Olimpia Tarzia: i referendari non parlano dei pericoli per la salute della donna
con l’abolizione della legge 40
(9 giugno 2005 – RV) “I referendari non dicono chiaramente i pericoli a cui andava
incontro la donna prima della legge 40: è necessario informare”. Così la biologa Olimpia
Tarzia, presidente del comitato “Donne e vita” che propone l’astensione proprio per
stare dalla parte delle donne e dei più deboli e che domani concluderà a Roma il tour
informativo sulla fecondazione artificiale, svoltosi in 30 città italiane, in vista
del referendum di domenica e lunedì prossimi. Nel dibattito “divergono le posizioni
di scienziati e medici, ma nessuno – ribadisce Olimpia Tarzia – dice che le cellule
embrionali non hanno dato risultati scientifici”. Dura la critica alla formulazione
del secondo e terzo quesito. L’intervista è di Isabella Piro:
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R. – Il secondo e il terzo quesito del referendum sono posti volendo far credere che
la legge è contraria ed è rischiosa per la salute della donna. In realtà, la legge
ha posto dei paletti importanti: pone come numero di ovuli da produrre, come massimo,
tre. Questo vuol dire che il dosaggio ormonale nella donna è estremamente limitato.
D. – Cosa succederebbe abrogando questa parte della legge?
R. – Cancellando questa parte - ritornando quindi ad una sperimentazione proprio sulla
pelle delle donne - si tornerebbe alla situazione esistente prima della legge, quando
la donna veniva sottoposta ad un bombardamento ormonale poiché doveva liberare fino
a 15-20 ovuli.
D. – Cosa comporta questo per la donna?
R. – Questo comporta per la salute della donna dei seri rischi di iperstimolazione
ovarica, per cui le ovaie tendono ad ingrossarsi e si può andare incontro ad un blocco
renale. Ci sono stati casi di morte per sindrome da iperstimolazione ovarica.
D. – La legge 40, attualmente in vigore, stabilisce un criterio di accesso alle tecniche
di fecondazione?
R. – La legge prevede una gradualità, ha tolto la donna da quello che era un precedente
accanimento procreativo. In altre parole, si fa un percorso per verificare se realmente
c’è una sterilità accertata, per cui si ricorre alla fecondazione artificiale.
D. – Nel secondo quesito si parla anche di “diagnosi preimpianto”…
R. – La diagnosi preimpianto è qualcosa di terribile. Sul piano biologico, una parte
degli embrioni muore a seguito della diagnosi, un’altra parte sviluppa anomalie dovute
alla diagnosi. I rimanenti embrioni non possono considerarsi per certo immuni da malattie
genetiche, perché a quell’epoca di sviluppo moltissime malattie non si possono diagnosticare.
Sul piano etico è devastante, perché si vuole attribuire ad un tecnico il diritto
di poter decidere e scegliere quale essere umano è degno di vivere e quale no.
D. – Secondo lei, è giusto utilizzare gli embrioni per la ricerca?
R. – Io credo che si faccia una grande offesa alle donne, perché io credo che non
esista una donna al mondo, che abbia fatto la fecondazione artificiale, che, con disinvolta
indifferenza, accetti che i suoi figli rimasti nel centro come embrioni possano essere
utilizzati come cavie da laboratorio.
D. – Sul piano biologico come si può definire l’embrione?
R. – Sul piano biologico c’è un dato oggettivo: c’è un essere umano e se è un essere
umano va difeso.
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