2005-05-17 14:32:33

Concerto nella Basilica di Santa Maria Maggiore per l'85° anniversario della nascita di Giovanni Paolo II. La riflessione di mons. Comastri


(18 maggio 2005 - RV) La Fondazione Pro Musica e Arte Sacra, con il patrocinio del Cardinale Arciprete della Basilica di Santa Maria Maggiore il Cardinale Bernard Francis Law, dedicherà questa sera alle ore 21 nello splendido tempio mariano un concerto straordinario alla memoria di Papa Giovanni Paolo II nel giorno del suo 85° genetliaco e per accompagnarne il processo di beatificazione. Sarà eseguita la Missa Speravi in Te Domine del compositore contemporaneo austriaco Hubert Steppan, scritta appositamente per il Santo Padre. Il concerto, trasmesso in diretta da Telepace e in differita nella stessa sera da Sat2000, sarà preceduto da un intervento di mons. Angelo Comastri, Vicario generale di Sua Santità per lo Stato della Città del Vaticano e Presidente onorario della Fondazione Pro Musica e Arte Sacra, promotrice dell’evento. Lo ascoltiamo nell’intervista di Luca Pellegrini: RealAudioMP3

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R. – Io credo che la gente, soprattutto la gente semplice, abbia immediatamente intuito che dietro il coraggio di Giovanni Paolo II c’era l’uomo di Dio, c’era il santo. E il santo è una persona che parla, è una persona che affascina. Io ricordo il cardinale Schuster, parlando ai sacerdoti a Milano, pochi mesi prima della sua morte, diceva: guardate, oggi la gente diffida di tutti, ma di fronte ad un santo, anche in quest’epoca di diffidenza, la gente è pronta a mettersi in ginocchio e noi lo vediamo nel caso di Giovanni Paolo II. La gente immediatamente ha percepito che Giovanni Paolo II era un uomo di Dio e che dietro il suo coraggio c’era un rapporto diretto, costante, continuo con il Signore. E un uomo che si presenta al mondo con questa statura spirituale indubbiamente parla e affascina. Ecco il perché di queste folle immense che vengono alla sua tomba. Vengono ad attingere qualcosa dalle sue certezze, che oggi mancano a tanti.
D. - Infine, Eccellenza, quali sono secondo lei i frutti ecclesiali che Giovanni Paolo II lascia in eredità, perché maturino, se non sono maturati, al suo successore Benedetto XVI?
R. – Io credo innanzitutto il suo impegno per la pace che Benedetto XVI ha voluto immediatamente fare suo. Il suo impegno di dialogo, ma un dialogo fatto tra identità forti. Giovanni Paolo II ci ha fatto capire che per dialogare non bisogna svendere la verità. Se tu non hai nessuna identità, tu non parli con nessuno perché non c’è niente da dire. Soltanto se hai un’identità, un’identità vissuta e convinta tu puoi dialogare. Quindi Giovanni Paolo II ha lasciato come eredità questo convincimento che per dialogare bisogna che ci sia identità, un’identità vissuta. Ci vogliono delle convinzioni. Chiaramente, ci ha insegnato che quando si ha un’identità forte, ci si mette a confronto con gli altri nel rispetto: nel rispetto della dignità, nel rispetto delle convinzioni che possono essere anche diverse. Dialogare nel rispetto è l’unico modo per poter convivere. A livello ecclesiale Giovanni Paolo II ci ha ricordato che il vero problema della Chiesa di sempre è il problema della fede. La Chiesa deve sempre rinnovarsi nella fede. Non per nulla i grandi rimproveri che Gesù ha fatto ai primi discepoli, quindi alla prima Chiesa, sono stati sempre rimproveri sulla fede. Voi siete gente di poca fede. Voi avete poca fede, voi dubitate perché avete poca fede. Giovanni Paolo II ci ha ricordato che nelle burrasche di oggi il rimprovero di Gesù è ancora questo e quindi ci ha stimolato tutti a ritornare ad una fede più matura, ad una fede più convinta, perché soltanto un popolo che crede e crede con entusiasmo e con passione può essere in questo mondo il volto di Cristo e l’annuncio di Cristo.
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