2005-05-30 15:56:41

Con il 54% dei voti la Francia dice no alla Costituzione europea


Il no di ieri al referendum in Francia sulla Costituzione europea ha raggiunto oltre il 54 % dei voti. Oltre al coinvolgimento dell’intera Unione ci sono innanzitutto i contraccolpi sugli equilibri politici interni. Da Parigi ce ne parla Francesca Pierantozzi: RealAudioMP3
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Il primo ministro Jean-Pierre Raffarin, in procinto di lasciare Palazzo Matignon, è stato ricevuto in mattinata all’Eliseo da Jacques Chirac. Un incontro breve al termine del quale Raffarin si è limitato a commentare che ci saranno degli sviluppi tra oggi e domani. Intanto è stata annunciata la convocazione, sempre all’Eliseo, di Nicolas Sarcozyi. Il presidente del partito neogaullista UMP, che non ha mai fatto mistero delle sue ambizioni presidenziali, è uno dei possibili successori di Raffarin. Secondo un sondaggio di questa mattina i francesi sono d’accordo: è Sarcozyi che vorrebbero vedere a Palazzo Matignon. Il voto di ieri lascia pesanti strascichi anche nella sinistra, soprattutto nel partito socialista lacerato dal referendum. François Hollande ha dichiarato, questa mattina, che resterà segretario del partito e che presto bisognerà arrivare ad un chiarimento con i dissidenti del ‘no’ in vista di una unità, oggi difficile, ma indispensabile per le presidenziali del 2007.
Francesca Pierantozzi, da Parigi, per la Radio Vaticana.
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Tra le tante reazioni al voto di ieri in Francia c’è la dichiarazione del premier britannico Blair: “Ci vorrà tempo per digerire questa mancata ratifica”. Blair ha invitato anche l’Europa ad un dibattito più ampio, soprattutto sui temi economici. Nessuna decisione, per ora, proprio sul referendum in Gran Bretagna, mentre sono confermati quelli in Portogallo e Danimarca. E anche Svezia e Finlandia ribadiscono la volontà di proseguire il processo di ratifica. Sull’importanza di portare a termine tale processo Fausta Speranza ha sentito il vicepresidente del Parlamento europeo, Luigi Cocilovo: RealAudioMP3

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R.- La valutazione è di salvaguardare anzitutto la piena possibilità e libertà per tutti i paesi, per tutti i popoli,direttamente o indirettamente, con referendum, con le ratifiche parlamentari di pronunciarsi, così come avvenuto per alcuni Paesi, tra cui appunto la Francia. Io mi auguro che prevalga l’opinione che il processo di ratifica, di verifica, di consenso sul Trattato costituzionale possa continuare e posso quindi concludere il suo percorso presso tutti i popoli e tutti i Paesi coinvolti.

D. – E’ stato un momento di arresto, un momento di crisi. Come la definirebbe?

R. – Al di là delle soluzioni che si potranno adottare perché coerentemente con quanto dicevo prima concludere il processo di ratifica significherà avere un quadro più chiaro e più completo dell’orientamento di tutti i popoli e Paesi europei sul Trattato costituzionale. Mi auguro che le manifestazioni di dissenso e di contrasto restino, per quanto molto significative ed importanti e da non sottovalutare, minoritarie. Detto questo, ci si deve, in ogni caso, interrogare su quello che è avvenuto, sulle ragioni. Io ritengo che sia finita la stagione che in qualche modo considero anche la causa di queste difficoltà, di utilizzare l’Europa come alibi o come ostaggio. Alibi rispetto anche a politiche nazionali che il quadro di mondializzazione dei processi economici, finanziari, sociali imponeva alle volte anche con qualche contenuto o contraccolpo di impopolarità e che invece spesso i governi e i percorsi nazionali hanno scaricato sull’Europa facendola diventare la calamita di tutta la negatività agli occhi delle opinioni pubbliche nazionali, oscurando invece la convinzione o comunque il dovere di annunciare che probabilmente quelle politiche e quelle scelte avrebbero interrogato in ogni caso il sistema Paese e che anzi l’Europa era una cornice di riferimento più ampia e come tale da attenuare gli effetti negativi e non da esasperarli. Come ostaggi, perché come in parte è avvenuto in Francia in un momento complessivamente difficile con alcuni aspetti critici, sotto il profilo della congiuntura economica e quindi le ripercussioni sociali, l’Europa è diventata quasi l’occasione per manifestare forme di dissenso nei confronti delle politiche di governo dei governi nazionali e quindi proprio utilizzata quasi come ostaggio.

Ma in definitiva, come valutare questo no francese al Trattato costituzionale? Ancora al microfono di Fausta Speranza, il rappresentante in Italia della Commissione europea, Piervirgilio Dastoli: RealAudioMP3
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No, è una febbre alta la crescita. L’Europa è passata attraverso altre crisi: il 1954 quando la Francia respinse la Comunità Europea di difesa e poi un anno dopo, ricorre, in questo giorni, l’anniversario, ci fu la conferenza di Messina su iniziativa italiana, che rilanciò il processo di integrazione comunitaria. Il ‘no’ dei danesi al Trattato di Mastrich, il ‘no’ degli Irlandesi al trattato di Nizza … Insomma, ci sono state una serie di crisi e poi, fra l’altro, non bisogna dimenticare che più o meno a metà degli anni ’70 l’Europa visse anche una forte crisi, quella che si chiamò eurosclerosi. Ora, in quell’occasione, fu il Parlamento europeo a riprendere in mano il processo di integrazione europea, approvando il progetto Spinelli del 1984. Io credo che in questo momento bisogna rimettere sul tavolo delle discussioni gli elementi politici di questo dibattito e non basta l’iniziativa di un paio di leader, ci vuole una forte iniziativa politica che coinvolga non soltanto i governi, ma anche il Parlamento, l’opinione pubblica, la forza civile, la società civile. E, soltanto in questo modo, io credo che noi potremmo rilanciare il processo di integrazione europea che, certamente, è molto colpita dal risultato del referendum francese.
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Anche la Chiesa, che si era pronunciata per il sì alla Costituzione nonostante l’assenza di riferimenti alle radici cristiane, guarda con una certa preoccupazione al voto di ieri. La mancata ratifica della Francia – affermano i vescovi del Vecchio Continente – è una sfida per l’Europa intera. Sentiamo mons. Aldo Giordano, segretario del Consiglio delle Conferenze episcopali europee: RealAudioMP3
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R. - Rispetto a questo ‘no’ al Trattato costituzionale appaiono dall’esterno anche motivazioni contrapposte: c’è chi ha votato no perché vedeva nel Trattato un rischio per la laicità francese, ma anche chi ha votato no perché non trovava nel Trattato un riferimento profondo, per esempio, alle radici cristiane. Complessivamente, uno dei motivi che hanno spinto verso una posizione critica sembra essere stato la crisi economica che c’è in Europa e che tocca le varie Nazioni.
D. – Secondo Lei, che lezione può imparare l’Europa dal ‘no’ della Francia?
R. – Forse ciò che adesso va tenuto in conto è lo choc culturale e politico che questo voto crea. Non ci si può limitare a dire: “Bene, continueremo col Trattato di Nizza…”, ma bisogna tener conto di questo evento nuovo che crea un interrogativo sul processo europeo. Ecco, dobbiamo cogliere l’occasione per un approfondimento: evidentemente, la Costituzione Europea ha bisogno di andare più in profondità. Dobbiamo cogliere questa occasione per ripensare all’idea di Europa, per capire dove vogliamo andare, per ridare veramente contenuti a certi valori che suonano un po’ vuoti e retorici… in fin dei conti, certe preoccupazioni espresse da questo voto possono anche essere condivise. Io stesso ho potuto vedere personalmente che nei Paesi dell’Est certe preoccupazioni sono presenti. Ecco, se fosse un’occasione per un approfondimento, questo choc potrebbe anche diventare in futuro positivo. Ma non dobbiamo dimenticare che il “no” di ieri va capito all’interno della situazione francese ed interpretato più come una protesta generale che non come un rifiuto dell’Europa. In ogni caso, noi pensiamo che il progetto europeo andrà avanti, speriamo che prosegua davvero, e lavoriamo affinché ciò avvenga.
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