Predica del P. Raniero Cantalamessa nella Celebrazione della Passione del Signore
(testo integrale)
“Dio dimostra il suo amore per noi” 1.
“Siate, cristiani, a muovervi più gravi!” “Verranno giorni in cui non si sopporterà
più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa di nuovo, gli uomini si
circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla
verità per volgersi alle favole” (2 Tim 4,3-4). Questa parola della Scrittura
–soprattutto l’accenno al prurito di udire cose nuove - si sta realizzando in modo
nuovo e impressionante ai nostri giorni. Mentre noi celebriamo qui il ricordo della
passione e morte del Salvatore, milioni di persone sono indotte da abili rimaneggiatori
di leggende antiche a credere che Gesú di Nazareth non è, in realtà, mai stato crocifisso.
“È una costatazione poco lusinghiera per la natura umana, scriveva anni fa il
più grande studioso biblico della storia della Passione, Raymond Brown: quanto più
fantastico è lo scenario immaginato, tanto più sensazionale è la propaganda che riceve
e più forte l’interesse che suscita. Persone che non si darebbero mai la pena di leggere
un’analisi seria delle tradizioni storiche sulla passione, morte e risurrezione di
Gesú, sono affascinate da ogni nuova teoria secondo cui egli non fu crocifisso e non
morì, specialmente se il seguito della storia comprende la sua fuga con Maria Maddalena
verso l’India [o verso la Francia, secondo la versione più aggiornata]…Queste teorie
dimostrano che quando si tratta della Passione di Gesú, a dispetto della massima popolare,
la fantasia supera la realtà, ed è, ahimè, anche più redditizia”. Si fa un gran
parlare del tradimento di Giuda e non ci si accorge che lo si sta rinnovando. Cristo
viene ancora venduto, non più ai capi del sinedrio per trenta denari, ma a editori
e librai per miliardi di denari… Nessuno riuscirà a fermare quest’ondata speculativa,
che anzi registrerà un’impennata con l’uscita imminente di un certo film, ma essendomi
occupato per anni di Storia delle origini cristiane sento il dovere di attirare l’attenzione
su un equivoco madornale che è al fondo di tutta questa letteratura pseudo-storica.
L’equivoco consiste nel fatto che si utilizzano degli scritti apocrifi del II-III
secolo (Vangelo di Tommaso, di Filippo, di Giuda) per far dire loro esattamente il
contrario di quello che intendevano. Essi fanno parte della letteratura gnostica.
Per la gnosi il mondo materiale è una illusione e una prigione; Cristo non è morto
sulla croce, per il semplice motivo che non aveva mai assunto, se non in apparenza,
un corpo umano, essendo questo indegno di Dio (docetismo); se in uno di tali scritti,
di cui si è fatto gran parlare nei giorni scorsi, egli stesso ordina a Giuda di
tradirlo è perché, morendo, lo spirito divino che è in lui potrà finalmente liberarsi
dell’involucro della carne e risalire al cielo. La donna si salverà solo se il “principio
femminile” (thelus) da essa impersonato, si trasformerà nel principio maschile,
cioè se cesserà di essere donna. Si capisce perché la setta dei manichei adottarono
tali vangeli come le proprie scritture. La cosa buffa è che oggi c’è chi crede
di vedere in questi scritti l’esaltazione del principio femminile, della sessualità,
del pieno e disinibito godimento di questo mondo materiale, in polemica con la Chiesa
ufficiale che avrebbe sempre conculcato tutto ciò! Lo stesso equivoco che si nota
a proposito della dottrina della reincarnazione. Presente nelle religioni orientali
come una punizione dovuta a precedenti colpe e come la cosa a cui si anela a porre
fine con tutte le forze, essa è accolta in occidente come una meravigliosa possibilità
di tornare a vivere e a godere indefinitamente di questo mondo. Sono cose che non
meriterebbero di essere trattate in questo luogo e in questo giorno, ma non possiamo
permettere che il silenzio dei credenti venga scambiato per imbarazzo e che la buona
fede (o la dabbenaggine?) di milioni di persone venga grossolanamente manipolata dai
media, senza alzare un grido di protesta in nome non solo della fede, ma anche del
buon senso e della sana ragione. È il momento, credo, di riascoltare l’ammonimento
di Dante Alighieri: “Siate, Cristiani, a muovervi più gravi: non
siate come penna ad ogni vento, e non crediate ch'ogni acqua vi lavi.
Avete il novo e 'l vecchio Testamento, e 'l pastor de la Chiesa che vi guida;
questo vi basti a vostro salvamento…
Uomini siate, e non pecore matte ”. 2.
La Passione ha preceduto l’Incarnazione! Ma lasciamo da parte queste fantasie che
hanno tutte una spiegazione comune: siamo nell’era dei media e ai media, più che la
verità, interessa la novità. Concentriamoci sul mistero che stiamo celebrando.
Il modo migliore di riflettere, quest’anno, sul mistero del Venerdì santo sarebbe
di rileggere per intero la prima parte dell’enciclica del papa “Deus caritas est”.
Non potendo farlo qui, vorrei almeno commentare alcuni suoi passaggi che più direttamente
si riferiscono al mistero di questo giorno. Leggiamo nell’enciclica: “Lo sguardo
rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni, è stato il punto di
partenza di questa Lettera enciclica: ‘Dio è amore‘. È lì che tale verità può essere
contemplata. E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l'amore. A partire da
questo sguardo, il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare”. Sì,
Dio è amore! Se tutte le Bibbie del mondo, è stato detto, andassero distrutte per
qualche cataclisma o furore iconoclasta e ne rimanesse soltanto una copia; e anche
questa copia fosse così danneggiata che solo una pagina fosse ancora intera, e anche
questa pagina fosse così stropicciata che solo una riga si potesse ancora leggere:
se tale riga è la riga della Prima lettera di Giovanni dove è scritto “Dio è amore!”,
tutta la Bibbia sarebbe salva, perché tutto è contenuto lì. Dio è amore, e la croce
di Cristo ne è la prova suprema, la dimostrazione storica. Vi sono due modi di manifestare
il proprio amore verso qualcuno, diceva un autore dell’oriente bizantino, Nicola Cabasilas.
Il primo consiste nel fare del bene alla persona amata, nel farle doni; il secondo,
molto più impegnativo, consiste nel soffrire per essa. Dio ci ha amato nel primo modo,
con amore cioè di munificenza, nella creazione, quando ci ha riempito di doni, dentro
e fuori di noi; ci ha amati di amore di sofferenza nella redenzione, quando ha inventato
il proprio annientamento, soffrendo per noi i più terribili patimenti, al fine di
convincerci del suo amore. Per questo è sulla croce che si deve contemplare ormai
la verità che “Dio è amore”. La parola “passione” ha due significati: può indicare
un amore veemente, “passionale”, oppure una sofferenza mortale. C’è una continuità
tra le due cose e l’esperienza quotidiana mostra quanto facilmente da una si passa
all’altra. Così è stato anche, e prima di tutto, in Dio. C’è una passione –ha scritto
Origene - che precede l’incarnazione. È “la passione d’amore” che Dio da sempre nutre
verso il genere umano e che, nella pienezza dei tempi, l’ha portato a venire sulla
terra e patire per noi. 3. Tre ordini di grandezza
L’enciclica “Deus caritas
est” ci indica un nuovo modo di fare apologia della fede cristiana, forse l’unico
possibile oggi e certamente il più efficace. Non contrappone i valori soprannaturali
a quelli naturali, l’amore divino all’amore umano, l‘eros e l’agape,
ma ne mostra l’originaria armonia, sempre da riscoprire e da risanare, a causa del
peccato e della fragilità umana. “L'eros, scrive il papa,vuole sollevarci
‘in estasi’ verso il Divino, condurci al di là di noi stessi, ma proprio per questo
richiede un cammino di ascesa, di rinunce, di purificazioni e di guarigioni”. Il vangelo
è, sì, in concorrenza con gli ideali umani, ma nel senso letterale che con-corre
alla loro realizzazione. Non esclude l’eros dalla vita, ma il veleno dell’egoismo
dall’eros.
Vi sono tre ordini di grandezza, ha detto Pascal in un celebre
pensiero. Il primo è l’ordine materiale o dei corpi: in esso eccelle chi ha molti
beni, chi è dotato di forza atletica o bellezza fisica. È un valore da non disprezzare,
ma il più basso. Sopra di esso c’è l’ordine del genio e dell’intelligenza in cui si
distinguono i pensatori, gli inventori, gli scienziati, gli artisti, i poeti. Questo
è un ordine di qualità diversa. Al genio non aggiunge e non toglie nulla l’essere
ricco o povero, bello o brutto.
Questo del genio è un valore certamente più
alto del precedente, ma non ancora il supremo. Sopra di esso c’è un altro ordine di
grandezza, ed è l’ordine dell’amore, della bontà. (Pascal lo chiama l’ordine della
santità e della grazia). Una goccia di santità, diceva Gounod, vale più di un oceano
di genio. Al santo non aggiunge e non toglie nulla l’essere bello o brutto, dotto
o illetterato. La sua grandezza è di un ordine diverso.
Il cristianesimo appartiene
a questo terzo livello. Nel romanzo Quo vadis, un pagano chiede all’apostolo
Pietro appena giunto a Roma: “Atene ci ha donato la sapienza, Roma la potenza; la
vostra religione cosa ci offre? E Pietro risponde: l’amore! L’amore è la cosa più
fragile che esista al mondo; viene rappresentato, ed è, come un bambino. Lo si può
uccidere con nulla, come - lo abbiamo visto con orrore in Italia nelle passate settimane
-, si può fare con un bambino. Ma cosa diventano la potenza e la scienza, la forza
e il genio, senza l’amore e la bontà? Diventano Auschwitz, Hiroshima e Nagasaki, il
terrorismo e tutto il resto che conosciamo bene.
4. Amore che perdona
“L’eros
di Dio per l’uomo –prosegue l’enciclica – è insieme totalmente agape. Non soltanto
perché viene donato del tutto gratuitamente, senza alcun merito precedente, ma anche
perché è amore che perdona” (nr. 10).
Anche questa qualità rifulge nel massimo
grado nel mistero della croce. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la
vita per i propri amici”, aveva detto Gesú nel cenacolo (Gv 15,13). Verrebbe da esclamare:
Sì che esiste, o Cristo, un amore più grande che dare la vita per i propri amici.
Il tuo! Tu non hai dato la vita per i tuoi amici, ma per i tuoi nemici! Paolo dice
che a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto, però si trova. “Ci
può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il
suo amore verso di noi perché mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per
gli empi nel tempo stabilito” (Rom 5, 6-8).
Ma non si tarda a scoprire che
il contrasto è solo apparente. La parola “amici” in senso attivo indica coloro che
ti amano, ma in senso passivo indica coloro che sono amati da te. Gesù chiama Giuda
“amico” (Mt 26, 50) non perché Giuda lo amasse, ma perché lui lo amava! Non c’è amore
più grande che dare la propria vita per i nemici, considerandoli amici: ecco il senso
della frase di Gesù. Gli uomini possono essere, o atteggiarsi, a nemici di Dio, Dio
non potrà mai essere nemico dell’uomo. È il terribile vantaggio dei figli sui padri
(e sulle madri). Dobbiamo riflettere in che modo, concretamente, l’amore di Cristo
sulla croce può aiutare l’uomo d’oggi a trovare, come dice l’enciclica, “la strada
del suo vivere e del suo amare”. Esso è un amore di misericordia, che scusa e perdona,
che non vuole distruggere il nemico, ma semmai l’inimicizia (cfr. Ef 2, 16). Geremia,
il più vicino tra gli uomini al Cristo della Passione, prega Dio dicendo: “Possa io
vedere la tua vendetta su di loro” (Ger 11, 20); Gesú muore dicendo: “Padre, perdona
loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).
È proprio di questa misericordia
e capacità di perdono che abbiamo bisogno oggi, per non scivolare sempre più nel baratro
di una violenza globalizzata. L'Apostolo scriveva ai Colossesi: “Rivestitevi, come
amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti (alla lettera: di viscere!) di misericordia,
di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, sopportandovi a vicenda e perdonandovi
scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come
il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi” (Col 3, 12-13).
Avere misericordia
significa impietosirsi (misereor) nel cuore (cordis) a riguardo del
proprio nemico, capire di che pasta siamo fatti tutti quanti e quindi perdonare. Cosa
potrebbe succedere se, per un miracolo della storia, nel Vicino Oriente, i due popoli
da decenni in lotta, anziché alle colpe, cominciassero a pensare gli uni alla sofferenza
degli altri, a impietosirsi gli uni degli altri. Non sarebbe più necessario nessun
muro di divisione tra loro. La stessa cosa si deve dire di tanti altri conflitti in
atto nel mondo, compresi quelli tra le diverse confessioni religiose e chiese cristiane.
Quanta
verità nel verso del nostro Pascoli: “Uomini, pace! Nella prona terra troppo è il
mistero”. Un comune destino di morte incombe su tutti. L’umanità è avvolta da tanta
oscurità e piegata (“prona”) sotto tanta sofferenza che dovremmo pure avere un po’
di compassione e di solidarietà gli uni per gli altri! 5. Il dovere di amare C’è
un altro insegnamento che ci viene dall’amore di Dio manifestato nella croce di Cristo.
L’amore di Dio per l’uomo è fedele ed eterno: “Ti ho amato di amore eterno”, dice
Dio all’uomo nei profeti (Ger 31, 3), e ancora: “Alla mia fedeltà non verrò mai meno”
(Sal 89, 34). Dio si è legato ad amare per sempre, si è privato della libertà di tornare
indietro. È questo il senso profondo dell’alleanza che in Cristo è divenuta “nuova
ed eterna”.
Nell’enciclica papale leggiamo: “Fa parte degli sviluppi dell'amore
verso livelli più alti, verso le sue intime purificazioni, che esso cerchi ora la
definitività, e ciò in un duplice senso: nel senso dell'esclusività — ‘solo quest'unica
persona’ — e nel senso del ‘per sempre’. L'amore comprende la totalità dell'esistenza
in ogni sua dimensione, anche in quella del tempo. Non potrebbe essere diversamente,
perché la sua promessa mira al definitivo: l'amore mira all'eternità”.
Nella
nostra società ci si domanda sempre più spesso che rapporto ci può essere tra l’amore
di due giovani e la legge del matrimonio; che bisogno ha di “vincolarsi” l’amore che
è tutto slancio e spontaneità. Così sono sempre più numerosi coloro che rifiutano
l’istituzione del matrimonio e scelgono il cosiddetto amore libero o la semplice convivenza
di fatto. Solo se si scopre il profondo e vitale rapporto che c’è tra legge e amore,
tra decisione e istituzione, si può rispondere correttamente a quelle domande e dare
ai giovani un motivo convincente per “legarsi” ad amare per sempre e a non aver paura
di fare dell’amore un “dovere”.
“Soltanto quando c’è il dovere di amare,
-ha scritto il filosofo che, dopo Platone, ha scritto le cose più belle sull’amore,
Kierkegaard -, allora soltanto l’amore è garantito per sempre contro ogni alterazione;
eternamente liberato in beata indipendenza; assicurato in eterna beatitudine contro
ogni disperazione”.Il senso di queste parole è che la persona che ama, più ama intensamente,
più percepisce con angoscia il pericolo che corre il suo amore. Pericolo che non viene
da altri, ma da lei stessa. Essa sa bene infatti di essere volubile e che domani,
ahimè, potrebbe già stancarsi e non amare più o cambiare l’oggetto del suo amore.
E poiché, adesso che è nella luce dell’amore, vede con chiarezza quale perdita irreparabile
questo comporterebbe, ecco che si premunisce “legandosi” ad amare con il vincolo del
dovere e ancorando, in tal modo all’eternità il suo atto d’amore posto nel tempo.
Ulisse voleva giungere a rivedere la sua patria e la sua sposa, ma doveva
passare attraverso il luogo delle Sirene che ammaliavano i naviganti con il loro canto
e li portavano a schiantarsi contro gli scogli. Cosa fece? Si fece legare all’albero
della nave, dopo aver turato le orecchie con cera ai compagni. Giunto sul luogo, ammaliato,
gridava per essere sciolto e raggiungere le Sirene, ma i compagni non potevano udirlo
e così poté rivedere la sua patria e riabbracciare la sposa e il figlio. È un mito,
ma aiuta a capire il perché, anche umano ed esistenziale, del matrimonio “indissolubile”
e, su un piano diverso, dei voti religiosi.
Apparendo, un giorno della settimana
santa, alla Beata Angela da Foligno, Cristo le disse una parola divenuta celebre:
“Non ti ho amato per gioco!”. Cristo non ci ha amato davvero per gioco. C’è una dimensione
ludica e giocosa nell’amore, ma esso stesso non è un gioco; è la cosa più seria e
più carica di conseguenze che esista al mondo; la vita umana dipende da esso. Eschilo
paragona l’amore a un leoncello che si alleva in casa, “docile e tenero dapprima più
d’un fanciullo”, con il quale si può anche scherzare, ma che, crescendo, è capace
di fare strage e lordare la casa di sangue.
Queste considerazioni non basteranno
a mutare la cultura in atto che esalta la libertà di cambiare e la spontaneità del
momento, la pratica dell’”usa e getta” applicata anche all’amore. Ma che almeno servano
a confermare della bontà e bellezza della propria scelta coloro che hanno deciso di
vivere l’amore tra l’uomo e la donna secondo il progetto di Dio e serva a invogliare
tanti giovani a fare la stessa scelta.
Terminiamo con la preghiera che lo
stesso filosofo citato, grande credente e innamorato di Cristo, antepone alla sua
opera sull’amore: “Come si potrebbe convenientemente parlare dell’amore se fossi dimenticato
tu, nostro Salvatore e Redentore, che hai dato te stesso per salvarci tutti? Come
si potrebbe parlare convenientemente dell’amore, se ci dimenticassimo di te, o Spirito
Santo, che tieni vivo quel sacrificio d’amore e rammenti al credente l’obbligo di
amarti e di amare il prossimo come se stesso?” . Come si potrebbe parlare dell’amore,
se ci dimenticassimo di te, o Padre buono, che non hai risparmiato il tuo stesso Figlio,
ma lo hai dato per tutti noi?
Predica del Venerdì Santo 2006 nella Basilica
di S. Pietro del Predicatore della Casa Pontificia P. Raniero
Cantalamessa, ofmcap.