2006-08-04 15:33:14

Il magistero del Papa sul ministero sacerdotale riproposto nella memoria di San Giovanni Maria Vianney


(4 agosto 2006 - RV) Tra la fine del 17° secolo e la metà del 18°, la Chiesa si arricchisce di una straordinaria figura di sacerdote e di parroco: Giovanni Maria Vianney, passato alla storia come il Santo Curato d’Ars, dal nome del semisconosciuto villaggio francese nel quale visse gran parte della sua vita. La Chiesa ne ricorda oggi la figura, divenuta un simbolo di quali segni di santità possa lasciare nelle anime una vocazione al sacerdozio vissuta con fedeltà ai propri doveri e profondità spirituale. Sin dall’inizio del suo magistero, Benedetto XVI ha colto ogni circostanza per riflettere su questo Sacramento che rende un uomo, consacrato da Dio, capace di parlare e agire in persona Christi. Ripercorriamo allora alcune tappe di questi insegnamenti, nel servizio di Alessandro De Carolis. RealAudioMP3


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“Scelti tra il popolo, costituiti nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati”. Una frase-sintesi, un’icona verbale per qualsiasi sacerdote. A pronunciarla, poco più di due mesi fa a Varsavia, è stato Benedetto XVI, durante l’incontro con il clero polacco. In circa 15 mesi di Pontificato, in diverse occasioni il Papa ha avuto modo di esprimersi sullo spessore spirituale del ministero ordinato e sul ruolo pastorale del sacerdote all’interno della Chiesa. Una catechesi che può essere letta come un “unicum” magisteriale.


“Abbiamo ormai lasciato alle nostre spalle il tempo di quella crisi di identità che ha travagliato tanti sacerdoti”, osserva Benedetto XVI il 13 maggio 2005, a nemmeno un mese dalla propria elezione, nel tradizionale incontro del Vescovo di Roma con il clero della diocesi. “Rimangono però ben presenti – prosegue - quelle cause di ‘deserto spirituale’ che affliggono l’umanità del nostro tempo e conseguentemente minano anche la Chiesa che vive in questa umanità. Come non temere che esse possano insidiare anche la vita dei sacerdoti? È indispensabile, dunque, ritornare sempre di nuovo alla radice del nostro sacerdozio. Questa radice, come ben sappiamo, è una sola: Gesù Cristo Signore”:


“Questa, cari amici, è anche la vera natura del nostro sacerdozio. In realtà, tutto ciò che è costitutivo del nostro ministero non può essere il prodotto delle nostre capacità personali. Questo vale per l’amministrazione dei Sacramenti, ma vale anche per il servizio della Parola: siamo mandati non ad annunciare noi stessi o nostre opinioni personali, ma il mistero di Cristo e, in Lui, la misura del vero umanesimo. Siamo incaricati non di dire molte parole, ma di farci eco e portatori di una sola ‘Parola’, che è il Verbo di Dio fatto carne per la nostra salvezza”.


Il sacerdote, ripete in più occasioni il Papa, fa parte di quella schiera prediletta che Cristo un giorno ha stretto attorno a sé. Una schiera di amici. “Per questa amicizia dobbiamo impegnarci ogni giorno di nuovo”, dice nella Messa crismale del Giovedì Santo di quest’anno. Naturalmente, riconosce in un’altra occasione, una tale “dedizione ha per ciascuno di voi, di noi, un costo personale, significa tempo, preoccupazioni, dispendio di energie. Conosco questa vostra fatica quotidiana e voglio ringraziarvi, da parte del Signore. Ma vorrei anche aiutarvi, in quanto posso, a non cedere sotto questa fatica”. Per vivere in pienezza la propria vocazione, ogni sacerdote sa bene quali siano anzitutto le fonti da cui trarre vigore spirituale e umano: l’Eucaristia quotidiana, l’adorazione:

“Il sacerdote deve essere soprattutto un uomo di preghiera. Il mondo nel suo attivismo frenetico perde spesso l'orientamento. Il suo agire e le sue capacità diventano distruttive, se vengono meno le forze della preghiera, dalle quali scaturiscono le acque della vita capaci di fecondare la terra arida”.


Sacerdoti come uomini che irrigano terre riarse, in altre parole: che donano la vita. Il 5 febbraio di quest’anno, la cronaca ne offre un drammatico esempio. A Trabson, in Turchia, un sedicenne uccide don Andrea Santoro, sacerdote “fidei donum” della diocesi di Roma. Il 2 marzo, davanti alla comunità del clero capitolino, Benedetto XVI afferma: “Abbiamo il luminoso esempio di Don Andrea, che ci mostra l'"essere" sacerdote sino in fondo: morire per Cristo nel momento della preghiera e così testimoniare, da una parte, l'interiorità della propria vita con Cristo e, dall'altra, la propria testimonianza per gli uomini (…) È una testimonianza che ispira tutti a seguire Cristo, a dare la vita per gli altri e a trovare proprio così la Vita”.


E’ questa la “pasta” autentica del sacerdote come alter Christus. Il Papa, quasi come un vademecum, ne coglie le singole parti di eccellenza che compongono o dovrebbero la fibra sacerdotale ideale. Lo fa al cospetto dei sacerdoti polacchi, nella cattedrale di Varsavia, lo scorso 25 maggio 2006, con una serie di suggerimenti pastorali: “Siate accessibili nelle parrocchie e nei confessionali, accompagnate i nuovi movimenti e le associazioni, sostenete le famiglie, non trascurate il legame con i giovani, ricordatevi dei poveri e degli abbandonati”:

“Siate autentici nella vostra vita e nel vostro ministero. Fissando Cristo, vivete una vita modesta, solidale con i fedeli a cui siete mandati. Servite tutti; Se vivrete di fede, lo Spirito Santo vi suggerirà cosa dovrete dire e come dovrete servire”.


Del resto, pochi istanti prima, Benedetto XVI aveva osservato:

“Dai sacerdoti i fedeli attendono soltanto una cosa:  che siano degli specialisti nel promuovere l'incontro dell'uomo con Dio. Al sacerdote non si chiede di essere esperto in economia, in edilizia o in politica. Da lui ci si attende che sia esperto nella vita spirituale”.


Nella filigrana della vocazione al sacerdozio si coglie dunque il senso della missionarietà della Chiesa. Nel suo primo dialogo con il clero romano del maggio 2005, Benedetto XVI risponde ad un’obiezione sull’argomento mettendo in risalto una contraddizione. “Da molti – asserisce - ci viene indicata la tentazione di pensare così riguardo agli altri: ‘Ma perché non li lasciamo in pace? Hanno la loro autenticità, la loro verità. Noi abbiamo la nostra. Dunque, conviviamo pacificamente, lasciando ciascuno com'è, affinché cerchi nel miglior modo la sua autenticità’”:


“Ma se siamo convinti e abbiamo l'esperienza del fatto che senza Cristo la vita è incompleta, manca una realtà, la realtà fondamentale, dobbiamo anche essere convinti che non facciamo torto a nessuno se gli mostriamo Cristo e gli offriamo la possibilità di trovare così anche la sua vera autenticità, la gioia di aver trovato la vita”.
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