Conferenza ONU sulle popolazioni autoctone: attesa sui diritti degli indigeni
(21 luglio 2005 - RV) La Commissione per i Diritti umani delle Nazioni Unite definisce
indigeni “coloro che, avendo una continuità storica con le società precoloniali che
si svilupparono sui loro territori, si considerano distinti dagli altri settori della
società che ora sono predominanti su quei territori, o su parti di loro”. Oltre 300
milioni di persone, dislocate in circa 70 Paesi, rientrano in questa definizione rappresentando
il 4% della popolazione mondiale ed il 90% della diversità culturale del pianeta.
Da lunedì scorso, i rappresentanti e i leader indigeni sono riuniti a Ginevra per
partecipare alla 23.ma sessione del gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle popolazioni
autoctone chiamato ad approvare la bozza finale della dichiarazione sui loro diritti
fondamentali. Ma qual è l’impegno della comunità internazionale nei confronti di questi
gruppi? Donika Lafratta lo ha chiesto al prof. Vincenzo Buonomo, docente di Diritto
Internazionale alla Pontificia Università Lateranense:
********** R.
- Io farei riferimento al decennio sulle popolazioni indigene, iniziato nel 1994 e
conclusosi l’anno scorso, e all’apertura del nuovo decennio che dovrà essere decisa
proprio in questi giorni. Un decennio che significa non una celebrazione dei popoli
indigeni, bensì un tentativo di creare una coscienza all’interno delle persone perché
si possano rispettare e garantire i diritti di queste popolazioni. Questo impegno
ha significato, per esempio, programmi specifici per l’istruzione, la sanità, la creazione
di strutture di governo per i popoli indigeni che in alcuni Paesi ha portato già risultati
concreti. Diverse situazioni, in cui la comunità internazionale è in qualche modo
impegnata, trovano un ostacolo fondamentale, cioè l’atteggiamento degli Stati che
sono poco disposti ad accettare una possibilità che gli indigeni siano una voce diversa
rispetto alla restante parte della popolazione.
D. - Cosa reclamano le popolazioni
autoctone?
R. – Anzitutto il diritto all’autodeterminazione, che può significare
per gli indigeni un rapporto diretto con le risorse, con la terra, con il loro patrimonio
culturale. Gli indigeni poi reclamano di vedere la loro cultura ancestrale riconosciuta
negli ambiti dei processi di educazione o nell’ambito dello stesso insegnamento scolastico.
Gli indigeni vorrebbero venisse riconosciuta la loro identità di indigeni.
D.
- Il diritto alla terra e al territorio rappresenta uno dei principali diritti rivendicati
dalle popolazioni autoctone. Perché?
R. – Nella definizione di lavoro di popolo
indigeno che viene data dalle Nazioni Unite nel 1979 c’è questo legame ancestrale
con la terra. Per loro la terra è madre, per loro la terra è fonte di lavoro, è fonte
di ricchezza, è fonte anche di risorse naturali.
D. – Quanto è forte la loro
voce nella comunità internazionale?
R. - Un esempio è quello della costituzione
del Forum permanente sulla questione indigena all’interno delle Nazioni Unite. Una
struttura che doveva servire a rendere comune a tutto il sistema dell’ONU la questione
indigena. Questa struttura si è trasformata in un forum permanente al cui interno
convivono rappresentanti dei governi e rappresentanti di popolazioni indigene. Questo
è il modo attraverso cui le comunità indigene riescono a far sentire la loro voce
sul piano ufficiale.
D. - Qual è l’impegno della Chiesa cattolica nei confronti
delle popolazioni indigene?
R. – Qui farei una distinzione. Da una parte, l’impegno
pastorale della Chiesa che si affianca sempre alla prospettiva della promozione umana
e quindi di quello che può essere lo sviluppo integrale delle comunità indigene. Non
possiamo dimenticare che la Chiesa fin dall’inizio della colonizzazione è stata un
po’ il punto di forza di una rivendicazione dei diritti di queste comunità. Non possiamo
dimenticare, per esempio, che nei viaggi di Giovanni Paolo II più volte egli ha incontrato
comunità indigene dando loro il pieno sostegno della Chiesa cattolica per le giuste
rivendicazioni, come le chiamò più volte Giovanni Paolo II. Dall’altro, poi, c’è un
impegno della Santa Sede sul piano internazionale che è finalizzato a garantire anche
alle comunità indigene un riconoscimento dei diritti fondamentali. **********