiesa – lo sappiamo
dalle inchieste – viene considerata perlopiù solo come una voce ammonitrice o addirittura
frenante. La Chiesa non dovrebbe uscire da questa posizione difensiva e assumere un
atteggiamento più positivo riguardo al futuro e alla sua costruzione?
Benedetto
XVI : Direi che in ogni caso abbiamo il nostro compito di mettere meglio in rilievo
ciò che noi vogliamo di positivo. E questo dobbiamo anzitutto farlo nel dialogo con
le culture e con le religioni, poiché il continente africano, l’anima africana e anche
l’anima asiatica restano sconcertate di fronte alla freddezza della nostra razionalità.
E’ importante dimostrare che da noi non c’è solo questo. E reciprocamente è importante
che il nostro mondo laicista si renda conto che proprio la fede cristiana non è un
impedimento, ma invece un ponte per il dialogo con gli altri mondi. Non è giusto pensare
che la cultura puramente razionale, grazie alla sua tolleranza, abbia un approccio
più facile alle altre religioni. Ad essa manca in gran parte “l’organo religioso”
e con ciò il punto di aggancio a partire dal quale e con il quale gli altri vogliono
entrare in relazione. Perciò dobbiamo, possiamo mostrare che proprio per la nuova
interculturalità, nella quale viviamo, la pura razionalità sganciata da Dio non è
sufficiente, ma occorre una razionalità più ampia, che vede Dio in armonia con la
ragione, dobbiamo mostrare che la fede cristiana che si è sviluppata in Europa è anche
un mezzo per far confluire ragione e cultura e per tenerle insieme in un’unità comprensiva
anche dell’agire. In questo senso credo che abbiamo un grande compito, di mostrare
cioè che questa Parola, che noi possediamo, non appartiene – per così dire – ai ciarpami
della storia, ma è necessaria proprio oggi.
Domanda : Santo Padre, parliamo
dei suoi viaggi. Lei è in Vaticano, forse Le costa essere un po’ lontano dalla gente
e separato dal mondo, anche qui nel bellissimo ambiente di Castel Gandolfo. Ma Lei
fra poco avrà 80 anni. Lei pensa, con l’aiuto di Dio, di poter fare ancora molti viaggi?
Ha un’idea di quali vorrebbe fare? In Terra Santa, in Brasile? Lo sa già?
Benedetto
XVI: A dire il vero non sono così solo. Naturalmente ci sono – per così dire – le
mura che rendono difficile l’accesso, ma c’è una “famiglia pontificia”, ogni giorno
molte visite, in particolare quando sono a Roma. Vengono i Vescovi, altre persone,
ci sono visite di Stato, di personalità che però vogliono parlare con me anche personalmente
e non solo di questioni politiche. In questo senso c’è una molteplicità di incontri
che grazie a Dio mi vengono donati continuamente. Ed è anche importante che la sede
del Successore di Pietro sia un luogo di incontro – non è vero? Dal tempo di Giovanni
XXIII, poi, il pendolo si è spostato anche nell’altra direzione: sono i Papi che hanno
cominciato a fare visite. Devo dire che io non mi sento molto forte tanto da mettere
in agenda ancora molti grandi viaggi, ma dove questi permettono di rivolgere un messaggio,
dove rispondono a un vero desiderio, lì vorrei andare, con il “dosaggio” che mi è
possibile. Qualcosa è già previsto: il prossimo anno in Brasile c’è l’incontro del
CELAM, il Consiglio Episcopale Latino Americano, e penso che lì la mia presenza sia
un passo importante, considerate, da una parte, la vicenda drammatica che l’America
del Sud sta vivendo e, dall’altra parte, tutta la forza di speranza che allo stesso
tempo è operante in quella regione. Poi vorrei andare nella Terra Santa, e spero di
poterla visitare in tempo di pace, e per il resto vedremo che cosa mi riserva la Provvidenza. Domanda
: Mi permetta di insistere. Gli austriaci parlano anche loro tedesco e La aspettano
a Mariazell.
Benedetto XVI : Sì, è stato concordato. Io l’ho promesso semplicemente,
in modo un po’ imprudente. E’ un posto che mi è piaciuto tanto che ho detto: Sì, tornerò
dalla Magna Mater Austriae. Naturalmente questa è diventata subito una promessa, che
io manterrò, e la manterrò volentieri.
Domanda : Insisto ancora. Io La ammiro
ogni mercoledì, quando tiene l’udienza generale. Vengono 50.000 persone. Deve essere
stancante, molto stancante. Lei riesce a resistere?
Benedetto XVI: Sì, il
Buon Dio mi darà la forza necessaria. E quando si vede l’accoglienza cordiale, naturalmente
si rimane incoraggiati.
Domanda : Santo Padre, Lei ha appena detto di aver
fatto una promessa un po’ imprudente. Vuol dire che nonostante il Suo ministero, nonostante
i molti vincoli protocollari, Lei non si lascia portar via la sua spontaneità?
Benedetto
XVI: In ogni caso, io ci provo. Poiché, per quanto le cose siano fissate, io vorrei
cercare di conservare e di realizzare anche qualcosa di propriamente personale.
Domanda
: Santo Padre, le donne sono molto attive in diverse funzioni nella Chiesa cattolica.
Il loro contributo non dovrebbe diventare più chiaramente visibile, anche in posti
di più alta responsabilità nella Chiesa?
Benedetto XVI: Su questo argomento
naturalmente si riflette molto. Come Lei sa, noi riteniamo che la nostra fede, la
costituzione del Collegio degli Apostoli ci impegnino e non ci permettano di conferire
l’ordinazione sacerdotale alle donne. Ma non bisogna neppure pensare che nella Chiesa
l’unica possibilità di avere un qualche ruolo di rilievo sia di essere sacerdote.
Nella storia della Chiesa vi sono moltissimi compiti e funzioni. A cominciare dalle
sorelle dei Padri della Chiesa, per giungere al medioevo, quando grandi donne hanno
svolto un ruolo molto determinante, e fino all’epoca moderna. Pensiamo a Ildegarda
di Bingen, che protestava con forza nei confronti di Vescovi e del Papa; a Caterina
da Siena e a Brigida di Svezia. Così anche nel tempo moderno le donne devono – e noi
con loro – cercare sempre di nuovo il loro giusto posto. Oggi, esse sono ben presenti
nei Dicasteri della Santa Sede. Ma c’è un problema giuridico: quello della giurisdizione,
cioè il fatto che secondo il Diritto Canonico il potere di prendere decisioni giuridicamente
vincolanti è legato all’Ordine sacro. Da questo punto di vista vi sono quindi dei
limiti. Ma io credo che le stesse donne, con il loro slancio e la loro forza, con
la loro – per così dire - preponderanza, con la loro “potenza spirituale”, sapranno
farsi il loro spazio. E noi dovremmo cercare di metterci in ascolto di Dio, per non
essere noi ad opporci a Lui, ma anzi ci rallegriamo che l’elemento femminile ottenga
nella Chiesa il posto operativo che gli conviene, a cominciare dalla Madre di Dio
e da Maria Maddalena.
Domanda: Santo Padre, nei tempi più recenti si parla
di un nuovo fascino del cattolicesimo. Quale è dunque la vitalità e la capacità di
futuro di questa istituzione d’altra parte antichissima?
Benedetto XVI:
Direi che già l’intero pontificato di Giovanni Paolo II ha attirato l’attenzione degli
uomini e li ha riuniti. Ciò che è accaduto in occasione della sua morte rimane qualcosa
di storicamente del tutto speciale: come centinaia di migliaia di persone accorrevano
disciplinatamente verso Piazza San Pietro, stavano in piedi per ore, e mentre avrebbero
dovuto crollare, invece resistevano mosse da una spinta interiore. E poi lo abbiamo
rivissuto in occasione della inaugurazione del mio pontificato e poi a Colonia. E’
molto bello che l’esperienza della comunità diventi allo stesso tempo un’esperienza
di fede; che si sperimenti la comunione non solamente in un luogo qualunque, ma che
essa diventi più viva proprio là dove sono i luoghi della fede, facendo risplendere
nella sua forza luminosa anche la cattolicità. Ovviamente ciò deve perdurare anche
nella vita quotidiana. Le due cose devono andare insieme. Da una parte i grandi momenti,
in cui si sperimenta che è bello partecipare, che il Signore è presente e che noi
formiamo una grande comunità riconciliata aldilà di tutti i confini. Ma poi, naturalmente,
bisogna attingere da questo lo slancio per resistere durante i faticosi pellegrinaggi
attraverso il quotidiano, affrontandoli a partire da questi punti luminosi ed invitando
così anche altri a inserirsi nella comunità in cammino. Ma vorrei cogliere questa
occasione per dire: io mi sento arrossire per tutto ciò che viene fatto in preparazione
della mia visita, per tutto quello che la gente sta facendo. La mia casa è stata dipinta
a nuovo, una scuola professionale ne ha rifatto il recinto. Il professore di religione
evangelico ha collaborato per il mio recinto. E questi sono solo piccoli particolari,
ma sono il segno del moltissimo che viene fatto. Io trovo tutto ciò straordinario,
e non lo riferisco a me stesso, ma lo considero come segno di una volontà di appartenere
a questa comunità di fede e di servirsi tutti l’un l’altro. Dimostrare questa solidarietà
e lasciarci ispirare in questo dal Signore: è qualcosa che mi tocca e per questo vorrei
anche ringraziare di tutto cuore.
Domanda: Santo Padre, Lei ha parlato dell’esperienza
della comunità. Lei verrà ora in Germania già per la seconda volta dopo la Sua elezione.
Con la Giornata Mondiale della Gioventù, e forse anche per altro verso con i campionati
mondiali di calcio, l’atmosfera è in certo senso cambiata. Si ha l’impressione che
i tedeschi siano diventati più aperti al mondo, più tolleranti, più gioiosi. Che
cosa si augura Lei ancora da noi tedeschi?
Benedetto XVI: Direi che naturalmente
già con la fine della seconda guerra mondiale è cominciata una trasformazione interiore
della società tedesca, anche della mentalità tedesca, che tale trasformazione è stata
ancora rafforzata dalla riunificazione. Noi ci siamo inseriti molto più profondamente
nella società mondiale e ovviamente stiamo in certa misura sotto l’influsso della
sua mentalità. E così appaiono anche aspetti del carattere tedesco che prima non ci
si aspettava. E forse siamo stati dipinti un po’ troppo come sempre tutti disciplinati
e riservati, cosa che ha anche un certo fondamento. Ma sono contento se ora emerge
di più e si rende visibile a tutti che i tedeschi non sono solo riservati, puntuali
e disciplinati, ma sono anche spontanei, allegri, ospitali. Questo è molto bello.
Ed allora il mio augurio che queste virtù si sviluppino ulteriormente, ricevendo ancora
slancio e durevolezza dalla fede cristiana.
Domanda : Santo Padre, il Suo
Predecessore ha dichiarato beati e santi un grandissimo numero di cristiani. Alcuni
pensano, perfino un po’ troppi. Qui la mia domanda: le beatificazioni e le canonizzazioni
sono di vantaggio per la Chiesa solo se queste persone possono essere considerate
come veri modelli. La Germania produce relativamente pochi santi e beati in confronto
ad altri paesi. Si può fare qualcosa perché questa dimensione pastorale si sviluppi,
e perché il bisogno di beatificazioni e canonizzazioni dia un vero frutto pastorale?
Benedetto XVI: All’inizio avevo anch’io un poco l’idea che la grande quantità
delle beatificazioni quasi ci schiacciasse e che forse bisognava scegliere di più:
delle figure che entrassero più chiaramente nella nostra coscienza. Nel frattempo
ho decentralizzato le beatificazioni, per rendere ogni volta più visibili queste figure
nei luoghi specifici a cui esse appartengono. Forse un santo del Guatemala interessa
meno noi in Germania e viceversa uno di Altötting forse non trova tanto interesse
a Los Angeles e così via. In questo senso credo che questa decentralizzazione, che
corrisponde anche alla collegialità dell’episcopato, alle sue strutture collegiali,
sia una cosa opportuna proprio in questo punto. I diversi Paesi hanno le loro proprie
figure che lì possono svolgere la loro efficacia. Ho anche osservato che queste beatificazioni
nei diversi luoghi toccano innumerevoli persone e che la gente dice: “Finalmente,
questo è uno di noi!” e va a lui e ne viene ispirata. Il beato appartiene a loro,
e noi siamo contenti che lì ce ne siano molti. E se gradualmente, con lo sviluppo
della società mondiale, anche noi li conosceremo meglio, sarà bello. Ma anzitutto
è importante che anche in questo campo vi sia la molteplicità. E in questo senso
è importante che anche noi in Germania impariamo a conoscere le nostre proprie figure
e a rallegrarci di esse. Parallelamente ci sono poi le canonizzazioni delle figure
più grandi, che sono di rilievo per la Chiesa intera. Io direi che le singole Conferenze
Episcopali dovrebbero scegliere, dovrebbero vedere chi è adatto per noi, chi ci dice
veramente qualcosa, e poi dovrebbero rendere visibili queste figure più significative,
imprimendole nella coscienza mediante la catechesi, la predicazione; forse si potrebbero
anche presentare con un film. Potrei immaginarmi dei film molto belli. Io naturalmente
conosco bene solo i Padri della Chiesa: fare un film su Agostino, anche uno su Gregorio
di Nazianzo e la sua figura molto particolare (il suo fuggire ripetutamente perché
ne aveva abbastanza, e così via) e dimostrare che non ci sono sempre solo le brutte
situazioni attorno a cui girano tanti nostri film, ma ci sono figure meravigliose
della storia, che non sono affatto noiose, ma sono molto attuali. Insomma bisogna
cercare di non caricare eccessivamente la gente, ma di rendere visibili per molti
le figure che sono attuali e che ci ispirano.
Domanda : Storie in cui ci sia
anche humour? Nel 1989 a Monaco Le è stata data l’onorificenza del Karl Valentin
Orden. Quale ruolo hanno nella vita di un Papa lo humour e le leggerezza dell’essere?
Benedetto
XVI: (ride) Io non sono un uomo a cui vengano in mente continuamente delle barzellette.
Ma saper vedere anche l’aspetto divertente della vita e la sua dimensione gioiosa
e non prendere tutto così tragicamente, questo lo considero molto importante, e direi
che è anche necessario per il mio ministero. Un qualche scrittore aveva detto che
gli angeli possono volare, perché non si prendono troppo sul serio. E noi forse potremmo
anche volare un po’ di più, se non ci dessimo così tanta importanza.
Domanda:
Quando si svolge un compito importante come il Suo, Santo Padre, si viene naturalmente
anche molto osservati. Gli altri parlano di Lei. E leggendo sono rimasto colpito da
ciò che dicono molti osservatori, che Papa Benedetto è una personalità diversa dal
Cardinal Ratzinger. Come Lei vede se stesso, se posso permettermi questa domanda?
Benedetto
XVI: Io sono stato già sezionato diverse volte: il professore del primo periodo e
quello del periodo intermedio, il primo Cardinale e quello successivo. Adesso si aggiunge
un altro sezionamento. Naturalmente le circostanze e la situazione e anche gli uomini
influiscono, perché si rivestono responsabilità diverse. Ma – diciamo così – la mia
personalità fondamentale e anche la mia visione fondamentale sono cresciute, ma in
tutto ciò che è essenziale sono rimaste identiche. Sono contento se ora vengono percepiti
anche aspetti che prima non venivano così notati.
Domanda: Si può dire, che
il suo compito le piace, che non è un peso per Lei?
Benedetto XVI: Questo
sarebbe un po’ troppo, perché in realtà è faticoso, ma in ogni caso cerco di trovare
anche in questo la gioia.
Conclusione : Anche in nome dei miei colleghi La
ringrazio molto sinceramente per questo colloquio, per questa “prima mondiale”. Noi
siamo lieti per la sua prossima visita in Germania, in Baviera. Arrivederci.
(Castel
Gandolfo, 5.8.2006) Originale in lingua tedesca.