2005-07-22 08:15:31

Conferenza ONU sulle popolazioni autoctone: attesa sui diritti degli indigeni


(21 luglio 2005 - RV) La Commissione per i Diritti umani delle Nazioni Unite definisce indigeni “coloro che, avendo una continuità storica con le società precoloniali che si svilupparono sui loro territori, si considerano distinti dagli altri settori della società che ora sono predominanti su quei territori, o su parti di loro”. Oltre 300 milioni di persone, dislocate in circa 70 Paesi, rientrano in questa definizione rappresentando il 4% della popolazione mondiale ed il 90% della diversità culturale del pianeta. Da lunedì scorso, i rappresentanti e i leader indigeni sono riuniti a Ginevra per partecipare alla 23.ma sessione del gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle popolazioni autoctone chiamato ad approvare la bozza finale della dichiarazione sui loro diritti fondamentali. Ma qual è l’impegno della comunità internazionale nei confronti di questi gruppi? Donika Lafratta lo ha chiesto al prof. Vincenzo Buonomo, docente di Diritto Internazionale alla Pontificia Università Lateranense: RealAudioMP3

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R. - Io farei riferimento al decennio sulle popolazioni indigene, iniziato nel 1994 e conclusosi l’anno scorso, e all’apertura del nuovo decennio che dovrà essere decisa proprio in questi giorni. Un decennio che significa non una celebrazione dei popoli indigeni, bensì un tentativo di creare una coscienza all’interno delle persone perché si possano rispettare e garantire i diritti di queste popolazioni. Questo impegno ha significato, per esempio, programmi specifici per l’istruzione, la sanità, la creazione di strutture di governo per i popoli indigeni che in alcuni Paesi ha portato già risultati concreti. Diverse situazioni, in cui la comunità internazionale è in qualche modo impegnata, trovano un ostacolo fondamentale, cioè l’atteggiamento degli Stati che sono poco disposti ad accettare una possibilità che gli indigeni siano una voce diversa rispetto alla restante parte della popolazione.

D. - Cosa reclamano le popolazioni autoctone?

R. – Anzitutto il diritto all’autodeterminazione, che può significare per gli indigeni un rapporto diretto con le risorse, con la terra, con il loro patrimonio culturale. Gli indigeni poi reclamano di vedere la loro cultura ancestrale riconosciuta negli ambiti dei processi di educazione o nell’ambito dello stesso insegnamento scolastico. Gli indigeni vorrebbero venisse riconosciuta la loro identità di indigeni.

D. - Il diritto alla terra e al territorio rappresenta uno dei principali diritti rivendicati dalle popolazioni autoctone. Perché?

R. – Nella definizione di lavoro di popolo indigeno che viene data dalle Nazioni Unite nel 1979 c’è questo legame ancestrale con la terra. Per loro la terra è madre, per loro la terra è fonte di lavoro, è fonte di ricchezza, è fonte anche di risorse naturali.

D. – Quanto è forte la loro voce nella comunità internazionale?

R. - Un esempio è quello della costituzione del Forum permanente sulla questione indigena all’interno delle Nazioni Unite. Una struttura che doveva servire a rendere comune a tutto il sistema dell’ONU la questione indigena. Questa struttura si è trasformata in un forum permanente al cui interno convivono rappresentanti dei governi e rappresentanti di popolazioni indigene. Questo è il modo attraverso cui le comunità indigene riescono a far sentire la loro voce sul piano ufficiale.

D. - Qual è l’impegno della Chiesa cattolica nei confronti delle popolazioni indigene?

R. – Qui farei una distinzione. Da una parte, l’impegno pastorale della Chiesa che si affianca sempre alla prospettiva della promozione umana e quindi di quello che può essere lo sviluppo integrale delle comunità indigene. Non possiamo dimenticare che la Chiesa fin dall’inizio della colonizzazione è stata un po’ il punto di forza di una rivendicazione dei diritti di queste comunità. Non possiamo dimenticare, per esempio, che nei viaggi di Giovanni Paolo II più volte egli ha incontrato comunità indigene dando loro il pieno sostegno della Chiesa cattolica per le giuste rivendicazioni, come le chiamò più volte Giovanni Paolo II. Dall’altro, poi, c’è un impegno della Santa Sede sul piano internazionale che è finalizzato a garantire anche alle comunità indigene un riconoscimento dei diritti fondamentali.
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