2006-01-27 18:15:33

INVITANO


KAMPALA, 27 gen. - I vescovi dell’Uganda esprimono la loro forte opposizione alle norma sul diritto all’aborto contenute nel Protocollo sui Diritti delle Donne in Africa (conosciuto anche come Protocollo di Maputo) adottato dalla seconda Sessione ordinaria dell’Unione Africa a Maputo l’11 luglio 2003. Il Protocollo di Maputo non è stato ancora ratificato dal Parlamento ugandese. Per questo motivo la Conferenza Episcopale Ugandese ha pubblicato, il 19 gennaio, una “Lettera aperta al governo e al popolo dell’Uganda sulla ratifica del Protocollo della Carta dei Diritti degli Individui e dei Popoli: sui diritti delle donne in Africa”.

La norma del Protocollo che ha suscitato l’opposizione della Chiesa cattolica è quella contenuta nell’articolo 14 al paragrafo 2c che stabilisce di “proteggere i diritti riproduttivi delle donne autorizzando l’aborto medico nei casi di stupro, incesto, e quando la continuazione della gravidanza mette in pericolo la salute fisica e mentale della madre o la vita della madre o del feto”. Per evitare che le donne si trovino in queste condizioni i vescovi indicano un’ strada. “Siamo convinti – scrivono - che solo un consistente e sincero programma di educazione a una corretta e totalmente umana pratica della sessualità può fermare la diffusione di questo tipo di comportamenti che porta a stupri, incesti, e infine alle “gravidanze indesiderate”. “Le situazioni di forte sofferenza menzionate nel testo del Protocollo – aggiungono i vescovi - non possono dare origine al diritto di sopprimere una vita innocente. Questo si applica ancora meno a un non bene definito “pericolo per la salute fisica e mentale della madre o la vita della madre o del feto”, che di fatto, apre la porta all’aborto su richiesta”. Finora 38 Paesi africani hanno firmato il Protocollo di Maputo; di questi 16 lo hanno ratificato, 3 (Libia, Rwanda, Senegal) hanno espresso riserve proprio sul paragrafo 2c dell’articolo 14.
(Fides – MANCINI)



 







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