2005-09-17 15:46:15

Non abbandonare gli USA nel momento del bisogno: così l'inviato del Papa l'arcivescovo Cordes al rientro dalle zone colpite dall'uragano Katrina


( 17 settembre 2005 -RV) E’ rientrato a Roma dagli Stati Uniti l’arcivescovo Paul Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, incaricato da Benedetto XVI di recare testimonianza della sua personale solidarietà insieme con l’aiuto concreto della Chiesa alle popolazioni colpite dall’uragano Katrina, che si è recentemente abbattuto lungo la costa del Golfo del Messico nel sud degli Stati Uniti d’America, in particolare nella zona di New Orleans. Giovanni Peduto ha intervistato il presule sull’esito della sua missione umanitaria: RealAudioMP3

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R. – Sono partito per il delta del Mississippi lo scorso 10 settembre; per quattro giorni ho viaggiato tra Baton Rouge, Biloxi e New Orleans, incontrando le comunità cattoliche, visitando gli sfollati nei quartieri dove vivono ammassati. La presenza personale di un inviato del Papa ha trovato ripetutamente parole di gratitudine in ambito ecclesiale e anche in ambito civile. Sembra, tra l’altro, che il Vaticano sia l’unico Stato al mondo ad avere incaricato un suo esponente di governo di visitare le zone colpite.


D. – In questi giorni, quali contatti ha avuto, eccellenza, con personalità degli Stati Uniti?


R. – Ho potuto parlare con la governatrice Blanco della Louisiana, e anche con il vice ammiraglio Fed Ellen, a Washington. Lui è incaricato personale del presidente Bush per gli aiuti federali. Ho parlato certamente con i vescovi americani del luogo: mi ha accompagnato tutto il tempo il cardinale McCarrick, arcivescovo di Washington. Avevo contatto anche con i vertici della rete caritativa cattolica locale. La Caritas americana, che si chiama Catholic Charities, sin dai primi giorni dell’emergenza ha messo a disposizione sei milioni di dollari, frutto anche di una colletta di varie Caritas nazionali. La mia visita ha risvegliato nuove attenzioni, per raccogliere altri aiuti materiali. L’area colpita è assai vasta e nelle zone disastrate giungono volontari da ogni parte degli USA. La ricostruzione certamente richiederà mesi e anni. Durante il mio soggiorno ho visto scenari terribili, ma anche gesti di grandissima umanità.


D. – E quale impressione ne ha riportato, eccellenza?

R. – Molti sono rimasti – non solo fuori dal Paese – impressionati dalla scoperta di una povertà a tratti vergognosa nella ricca America. D’altra parte, non voglio nascondere un mio personale timore: che la superpotenza possa isolarsi e rimanere isolata anche nell’affrontare il disastro. In questo frangente drammatico, gli Stati Uniti non devono essere abbandonati e ciò ci obbliga. C’è non solo la nostra ‘communio’ con i membri della nostra Chiesa e la nostra solidarietà umana: c’è di più. Ha detto un alto rappresentante che la debolezza vissuta negli Stati Uniti di fronte a questa catastrofe rende sensibili anche per distruggere ogni nostra convinzione di autosufficienza. Così, per me, nel male di questo evento c’è anche la speranza, per molti cittadini, di vedere che il mondo è più grande degli Stati Uniti! Nell’omelia pronunciata nella cattedrale di Baton Rouge l’11 settembre, esattamente quattro anni dopo la distruzione delle Torri Gemelle a New York, ho invitato i cattolici a riflettere sulla dimensione religiosa degli eventi, anche di quelli più luttuosi e catastrofici. Ho tentato di spiegare alla grande congregazione, in parte venuta anche da New Orleans, che la secolarizzazione ci inganna, dividendo la fede, la profondità della nostra fede, dalla vita quotidiana. Ma la fede vuole illuminare ogni momento che viviamo. Dio, infatti, ci accompagna sempre, anche nei momenti più bui, sebbene non lo capiamo. Il credente non deve dubitare mai – così ho detto – che Dio ci ama, e in questa convinzione trova consolazione.
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