2006-05-12 16:22:14

25 anni fa l'attentato contro Giovanni Paolo II. Manifestazione domani in San Pietro


(12 maggio 2006 - RV) Poco dopo le cinque del pomeriggio di 25 anni fa – era il 13 maggio 1981 – la Chiesa nei cinque continenti e non solo fu scossa da una notizia impensabile: un uomo aveva sparato per uccidere il Papa. Piazza San Pietro prima e il Policlinico Gemelli poi, divennero i due luoghi del dramma dell’attentato a Giovanni Paolo II. A quell’evento fortemente mediatico - che consegnò alla memoria collettiva l’incredibile sequenza di un Papa ferito a morte - si legarono successivamente la storia di un perdono e più ancora di una straordinaria intercessione mariana, alla quale Giovanni Paolo II attribuì sempre la propria salvezza. La ricostruzione di quel giorno e di quel periodo, nel servizio di Alessandro De Carolis. RealAudioMP3
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“La Divina Provvidenza mi ha salvato in modo miracoloso dalla morte. Colui che è unico Signore della vita e della morte Lui stesso mi ha prolungato questa vita, in un certo modo me l’ha donata di nuovo. Da questo momento essa ancora di più appartiene a Lui”.
Non finì di stupirsi, Giovanni Paolo II, per quel che gli accadde il 13 maggio 1981. Le parole appena ascoltate, scritte il 17 marzo del 2000, sono tratte dal testamento reso noto dopo la sua morte. Una morte che un soleggiato pomeriggio arrivò a un passo dal troncare per sempre il respiro del “Vescovo vestito di bianco”, del “Papa venuto da lontano”.
(musica)
Due reliquie, insolite per un capo della Chiesa, testimoniano ancora oggi ciò che avvenne in quel giorno di imprevista follia. Una fascia forata da una pallottola calibro nove nel Santuario di Jasna Gora. E il proiettile stesso, passato da oggetto di morte a ex voto, incastonato nella corona posta sul capo della statua della Madonna di Fatima. Il 13 maggio 1981, il Papa polacco aveva in cuore di parlare alla folla in Piazza San Pietro dei 90 anni della Rerum Novarum di Leone XIII e di annunciare la nascita del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Parole passate agli archivi e mai pronunciate. Di quel 13 maggio, un destino ancora oscuro nella sua trama criminale, ma compreso con serena meraviglia in seguito, lascia a Giovanni Paolo II immagini di sorrisi, acclamazioni d’affetto, strette di mano, il bacio ad una bambina. E una pistola che sbuca sopra le teste:
“La folla è tutta in piedi. Non commenta quasi la scena tragica cui ha assistito. Sono quasi tutti in silenzio. Aspettano notizie. Udienza generale troncata da quattro-cinque spari in rapida successione. Il Santo Padre è stato evidentemente, certamente colpito. Lo abbiamo visto sdraiato nella vetturetta scoperta che è entrata in velocità dentro il Vaticano (...)”
Lo sconcerto di Benedetto Nardacci, il cronista della Radio Vaticana quel giorno in servizio per l’udienza, è lo stesso della folla. L’ora dello sparo, le 17.17, è passata da pochi secondi e le acclamazioni ammutolite sono diventale sgomento e lacrime, sopra le quali sfuma la corsa pazza di un’ambulanza.
(suono sirene)
“Per la prima volta si parla di terrorismo anche in Vaticano. Si parla di terrorismo in una città dove sono sempre partiti messaggi di amore, messaggi di concordia, messaggi di pacificazione”.
Il giovane Papa, che ha già girato per mezzo mondo in pochi anni, è moribondo al Policlinico Gemelli di Roma. Anche per la Chiesa sono cinque ore d’agonia, quelle dell’intervento, che poi vira in speranza e quindi in attesa del suo ritorno. Il Papa è salvo. Il tempo del ricovero si prolungherà per un mese. Ma già quattro giorni dopo l’attentato, domenica 17, Giovanni Paolo II, vincendo reticenze e ammodernando in un colpo secolari riservatezze protocollari, chiede un microfono e recita l’Angelus dal suo letto d’ospedale. Con una sorpresa, o forse no: il Papa ferito trova subito il perdono per Alì Agca, il 22.enne turco dai mandanti misteriosi, che lo ha costretto in fin di vita:
“Prego per il fratello che mi ha colpito e al quale ho sinceramente perdonato”.
No, non ha mai finito di stupirsi, Giovanni Paolo II, per quel che gli accadde il 13 maggio 1981. Il 7 ottobre successivo, quando il filo del suo contatto con la gente spezzato da quei colpi di pistola si riannoda con la ripresa delle udienze generali, c’è la prima traduzione di un sentimento del gratitudine attraverso le parole della Scrittura: “Una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui”. Dice il Papa: “Ho sperimentato, cari fratelli e sorelle, in modo simile a Pietro segregato e destinato alla morte, l’efficacia delle preghiere della Chiesa”.
Il 13 maggio 1982, un anno dopo l’attentato, Papa Wojtyla è a Fatima per dire un grazie speciale. Lui non ha mai avuto dubbi di dovere la salvezza alla Vergine apparsa ai tre pastorelli nel 1917. “Ho visto in tutto ciò che mi stava succedendo una speciale protezione materna della Madonna – afferma quel giorno dal Santuario portoghese - In questa ora, qui nel santuario di Fatima, voglio ripetere adesso davanti a tutti voi: Totus Tuus - "tutto tuo" o Madre!”. E ancora, il 13 maggio 1994, in un messaggio ai vescovi italiani, ricordo, preghiera e filiazione mariana si fondono in un’ulteriore consapevolezza: “Fu una mano materna a guidare la traiettoria della pallottola e il Papa agonizzante si fermò sulla soglia della morte ... Il proiettile mortale si fermò e il Papa vive - vive per servire!”.
Da quel giorno di paura e rinascita, “il vescovo vestito di bianco” visto cadere come morto ai piedi di una grande croce – secondo la descrizione della terza parte del segreto di Fatima resa nota durante il Giubileo del 2000 – ha continuato a vivere altri 24 anni a servire la Chiesa. Nell’assistere alla prima del fiction televisiva dedicata a Giovanni Paolo II, il 30 marzo scorso, Benedetto XVI affermò:
“Impietriti, come se fossimo presenti, abbiamo riudito gli spari del tragico attentato in Piazza San Pietro del 13 maggio 1981. Dall'insieme è emersa la figura di un instancabile profeta di speranza e di pace, che ha percorso i sentieri del globo per comunicare il Vangelo a tutti. Sono tornate alla mente le sue parole vibranti (…) parole di coraggio e di denuncia verso la società consumistica e la cultura edonistica, protesa a costruire un benessere semplicemente materiale che non può soddisfare le attese profonde del cuore umano”.
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Sono numerose le manifestazioni che ricorderanno il 25° anniversario dell’attentato a Giovanni Paolo II. In particolare domani mattina il cardinale Stanislao Dziwisz, già segretario di Papa Wojtyla, presiederà una Messa solenne nel Santuario di Fatima. E sempre per domani l’Opera Romana Pellegrinaggi promuove una serie di manifestazioni, tra cui la processione da Castel Sant’Angelo a San Pietro con la statua pellegrina della Madonna di Fatima, a partire dalle 14.30. Il cardinale vicario Camillo Ruini presiederà nella Basilica Vaticana una Messa solenne alle 17.00 seguita da un’altra manifestazione in Piazza San Pietro. Ma ascoltiamo il promotore di questa giornata, mons. Liberio Andreatta, amministratore delegato dell’Opera Romana Pellegrinaggi. Giovanni Peduto gli ha chiesto cosa gli resta nel cuore di quel 13 maggio 1981: RealAudioMP3
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R. – Rimane nel cuore sempre una grande ferita e cioè quel giorno fu per tutti noi un giorno di grande dolore, di grande sofferenza, di sbigottimento. Il fatto che poi lui abbia superato quell’attentato e che sia tornato in maniera forte, energica, profetica a seguire la Chiesa questo ci rallegra molto. Noi lo vogliamo ricordare domani sera, proprio più o meno alla stessa ora, nel luogo dove è avvenuto l’attentato, con la presenza della statua della Madonna di Fatima. Lui era molto legato alla Vergine di Fatima e a Lei ha attribuito la grazia per aver avuto salva la vita: ricordiamo le parole del Papa: una mano ha colpito e un’altra ha deviato la pallottola.
D. – Cosa è rimasto nel cuore dei fedeli di quel giorno?
R. – Rimane soprattutto il ricordo di un Papa che ha affidato tutta la sua vita a Maria. Quel “Totus Tuus”, quel ‘io sono tutto tuo’ lo ha manifestato per una vita intera, ma lo ha soprattutto espresso in quella devozione verso la Madonna e in quel riconoscimento che lui ha voluto dare alla Vergine di Fatima, l’intervento veramente divino e misterioso di Dio attraverso l’intercessione di Maria, Madre di Dio, Madre della Chiesa, che lui sentiva veramente sua Madre.
D. – Cosa si augura per questa Giornata?
R. – L’auspicio è che i pellegrini che vengono tornino a casa col cuore riempito di gioia e che sappiano che il Vangelo, la devozione a Maria e che soprattutto la fede in Cristo è una grande risposta di gioia e di serenità e d’amore in un mondo pervaso da terrorismo, da guerre, da paure, da forme di solitudine. Vorrei che domani sentissero forte i pellegrini il “non abbiate paura”, parole che Giovanni Paolo II più volte ha ripetuto, e che Benedetto XVI ha voluto ricordare nella sua elezione a Pontefice. Sono le parole del Vangelo: “Non abbiate paura”. Se ci sono tempi bui, se ci sono tempi tristi, se c’è una grande solitudine, se abbiamo nel cuore la tristezza, se abbiamo un dolore in famiglia, una sofferenza nel cuore, sappiamo che gli uomini ci possono abbandonare, Dio no, Maria no, è sempre con noi.
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